Ascoltare le cassandre anche senza crederci può essere utile

Alcuni intellettuali dal pensiero considerato stimolante sono oggi in caduta libera quanto a credibilità per un impegno provocatorio a supporto del movimento no pass-no vax. Non intendo entrare nel merito delle argomentazioni specifiche che supportano una posizione che a molte persone di buon senso appare aberrante; tuttavia, cercherei di coglierne un segnale che va oltre la contingenza. Sorprese come il Covid 19 oggi si classificano come “cigni neri”: sono accadimenti dirompenti e improvvisi che sembrano rimettere in discussione gli elementi fondamentali di rapporti economici, sociali e politici esistenti. Possono essere a dimensione locale oppure, come nel caso in questione, indurre situazioni devastanti anche a livello generale. La prima reazione induce a credere che tutto sta cambiando e che il domani è una incognita da ridefinire partendo da una tabula rasa.
Non è così e me ne sono accorto per la prima volta in occasione del terremoto in Friuli del 1976. Avvenimenti straordinari che necessitano di essere affrontati con logiche ed interventi anch’essi straordinari non costituiscono una occasione di possibilità infinite ma tendono semmai ad accelerare le tendenze già in atto prima dell’evento. E questo anche indipendentemente dalla soluzione che viene data ai problemi contingenti che quella occasione distruttiva presenta nell’immediato. Nel caso del terremoto in Friuli questo ha significato che la spinta all’abbandono dei piccoli paesi, rurali e montani, non è stata sconfitta da una scelta di ricostruzione all’insegna del “dove era e come era”, ma si è dilatata nel tempo con l’unico reale risultato che la gran parte di chi se ne è andato ha mantenuto una propria seconda casa ricostruita nel luogo di origine. Un analogo ragionamento dal valore inverso vale per il sistema produttivo, in espansione nella fase precedente al sisma e, anche grazie a provvedimenti sostanziosi, rilanciatosi negli anni successivi per seguire poi, magari con sfasamenti temporali, le stesse caratteristiche di altri territori del nord Italia. Non si può negare il grande valore di una ricostruzione riuscita, ma non è stata una rivoluzione. La necessità di uno sguardo laterale. Penso che il ragionamento possa essere riproposto su un terreno del tutto diverso quale quello della pandemia che stiamo attraversando. Il Covid 19 non mette in discussione alcuna delle tendenze e relazioni globali che interessano l’economia, la scienza, i rapporti di forza che si contendono sul piano della geo politica. Le risposte che sono state date, indipendentemente dalla loro efficacia, hanno forse messo in evidenza i limiti di una organizzazione mondiale che ha dimostrato tutta la sua fragilità, facendone emergere differenze talvolta incomprensibili, ma non ha attivato alcun serio tentativo per rivedere le fondamenta della sua azione. E quindi poi nella sostanza in ogni realtà ciascuno ha ballato con “so agne” (la propria zia). Credo che gli intellettuali e filosofi oggi schieratisi a fianco dell’area “no pass-no vax” sappiano perfettamente i loro limiti interpretativi delle singole disposizioni che avversano, ma al contempo credo che in loro prevalga la convinzione che ci troviamo di fronte proprio ad un momento di accelerazione di una trasformazione strutturale già avviata del sistema politico istituzionale nel quale siamo immersi. E che questo avviene in piena armonia e corrispondenza con le necessità di evoluzione dei sistemi economici e finanziari. In un suo brillante articolo (Internazionale, novembre 2021) il filosofo Zizek ricorda che alcuni intellettuali, tra cui gli italiani Giorgio Agamben e Fabio Vighi, attribuiscono ad oscure manovre e complotti neo liberisti l’invenzione non solo della pandemia ma anche del cambiamento climatico; proprio nella logica della distruzione creativa di una fase capitalistica predisponendone una gloriosa successione. Zizek non nega che ciò possa essere in atto, ma osserva che non servono complotti per l’emergere di nuovi “cigni”, appunto il cambiamento climatico e la pandemia, ma che questi si presentano tranquillamente nella loro casualità. Il capitalismo, nelle sue varie forme, non fa altro che prenderne l’occasione. Che questa pandemia rafforzi le logiche con cui sta viaggiando il mondo non ci piove. La crisi del neo liberismo sta sicuramente rafforzando il