Banche banchieri ed ori di famiglia. Bagarre alla Camera sul caso Carige

Banca Carige presenterà il nuovo piano industriale il 27 febbraio, a Genova, nel corso di una conferenza stampa a cui parteciperanno i commissari straordinari dell’istituto: Fabio Innocenzi, Pietro Modiano e Raffaele Lener. Il nuovo Piano industriale è uno dei passaggi fondamentali per il salvataggio della banca, posta in amministrazione straordinaria da parte della Bce a inizio gennaio. Fra i compiti dei commissari, ricordava all’epoca la banca, c’erano il rafforzamento patrimoniale, il rilancio commerciale, la riduzione dei crediti deteriorati e la ricerca di possibili ‘partner’ per fusioni. Tutti elementi che dovrebbero trovare sintesi nel piano industriale. Per quel che riguarda il rafforzamento patrimoniale, lo Schema volontario del Fidt ha già sottoscritto subordinati per quasi 320 milioni, mentre lo Stato ha garantito due bond per un ammontare complessivo da 2 miliardi di euro. Insomma il 27 febbraio sarà una giornata importante per il futuro di Carige.

Intanto oggi alla Camera dei Deputati si è svolta la discussione generale sul decreto emanato dal Governo mentre da domani inizierà la discussione sugli emendamenti: il testo dovrebbe passare al senato entro il 2 marzo poiché entro il 7 dello stesso mese dev’essere necessariamente convertito in legge dal Parlamento. Ma la giornata parlamentare è stata piuttosto turbolenta, ha infatti abbandonato l’Aula di Montecitorio senza concludere il suo intervento il sottosegretario all’Economia, Alessio Villarosa, che ha accusato i deputati del Partito democratico di aver interrotto più volte il suo discorso. Durante la discussione generale sul decreto legge Carige alla Camera, il sottosegretario all’Economia è stato protagonista di alcune scaramucce verbali con i dem. “Vorrei rispondere ad alcune cose che ho sentito, veramente fuori da ogni logica… sentire il Pd che parla di risparmiatori dopo averli azzerati e avergli rovinato la vita…”, ha esordito l’esponente M5s tra il brusio dell’Aula. Alla fine, Villarosa si è arreso e ha lasciato la Camera.
Sulla vicenda c’è anche da registrare una nota della parlamentare Debora Serracchiani econdo cui: “Di Maio e Salvini hanno truffato moralmente i risparmiatori, li hanno ingannati e illusi promettendo risarcimenti impossibili. Lo hanno fatto in piena consapevolezza e quindi con maggior colpa e causando maggior dolore”. “Adesso per salvare Carige – aggiunge Serracchiani – usano le stesse norme per le quali ci avevano coperto di insulti. Erano in malafede allora, pronti ad azzannare governo e Pd, e sono in contraddizione con loro stessi oggi. Sono sempre quegli sconsiderati che volevano mettere le mani su Bankitalia e – conclude – magari sull’oro che c’è dentro”. A tale proposito dopo le indiscrezioni sulla voglia di mettere le mani sui lingotti delle riserve auree sono stati in molti a commentare.     L’idea di vendere l’oro custodito dalla Banca d’Italia per finanziare le politiche governative in realtà  non è una novità ma di certo è una scelta poco conveniente. Cominciamo con il dire che la Banca d’Italia (quindi gli italiani) è il quarto detentore al mondo di riserve auree, dopo la Federal Reserve americana, la Bundesbank tedesca e il Fondo monetario internazionale. Sono 2.452 tonnellate, custodite in parte a Roma, nel caveau della Banca, in parte negli Stati Uniti, in Svizzera e nel Regno Unito. Per chiarire alcune fantasiose dietrologie di questi giorni, i lingotti stanno nei luoghi in cui li abbiamo comprati per il seplice motivo che  trasportarli è costoso e perfino rischioso. Le riserve auree italiane valgono circa 86 miliardi di euro, ben poca cosa rispetto ai 2300 miliardi del debito pubblico e quindi pensare di usarli  è poco plausibile anche perchè nel 1974 parte di quel tesoretto fu comunque utilizzato come pegno a garanzia del prestito che la Germania ci aveva fatto per tamponare le falle aperte nei nostri conti dalla fuga dei capitali all’estero. Poi nel 2009 Giulio Tremonti nella sua enorme fantasia economica propose di tassare le plusvalenze sull’oro della Banca, ma fu bloccato dalla Bce. Non ebbe miglior fortuna, due anni dopo, la proposta di Romano Prodi e Alberto Quadrio Curzio, che avrebbero voluto utilizzare le riserve auree degli stati europei per dar vita a un Fondo che rilevasse i titoli di Stato. Ma tentativi di sacco del passato l’ostacolo vero è che l’utilizzo delle riserve auree violerebbe gli accordi sottoscritti quando nacque l’euro senza contare che  se la Banca centrale italiana riversasse sul mercato le sue tonnellate d’oro provocherebbe un drastico calo del prezzo, azione quindi autolesionistica e che non farebbe piacere a nessuno. Senza contare  che vendere gli ori di famiglia è palesemente un segno di disperazione che sarebbe facilmente interpretabile dal “mercato” così sensibile ai segnali con una probabile contrazione degli investimenti in titoli italiani per finanziare il nostro debito pubblico e si perderebbe rapidamente in rialzo dello spread quanto venduto.