Afghanistan, apartheid per le donne
Nella mia mente si affollano i ricordi, una figlia in Afghanistan nel 2011 con la cooperazione italiana per un progetto lungimirante e moderno, riguardante le donne afghane, un successo.
E oggi, invece, sotto l’Emirato dei talebani, un’incredibile e offensiva imposizione sulle donne; alle donne afghane viene vietato con una circolare di lavorare nelle organizzazioni non governative afghane e internazionali, un vero apartheid.
Le condanne e le proteste sono unanimi nel mondo, da est a ovest, mentre le ONG presenti nel Paese ritengono impossibile, oltre che inaccettabile, lavorare senza il contributo delle donne afghane. In corso i contatti ad alto livello tra le ONG e l’Emirato dei talebani per appianare la questione, anche se sembra difficile entrare in relazione con le autorità supreme dell’Afghanistan, probabilmente influenzate dagli ultraortodossi. Siamo di fronte ad una situazione che destabilizza il mondo politico afghano; da una parte un arroccamento degli integralisti, dall’altra un disorientamento dei politici più moderati.
Una giovane cooperante in Afghanistan
Sì, mia figlia aveva lavorato nel 2011 nella cooperazione italiana in un progetto di formazione delle donne; una svolta coraggiosa, quella promossa dalla capo progetto italiana, che aveva dato un indirizzo veramente alternativo alla formazione delle donne, basta sarte e cuoche, sì allo studio delle lingue straniere, ma soprattutto frequenza per il rilascio della patente di guida, in modo da poter organizzare un servizio taxi al femminile, senza dimenticare poi la formazione di donne installatrici del fotovoltaico sui tetti di Kabul, se vi sembra poco! Da lì l’amicizia con le sorelle afghane, collaboratrici e interpreti, che sono riuscite ad arrivare con tutta la famiglia in Italia nel 2021 durante l’ultima e terribile presa del potere dei talebani, giovani donne capaci e determinate, decise a costruirsi una nuova vita, un futuro.
Si può parlare di escalation delle proibizioni?
Purtroppo oggi nel Paese afghano assistiamo ad un’apartheid di genere. Dalle prime imposizioni, tra cui l’obbligo di girare coperte, meglio se accompagnate da un familiare maschio, si passa a quelle più recenti, tra cui il divieto per le studentesse di frequentare l’università. Le donne diverranno dei fantasmi, segregate nelle loro abitazioni.
Ma non basta ancora, occorre qualche norma ancora più restrittiva per svilire le donne e renderle esseri “inferiori”.
Secondo la nostra amica Mariam Barak, giornalista, accolta con le sorelle in Italia,
” … oggi l’Afghanistan è un Paese di violenza e una terra di limitazioni e crudeltà per le donne, un Paese dove una donna non può vivere la sua vita come dovrebbe, dove non può esercitare i diritti conferiti dalla religione e dalla legislazione.
I talebani applicano nuove regole per le donne, il che è contrario ai diritti umani. Non sono autorizzate ad andare a scuola e all’università o a lavorare. Ma le donne afghane stanno ancora l’una con l’altra e alzano la voce in difesa dei loro diritti fondamentali. Tutta la loro speranza è che le comunità internazionali le aiutino e difendano i loro diritti, si stanno eliminando le donne in Afghanistan e il mondo tace. Come donna afghana, sono senza speranza per il futuro delle donne, e davvero non so per quanto tempo sopporteranno questa situazione perché in questo momento i talebani sono super potenti e nessuno reagisce alle loro pretese, il mondo è silenzioso e sta a guardare”.
Ed ecco una nuova prova di forza nella distruzione delle donne con una circolare emanata dal Ministro ad interim dell’Economia il 24 dicembre scorso. Il documento porta ad un’altra offesa, il divieto per le donne di lavorare presso le organizzazioni non governative afghane e internazionali.
Sarà possibile per le ONG continuare a realizzare i loro progetti? E si riuscirà a portare avanti una via politica?
