Basta messaggi di cordoglio. Non ci rendiamo complici dell’ipocrisia di chi si straccia le vesti e poi, spenti i riflettori, fa finta di nulla
Negli ultimi giorni, dopo la tragica morte del giovane Lorenzo Parelli si sono aperte le solite cataratte del cordoglio, da ogni parte politica piovono le dichiarazioni ed i più classici “mai più” che ad ogni morte diventa un mantra tanto ripetitivo quanto ipocrita. La vicenda della tragica fine del giovane Lorenzo Parelli, resa ancora più stridente dal fatto che la vita strappata era di uno studente diciottenne, uno dei tanti che una discutibile norma consente di “usare” in aziende con accordi di “alternanza scuola lavoro” e che troppo spesso si traducono in semplice lavoro senza retribuzione. Siamo oltre al precariato perchè l’inserimento in azienda di un giovane come Lorenzo, che stava ancora completando il suo percorso scolastico, non dovrebbe prevedere l’ingresso in produzione, il lavoro vero e proprio. Ed invece spesso dalle aziende viene vista come una opportunità e senza preoccuparsi che, vista l’inesperienza, si dovrebbe attuare un alto livello di precauzionale sicurezza per i profili della prevenzione degli infortuni, anche attraverso l’affiancamento costante ed attento dello stagista da parte di lavoratori con esperienza. Qualcosa nel caso di Lorenzo non ha funzionato, morto sul lavoro prima di averlo un lavoro, tanto che la Procura di Udine ha indagato il legale rappresentante della azienda Burimec. Senza sostituirsi alla giustizia che farà il suo corso una cosa speriamo sia chiara, non si potrà archiviare i fatti con la costatazione fatale che la vittima era nel posto sbagliato nel momento sbagliato. Nulla ovviamente potrà restituire quella giovane vita ai suoi cari, ma la richiesta di giustizia deve essere forte. Ma in realtà ci sono ben altri responsabili nella strage continua di lavoratori, più o meno giovani, la cui tragica fine non trova spesso neppure spazio mediatico, perchè i morti sul lavoro in Italia si ricordano solo quando o muoiono in gruppo o sono così giovani da destare un grande impatto emozionale. Il quotidiano stillicidio dei singoli passa quasi inosservato, scade rapidamente nel silenzio. Silenzio che più o meno rapidamente diventa norma, magari con qualche titolo in più, anche nei casi più eclatanti come quello di Lorenzo. E’ solo questione di tempo perchè, se la descrizione in cronaca della morte e del dolore fanno audience o vendere copie, approfondire potrebbe essere scomodo e perfino pericoloso. In realtà infatti il dito accusatorio andrebbe puntato su altri livelli, su chi, pur strappandosi le vesti ad ogni lutto, non agisce, non mette in cima alle agende dei proprio programma politico il problema della sicurezza sul lavoro. Non parliamo di più o meno accurati studi ma di semplici azioni operative, ma che possono scontentare certi ambienti e magari rallentare la crescita del Pil e della competività sul cui altare alcune vite sono evidentemente sacrificabili. Certo vi sono gradi diversi di responsabilità fra le stesse forze politiche, ma non si può negare che nella generalità su questi temi navigano a vista e guardano più al loro ombelico che ad azioni davvero efficaci. Del resto perchè affannarsi, hanno tanto da fare: oggi sarà l’elezione del Capo dello stato, domani il decreto prossimo venturo, dopodomani la necessità di salvaguardare la poltrona. State certi tutto verrà bruciato rapidamente ad uso e consumo dell’italietta che ogni giorno va in onda sui teleschermi e sul web, dove la cifra è il chiassoso cordoglio e l’indignazione, ma che alla fine si traduce solo in una colossale ipocrisia con i media troppo spesso nel colpevole ruolo di chi regge il moccolo. Per questa ragione dalle nostre colonne non avete visto nessuna delle decine di comunicati densi di patos, cordoglio e solidarietà per la morte di Lorenzo. Quell’ipocrisia in molti casi ci provoca nausea, anche se abbiamo la consapevolezza di come vi siano anche colpevoli fra tutti noi in quanto elettori. Perchè qualcuno i cattivi politici deve pur averli eletti. Dovremmo pretendere da chi eleggiamo azioni concrete su questo così come su altri temi e invece ci lasciamo turlupinare da vane promesse e da balle spaziali. Ci dovrebbe essere da meditare quando ci chiederanno fiducia. Intanto anzichè dare fiato al megafono delle ipocrisie, preferiamo raccontarvi che in Italia, per contrastare la piaga di una media di oltre 3 morti al giorno e un milione di feriti annui, vi sono solo circa 2000 tecnici della prevenzione destinati al controllo della stragrande maggioranza dei luoghi di lavoro. Anche aggiungendo altri soggetti istituzionali e considerando che nel paese ci sono circa 4 milioni di aziende, se le dovessero controllare tutte, ogni azienda riceverebbe un controllo ogni 10/15 anni. Praticamente mai. Ed allora basta che siano a posto le “carte” e in questo l’Italia è bravissima. Ma quando i faldoni si sporcano di sangue e muore un lavoratore, ecco mettesi in moto una macchina perfetta quanto inutile e dal mondo politico parte il coro, si sente dire che bisogna aumentare gli ispettori sul lavoro dimenticando che in realtà questi operano prevalentemente per il controllo della regolarità contributiva, per fare cassa insomma, e come effetto collaterale utile per il contrasto al lavoro nero, quello che spesso fa sfuggire un certo numero di infortuni che non vengono neppure denunciati. Fabio Folisi