Convegno “Voce agli Invisibili” ieri a Palazzo Belgrado. Racconti di vita vissuta, sceneggiature di drammi del dolore purtroppo reali

Si è svolto ieri nello splendido Salone di Palazzo Belgrado a Udine il previsto convegno “Voce agli Invisibili”. Ai microfoni si sono alternati operatori impegnati nell’accoglienza e assistenza ai meno fortunati, definiti appunto invisibili, perché la politica, perfino quella progressista (istituzioni comprese), prova fastidio e preferisce ignorarli, anziché prendersi la responsabilità di cercare soluzioni che non possono che passare, è stato detto, dal lavoro come possibilità di riscatto sociale oltre che ovviamente nel trovare soluzioni abitative compatibili con la dignità e le necessità di persone, siano esse italiane o straniere, che hanno diritto ad una esistenza possibile. Tutto viene trattato con logiche emergenziali e non strutturali nella convinzioni che le politiche verso gli ultimi, soprattutto se sono migranti, non portino voti.  L’introduzione ai lavori è stata svolta dalla professoressa di lettere Marilena Esposito che ha fra l’altro letto alcune testimonianze di storie vissute da “invisibili” mentre qualcuno di questi ha raccontato direttamente la propria storia. Alla fine, pur con percorsi di vita diversi, tutti i racconti sono  accomunati nel medesimo destino di emarginazione, paura e povertà. L’evento promosso dal Consigliere regionale Furio Honsell di Open Sinistra FVG , che al termine ha tratto le conclusioni, ha visto in veste di moderatore il giornalista Giampaolo Carbonetto. Uscendo però dalla stretta cronaca della giornata, è evidente come il tema scelto sia di importanza capitale per un paese come l’Italia che, per collocazione geografica, tradizione, ma soprattutto regole costituzionali, non può sottrarsi da  essere anello di congiunzione e approdo, marittimo e terreste di flussi migratori che non si può pensare di contrastare con la “cattiveria” istituzionale e l’indifferenza elettorale che la consente. L’obiettivo della giornata era chiaro: arrivare alla costruzione di una società più inclusiva e solidale, ricordando alle istituzioni le responsabilità nella lotta contro ogni forma di marginalità. Un momento di ascolto comprensione ma soprattutto “azione”. E’ evidente che il problema non è solo italiano e men che meno di un Friuli terra di confine, ma tocca l’intero mondo occidentale e non solo quello europeo, che non può pensare di arroccarsi nella propria egoistica torre d’avorio di benessere. In realtà gli “invisibili” esistono ovunque perchè sono “scorie” del capitalismo,  anche oltre oceano, dove è soprattutto la filmografia ad averne trattato i drammi spesso in maniera magistrale. Per questo vale la pena ricordare non solo il Film italiano “Io capitano” di Matteo Garrone, sul tema dell’emigrazione africana verso l’Europa, ma anche lo statunitense “Gli Invisibili” di Oren Moverman. I racconti di oggi, sotto lo sguardo della volta affrescata, hanno ricordato una pellicola del 2014 con un Richard Gere nel ruolo di un vagabondo da anni precipitato nel baratro di una vita senza casa e senza affetti. Si tratta della storia di tale George Hammond, che vive nell’indigenza più buia. La storia si svolge a New York dove l’uomo rimasto senza lavoro e senza aspettative perde ogni speranza di riscatto. Vagabonda per le strade della città fredda e indifferente, senza un posto dove ripararsi e dormire. Finalmente trova rifugio in un grande centro di accoglienza per senzatetto scoprendo così la dura e sconvolgente esistenza di tanti emarginati come lui. La vita nell’alloggio non è facile. La struttura, piena di persone che vivono in miseria, non può garantire una permanenza dignitosa e sicura. In sostanza Udine come New York, con  la narrazione sceneggiatura fedele, portata sulla pellicola, delle migliaia di storie che anche in Italia, ad ogni latitudine, trova le medesime mancate risposte da una politica cieca e avara di soluzioni, che non siano quelle securitarie, punitive e che ti rendono “invisibile”. Parliamo di questo film perché forse varrebbe la pena proporlo nelle tante serate estive dei cinema all’aperto dopo averascoltato le testimonianze di vita reale, non a caso, infatti, all’uscita in Italia, il film è stato presentato nella Comunità di Sant’Egidio alla presenza di una platea di clochard e dello stesso Richard Gere. Ovviamente, si legge nelle cronache di allora, l’attenzione di tutti era puntata sul divo americano diventato uno di loro. Il film apre uno squarcio sull’America della povertà e del dolore, degli stenti e dell’esclusione, ma che sarebbe facilmente sovrapponibile a quello di qualsiasi città occidentale, patria silenziosa degli invisibili e degli indifferenti che fanno finta di non vederli o che quando li vedono li scansano come appestati. Un racconto durissimo, come duri sono stati i racconti di vita vissuta che si sono alternati sotto gli splendidi affreschi di palazzo Belgrado, racconti sull’emarginazione autoctona o  quella sul calvario di un arrivo da lontano alla ricerca di una speranza di benessere che per molti invece si tramuta in una terribile bolla di solitudine e dolore. Tutte storie forti e toccanti, che disegnano un quadro preciso di un dramma sociale che dovrebbe vedere la possibilità che ogni cittadino prenda coscienza e sia trasportato virtualmente nel mondo degli ultimi, creando la possibilità di condividere con loro dolori, stenti, ma anche la possibilità di riscatto. Noi ieri questo richiamo l’abbiamo percepito.

Fabio Folisi