Ai “progressisti” piace perdere
In queste ore torna lo psicodramma in campo progressista anche in Fvg. Siamo sulla possibile prossima scena del crimine. Infatti non consci di quanto accaduto a livello nazionale a settembre scorso, si ripercorre lo stesso schema dei veti, delle divisioni, dei paletti falsamente programmatici. Così senza una vera discussione pubblica, la possibilità di andare al voto uniti per le regionali in Fvg, sembra dissolversi. E diciamolo senza reticente: non ci frega per nulla chi abbia più torto o più ragione, lasciare il campo aperto alla destra di Fedriga e Riccardi, vanificando preventivamente la possibilità di una competizione con qualche possibilità di vittoria, è stupido ed irresponsabile, un crimine verso la nostra gente. Ma tutto ciò non meraviglia, più volte abbiamo sostenuto e scritto che la sinistra del nostro paese (intesa nella accezione più larga M5s compresi) è affetta dalla sindrome di Tafazzi. Si emula in sostanza quel personaggio interpretato da Giacomo Poretti, componente del trio Aldo, Giovanni e Giacomo, la cui caratteristica principale è il masochismo. Lui, il Tafazzi ama battersi i testicoli con una bottiglia di plastica, ululando un semplice ‘pam-pam’ al ritmo dei colpi sul parapalle. Rende bene l’idea? Ma forse di più la rende l’espressione latina «Cupio dissolvi» che tradotto letteralmente si traduce “Voglio essere sciolto” o per estensione del significato, preferisco perdere. Insomma la maledizione della sinistra italiana continua. Quando si apre una possibilità di vincere di compere ad armi (quasi) pari con una destra, i nostri eroi del campo “progressista” si bloccano, si dividono, vanno in ordine sparso in nome di principi che altro non sono che irrigidimenti personali o peggio piccole manovre dalle quali si pensa di ottenere singoli e parziali benefici quanto inutili. È proprio vero quindi, al campo progressista piace perdere. In sostanza il centrosinistra italiano inteso come possibile coalizione, è vittima delle scelte scellerate della sua classe dirigente e dell’inquietante parabola politica del Pd da un lato e del M5s dall’altro, mentre anche i cespuglietti ci mettono del loro ovviamente. Per non parlar del fatto che si offre importanza al cosiddetto “terzo polo” il cui obiettivo è certamente quello di contare non per il proprio peso elettorale, ma per la capacità di interposizione malevola che esprime facendo l’ago della bilancia o peggio i rovina famiglie (politiche) di professione. Certo, è la politica “bellezza”, ma è la peggior politica che si possa immaginare. Così alla fine la sinistra italiana è vittima soprattutto di sé stessa e della propria incapacità di parlare al suo popolo e di offrire quelle improcrastinabili soluzioni necessarie alla qualità della vita delle persone. Soluzioni fra l’altro che sul piano dei contenuti, negli ambiti del lavoro, della sicurezza, della formazione, dell’ecologia e perfino delle difesa, sono davvero “facili” da trovare, basterebbe solo avere la volontà di discutere in maniera laica e non per rigidità pseudo-ideologiche. Basterebbe osservare attentamente la nostra società, analizzare i problemi delle persone senza retro-pensieri difensivi o offensivi, magari sostituendoli con la doverosa autocritica per gli errori fatti nel passato. Ammetterli sarebbe una grande base di partenza, ma nessuno deve pretendere però le forche caudine. Così si smentirebbe, a colpi di onestà intellettuale, chi ci dice che lo spazio per un cambiamento è ridotto al lumicino. Basterebbe ripudiare le dinamiche consociative e la tendenza al ribasso perpetuo della classe politica e al proprio auto-mantenimento per riprendere in mano i grandi ideali, spogliati di parecchi tabù e vivificati dalle nuove pratiche di lotta e opposizione. Il tutto dentro, ma soprattutto fuori, dalle istituzioni. Perché il popolo della sinistra, i progressisti o semplicemente chi ha compreso che nelle politiche della destra non “ci sono anche cose buone”, anche se disperso, sfiduciato è comunque vivo e numeroso e merita di trovare nuova voce, una nuova casa e una possibilità di esprimersi con il voto. Bisognerebbe partire semplicemente da cosa vuol dire perdere una battaglia come quella delle politiche del settembre scorso, perchè non c’è nulla di più prezioso del saper gestire una sconfitta. È un bagaglio che serve ogni giorno della nostra vita. «Non perdo mai, o vinco o imparo», diceva Nelson Mandela consapevole del fatto che la vita è piena di ostacoli, tradimenti, errori e fallimenti. Si può anche decidere, nel momento rabbioso della sconfitta di irrigidirsi, di richiudersi a riccio e di non guardare il bicchiere mezzo vuoto, cercando alibi e capri spiatori, ma alla fine si resta annichiliti nella propria impotenza . Certo, siamo umani, ergo imperfetti. A nessuno piace perdere. Ma se si comprendono le ragioni di una sconfitta e non si fanno sconti neppure a se stessi, si vince sempre, perché tutto quello che si impara nel tragitto è qualcosa che ci porteremo dietro come consapevolezza personale e collettiva. Meditate e ravvedetevi.
Fabio Folisi