Brasile: assalto alle legittime istituzioni. Ancora una riprova del ruolo nefasto dell’antidemocrazia digitale
È durata poco meno di mezza giornata la domenica di follia che ha visto la messa in atto a Brasilia di un tentativo di insurrezione para-gopista da parte di alcune migliaia di attivisti dell’ex presidente di estrema destra Jair Bolsonaro. Già nella serata nella capitale federale carioca è gradualmente tornata la calma. La polizia federale, quella locale era invece apparsa “tiepida” se non connivente, ha sgomberato, in serata, il Congresso, la Corte Suprema e il palazzo presidenziale di Planalto dopo l’assalto dei manifestanti che si rifiutano di riconoscere l’elezione del presidente Luiz Inacio Lula da Silva, detto Lula, sostenendo che la consultazione sarebbe stata viziata da alcuni brogli di cui, però, non vi è uno straccio di prova. Lula è giunto in serata nella capitale, in carica solo da una settimana, ha constatato i danni. Prima di arrivare nella capitale, mentre si trovava ancora ad Araraquara, nello stato di San Paolo, Lula aveva definito gli assalitori qualificandoli come dei “vandali e fascisti fanatici” e assicurando che “li troveremo tutti e saranno tutti puniti in modo tale che nessuno oserà più compiere simili nefandezze con una bandiera del paese sulla schiena o indossando la maglia della nazionale fingendo di essere un patriota”. Proprio l’emblematica maglia gialla della “Seleçao” è infatti un simbolo di cui i bolsonaristi si sono indebitamente appropriati. Lula ha quindi sottolineato che “Chi ha finanziato queste manifestazioni pagherà per questi atti irresponsabili e antidemocratici”, cha ha inoltre definito “terroristici”. La situazione è comunque tornata sotto controllo durante la notte. Un gran numero di rivoltosi è però rimasto nelle vicinanze dei centri di potere della capitale brasiliana, continuando a inneggiare slogan per un “intervento militare” che, secondo i facinorosi, dovrebbe estromettere Lula dalla presidenza. Da parte sua il ministro della Giustizia e della Pubblica Sicurezza, Flavio Dino, ha assicurato in conferenza stampa che i luoghi di potere sono stati completamente evacuati e che oltre 200 persone sono state arrestate. Altre fonti parlano invece di quattrocento fermi. “Questi individui non saranno in grado di distruggere la democrazia” ha detto, Dino definendo l’accaduto un atto di “terrorismo golpista”. Fin qui la cronaca che molti osservatori dicono essere prevedibile se non annunciata. Restano gli interrogativi sui meccanismi che generano questi fenomeni. Uno di questi è certamente il ruolo dei social ed in generale il web che in assenza di cultura democratica diventa il brodo di coltura per fenomeni violenti. Lo ha capito Alexandre de Moraes, a capo della Corte suprema federale brasiliana che ha avanzato una richiesta alle piattaforme di social media affinché rimuovano contenuti “anti-democratici” o propagandistici sotto il segno dell’appoggio all’assalto ai palazzi istituzionali a Brasilia. Dopo il suo appello un portavoce di Meta, il gruppo proprietario di piattaforme come Facebook, Instagram e WhatsApp, ha comunicato che sarebbero stati cancellati tutti i post “che invitano le persone ad armarsi e a invadere con la forza il Congresso, il palazzo della presidenza e altri edifici federali”. Secondo il responsabile, l’assalto condotto ieri da sostenitori dell’ex presidente Jair Bolsonaro rappresenta un “violating event”, un fatto che costituisce una violazione. Una classificazione analoga era stata adottata dopo l’assalto dei seguaci di Donald Trump al Congresso degli Stati Uniti nel gennaio 2021. Il problema che tutto questo avviene dopo e non prima. Ovviamente è questione delicata, in linea generale le censure sono oggetti da maneggiare con attenzione. Ma è evidente che quando parliamo di veicolazione di falsità come benzina per i motori di propagande malefiche, alcune misure vanno certamente attuate. Quanto accaduto in Brasile, ma anche quanto avvenuto in Italia (ad esempio) con il proliferare delle tesi novax, è frutto di sistemica produzione di falsità. Una macchina propagandistica che trova la propria linfa autogenerante nell’ignoranza e nelle teorie del complotto che sono alla base delle sfiducia nelle istituzioni perfino di quelle scientifiche. Quando le macchine propagandistiche generatrici di fake erano appannaggio sostanziale di paesi non democratici il fenomeno sembrava legarsi solo a regimi autoritari e dittatoriali. L’idea quindi era che il fenomeno colpisse solo le nazioni prive di libertà di espressione, i paesi autocratici, appunto autoritari o dittatoriali. In questi paesi dove la democrazia non alberga il quadro è piuttosto evidente, domina la censura, giornalisti ed attivisti dei diritti umani finiscono in galera quando non al patibolo. A dispetto delle apparenze, tuttavia, anche nelle cosiddette democrazie compiute il fenomeno è in crescita e l’obiettivo dei dispensatori di fake è il medesimo, controllare è utilizzare il disagio attraverso la tecnica basata sulla menzogna, che opera in modo sofisticato, creando notizie dal nulla, mescolando bugie e verità, omettendo fatti e circostanze, rimestando abusivamente passato e futuro. Basta pensare alle fortune salviniane sull’immigrazione create dalla sua “bestia” social, per avere il quadro di quale portata abbia il problema. E’ vero quindi che quelli che dominano la narrativa pubblica, anche basandosi su menzogne (purchè siano credibili) controllano la società attraverso le inquietudini che vi si aggirano. L’imperativo è creare consenso in ogni modo, il ruolo della propaganda è quindi quello di disarticolare il conflitto, contenere quel malessere che si aggira ovunque ed indirizzarlo i maniera “conveniente” anche se talvolta “scappa di mano”. Potremmo allargare il discorso sull’imposizione dell’egemonia, non basta più al ceto dominante, o aspirante tale, guidare la narrazione pubblica, servendosi di un’impalcatura di servizio fatta di giornalisti, accademici, esperti e funzionari vari. Oggi spesso questi soggetti che, dal punto di vista del potere hanno il limite di essere pensanti e magari in sussulti di onestà intellettuale rivoltarsi, sono direttamente bypassati attraverso l’uso smodato e diretto dei social, evitando così le domande scomode. Questo è possibile a quando la ricerca del consenso non è più fondata su valori, ma solo su interessi. Il fine è solo uno, la massificazione di sé stessi e dei profitti correlati. Dobbiamo però dire che non tutto il web è negativo e occorre fare una differensazione fra i social, che sono l’amplificazione delle chiacchiere da bar o sala d’aspetto di cui conserva la “qualità”. Fino a qualche decennio fa la libertà di stampa era ancor più teorica, vi erano delle elevate barriere d’ingresso alle informazioni, i pochi canali disponibili erano certamente più “professionali” ma scarsamente e faticosamente accessibili ai più. Oggi, grazie a Internet l’accesso alle informazioni più facile, pur nel marasma, consente la possibilità a chi professionalmente preparato, di attingere a fonti dirette e spesso alla realtà dei fatti. È così emerso anche un giornalismo di qualità di livello spesso superiore rispetto ai media tradizionali, in termini di capacità critica e indipendenza, perché non condizionato da interessi esterni, resta però il maledetto problema dei fondi. E’ necessario che questo lavoro sia finanziato dai lettori.