tentativo dei settori economici che intendono utilizzare il cambiamento climatico per una svolta distruttiva-creatrice di alcuni processi accumulativi capitalistici. Il che provoca confronti a muso duro nei confronti di chi ritiene di poter continuare a gestire i propri business con le attività tradizionali all’insegna dello slogan “meglio un po’ di anidride carbonica che la fame”. Ma dentro questo quadro si inserisce anche la lotta geo politica tra gli attori imperiali del secolo XXI (e quelli che vorrebbero diventarli) per il dominio di assetti globali. Oggi sta ridiventando prevalente il protagonismo USA che non vuole permettere cambiamenti sostanziali di status e deve quindi combattere i tentativi di nuovi equilibri che altri, in primis la Cina, vorrebbero mettere in discussione. E in tutto questo anche il COVID 19 ed i suoi vaccini hanno il loro destino.  Un occhio alla situazione italiana. Ma veniamo alla situazione di casa nostra. I leader più significativi di quella che oggi si chiama “commissione dubbio e precauzione”, guidata da Ugo Mattei ed a cui credo partecipino sia Agamben che Massimo Cacciari, dando ad essa una inequivocabile connotazione di tradizione culturale di sinistra, si concentrano nell’affrontare la situazione italiana ed a questa rivolgono un drammatico avvertimento sul futuro della democrazia. Non è una novità per nessuno che stia prevalendo la convinzione che la democrazia classica a cui eravamo abituati in passato non è più in grado di gestire la concorrenza di una evoluzione globale e che si richiede a gran voce di cambiare le stesse regole della democrazia per poter partecipare “just in time” al flusso delle decisioni. Marco Damilano sull’Espresso del 5 dicembre 2021 chiama questo progetto con il nome di “piano di ripresa democratica” anche per fare il verso al “piano di rinascita democratica” del “compianto” Licio Gelli. Cosa c’è all’orizzonte? L’esaurimento del conflitto sociale e territoriale come motore dei cambiamenti in un quadro di accentramento istituzionale per garantire rapidità delle decisioni. Ne consegue anche la fine di qualsiasi ipotesi di rilettura federale dello stato italiano. Al massimo le Regioni e i Comuni potranno decidere le strade della “movida” in cui può diventare obbligatorio portare le mascherine. La vera scommessa dietro l’angolo è l’esaurimento dell’esistenza di un parlamento che conti qualcosa in termini di rappresentanza e l’avvio di un “competente” nucleo di stato profondo che sia in grado di assumere decisioni politiche e strategiche, comprese quelle relative ad un solido riarmo ed alla possibilità di essere aggressivi in un futuro di conflitti anche armati. Democrazia formale ed “epistocrazia” sostanziale. Per i cittadini basta una buona libertà di stampa purché non estranea alle dinamiche del potere e l’accesso a internet per proporre referendum abrogativi e leggi innovative da decidere con si o un no senza ulteriore perdita di tempo. La “deriva populista” degli ultimi anni, ma soprattutto la disgregazione mentale di molti cittadini nel valutare i rapporti sociali e felicitarsi nel bombardare presunti nemici su Facebook, così come l’isolamento degli strumenti di intermediazione sociale, fanno sì che oggi appaia come unico antagonismo praticabile quello del ribollire di credenze e atteggiamenti individuali che trovano il proprio punto di attrazione e scarico nei limiti della gestione della pandemia. E’ mia convinzione che sul piano pratico non esiste oggi alternativa al rispettare le indicazioni che provengono dal “sistema ufficiale”, con “vigile attenzione” e rispetto per chi dissente senza sabotare il prossimo. Discutere se le argomentazioni dei no pass-no vax siano logiche o credibili è del tutto inutile, così come diventa vano confrontarsi con le miriadi di giocoforza mutevoli decisioni governative (e dei consigli cosiddetti tecnici e scientifici) che riguardano la pandemia nel tentativo di salvare capra e cavoli, cioè vite umane ed economia in obbligatoria crescita. Su questo si discuterà a “ricostruzione avvenuta” con uscita dalla pandemia, se mai sarà possibile un momento di serenità. Ma l’impegno “politico”, anche in alcune sue apparenze assurdo per quanto riguarda gli intellettuali di sinistra oggetto attualmente di vituperio o desiderio, va visto in una prospettiva non banale e forse merita una riflessione meno convenzionale. Giorgio Cavallo