Cgil Fvg: “Spesa sanitaria privata, i dati Gimbe non vanno interpretati a piacimento”

Anche nel caso del Rapporto Gimbe sulla spesa out of pocket degli italiani, la lettura dei dati da parte dall’assessore Riccardi è fatta in modo opportunistico, ponendo l’accento solo sui numeri considerati di proprio interesse, e anche distorsivo. Con la conseguenza che le responsabilità delle gravi carenze del sistema sanitario regionale vengono addossate ai cittadini, accusati di consumare troppo.
Il rapporto in realtà dice che in Italia la spesa privata è nettamente più alta rispetto agli altri paesi europei, che nel nostro Paese spendono di più le persone e le regioni più ricche, che il 40% della spesa è di basso valore e quindi il 60% non lo è, che il 5% (il 9% secondo il Ministero nel Rapporto Lea, percentuale che sale al 22,8% nelle persone oltre i 65 anni) non spende nulla semplicemente perché rinuncia alle cure.
Nel suo commento il presidente di Gimbe Nino Cartabellotta dice che «questi valori riflettono tre fenomeni chiave: il sottofinanziamento pubblico, l’ipotrofia del sistema di intermediazione e il crescente carico economico sulle famiglie». Aggiungendo che «siamo molto lontani dalla soglia suggerita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità» e che «per garantire equità e accessibilità alle cure, la spesa out-of-pocket non dovrebbe superare il 15% della spesa sanitaria totale».
L’approccio di Riccardi non è nuovo. Se oggi l’assessore coglie al balzo l’opportunità di commentare il rapporto sulla spesa out of pocket, in passato ha preferito ignorare la fondazione Gimbe quando, nel rapporto sulla mobilità sanitaria, diceva che siamo la peggiore regione del nord per la fuga dei pazienti, o quando diceva che avevamo la peggiore mortalità per Covid.
Anche sull’ultimo rapporto Gimbe la lettura dell’assessore è parziale. Riccardi trascura infatti il passaggio quando dice che «la spesa sanitaria delle famiglie è sempre più “arginata” da fenomeni che incidono negativamente sulla salute delle persone: limitazione delle spese sanitarie, che nel 2023 ha coinvolto il 15,7% delle famiglie, indisponibilità economica temporanea per far fronte alle spese mediche (5,1% delle famiglie nel 2023) e rinuncia alle cure».
Visto che tante volte si è sbandierato a sproposito il “coraggio delle scelte”, forse è il momento di non dare ai cittadini le colpe del mancato funzionamento del Servizio sanitario e di occuparsi seriamente di chi non si cura e non accede alle prestazioni a causa dei tempi di attesa o della povertà delle persone e delle famiglie, che continua ad aumentare.