Determinante nella società afghana il ruolo delle ONG, capaci di tenere in piedi i servizi di base che riguardano circa i due terzi della popolazione. Senza le donne afghane, diventerà impossibile gestire aiuto e assistenza di donne, bambini, uomini.
Save the children, Norwegian Refugee Council, Care International, Islamic Relief, Christian Aid, World Vision, International Rescue Committee (che impiega tremila donne su ottomila di persone afghane) hanno sospeso le loro attività, Medici senza frontiere fa presente che solo con le donne è stato possibile gestire progetti, Intersos chiede un ritiro della circolare. Tutte le Ong si chiedono che fare, essere presenti o sospendere tutte le attività? Il mondo afghano è in subbuglio. Giuliano Battiston, su “il manifesto”, ci precisa che nel Paese si fatica a capire chi abbia il potere e quali sono i meccanismi di decisione. Il timore generale è quello di una spaccatura all’interno dei Talebani tra una linea più “aperta” agli aiuti internazionali e una linea di autarchia, ostile a tutto ciò che provenga dall’Occidente, irreversibile.
E dal punto di vista economico, come sta il Paese?
L’Afghanistan si trova sempre più isolato con il ritorno al potere dei Talebani, culminato nella presa di Kabul del 15 agosto 2021. Il rovesciamento del governo democratico ha comportato sanzioni, il taglio di aiuti umanitari che incidevano su oltre il 40% del Pil e il congelamento degli asset della banca centrale afghana, esasperando una crisi pregressa con la nuova ascesa dei Talebani.
Il Pil si è contratto nel 2020 sotto la pandemia di Covid e si sarebbe dovuto rialzare a ritmi modesti nel 2021. Dopo il cambio di guardia al governo e la gelata internazionale, la Banca mondiale prospetta un tonfo aggregato del Pil fra il 30 e il 35% nel biennio 2021-2022.
«Le donne sono quelle che avvicinano alle altre donne e ai bambini nelle situazioni di aiuto. Senza di loro come si farà? Si creano delle condizioni impossibili dal punto di vista operativo» sottolinea Marco Niada, co-fondatore di Argosha – Faraway Schools, una Ong che opera nel campo dell’educazione.” Le organizzazioni, racconta, hanno «fatto acrobazie» per mantenere un presidio in un contesto che ha visto crollare tutti i ponti con la comunità internazionale”.
Per concludere
Non esiste la pace per alcuni Paesi, ma tutto ciò che ci ferisce in questa tragedia è la sofferenza delle donne che, a capo chino e coperte agli occhi del mondo, diventano l’immagine visiva ed evidente di un’apartheid dominante. Alla crisi irreversibile del Paese, si aggiunge ora il rischio che venga a mancare quell’aiuto fornito dalle ONG, non solo per coprire i bisogni primari ma anche per costruire una serie di donne preparate a “curare” in senso lato tutta la popolazione. La paralisi delle operazioni umanitarie avrà costi devastanti proprio ora, all’inizio dell’inverno e di fronte alla fragilità dello Stato. Le Nazioni unite stimano che i cittadini bisognosi di assistenza umanitaria lieviteranno dai 24,4 milioni del 2022 a 28,4 milioni nel 2023, l’equivalente del 70% della popolazione. Un’apartheid che non provocherà dolore e sofferenza solo alle donne, ma colpirà tutta la comunità.
Emilia Accomando
Fonti
Testimonianza di Maryam Barak, pubblicista afghana, 29 dicembre
“Stretta sulle donne”, Giuliano Battiston, il Manifesto, 27 dic.2022
“Afghanistan, il divieto alle donne nelle Ong esaspera la crisi economica e umanitaria”, Alberto Magnani, Sole 24 ore, 26 dic. 2022
“International Rescue Committee sospenderà i programmi in Afghanistan a seguito del divieto talebano alle donne che lavorano per le ONG”, Comunicato stampa di IRC, 25 dicembre 2022