Corrispondenze dalla Siria: Alla fiera dell’Est

Oggi è sabato; secondo e ultimo giorno di riposo del fine settimana. Giorno di mercato, ogni volta che il tempo lo permette. E’piovuto ieri ed oggi il tempo è più clemente, fa un certo caldino tipico della primavera che tra un mesetto, con la celebrazione del Newroz e del nuovo anno, inizierà  ufficialmente. Di notte la temperatura è ancora fresca e vicina allo zero, ma per ora ci si gode il tepore di questo sole.
Le strade sono piuttosto infangate, ma tutto sommato si cammina abbastanza bene senza necessariamente inzaccherarsi. Gli “espositori” non si fanno grossi problemi e fin dal primo mattino hanno distribuito la loro merce lungo una delle vie più ampie della cittadina, anche se piuttosto decentrata dal suo cuore. La strada è asfaltata e chi ci riesce imbastisce la sua bancarella ai margini della via; chi arriva tardi, si arrangia coprendo la fanga con improvvisati teli di plastica. C’e’ persino qualcuno che si è organizzato una vera e propria bancarella con tanto di banchetto.
La strada è piena di gente che si guarda attorno per cercare di individuare il colpo della giornata, il vero affare da beccare al volo e l’attenzione e’ massima. Su questo tratto di arteria sarebbe probabilmente stato il caso di escludere il traffico motorizzato, giusto per evitare che qualche distratto corra il rischio di essere arrotato da auto, camioncini e moto che continuano imperterriti a sfidare l’intasamento cercando di farsi largo a suon di colpi di clacson. I motociclisti sono I più intraprendenti grazie alla dimensione ridotta e alla manovrabilità dei loro mezzi e imitando il migliore stile degli slalomisti, riescono spesso a percorrere il tracciato del mercato dall’inizio alla fine senza neppure mettere i piedi in terra. La faccenda si fa più complicata se il numero dei passeggeri della moto vanno da quattro in su.
Nel frattempo, i venditori sono tutti dediti alla promozione della loro attività, chi più e chi meno organizzato. C’è chi ha fiato da sprecare e in piedi su un tavolino sistemato alla meglio si sgola ad indicare prezzi e probabilmente qualità garantita della sua merce; chi altro invece ha già intravisto nell’evoluzione del mondo della comunicazione una possibilità di aumentare il giro di affari e si è munito di altoparlante a batteria. Chi invece, più sommessamente e proporzionalmente alla dimensione del suo banchetto richiama direttamente chi passa davanti alla sua esposizione.
A parte queste piccole note marginali, basta guardarsi un attimo attorno per capire che la maggior parte della gente che affolla il mercato non è gente di qui, della cittadina, ma probabilmente viene dai villaggi dei dintorni. Gente vestita in modo più semplice (per usare un eufemismo..), donne quasi tutte velate mentre in genere nei centri più grossi di Rojava le ragazze soprattutto sono decisamente più disinvolte. Almeno questa, pare una conquista acquisita in questa regione, e a modo suo è un elemento importante.
Si sa che in città le possibilità economiche sono generalmente maggiori e in questo la presenza delle organizzazioni internazionali giocano un ruolo non indifferente. Gli stipendi non sono paragonabili a quelli che normalmente uno si porta a casa con una qualsiasi attività sia in proprio che come dipendente. Siamo almeno a 4 volte tanto; lavorando con ONG grosse o con Agenzie Internazionali, il rapporto vola tranquillamente a 5/6 volte uno stipendio locale. Infatti non capita se non per caso di incrociare qualcuno “del giro” che si conosce; quelli si rivolgono ai negozi o alle bancarelle del “centro”.
Al mercato invece le banconote che noi occidentali generalmente ignoriamo, quelle da 100 o 200 Pound (20-40 centesimi di dollaro), contano eccome e la gente se le tiene ben strette tra le mani. Buona parte della merce e’ di seconda mano; si parla del vestiario e delle calzature, mutande e calzetti fanno caso a parte, ovviamente. La selezione della merce viene eseguita con cura e cautela; il prezzo che sarebbe fisso, come in qualsiasi mercato che si rispetti, si tratta.
Tra le varie mercanzie esposte si trova un pò di tutto, anche vecchi televisori che ormai da noi e nelle case cittadine non troverebbero collocazione. Pezzi di ricambio che non si capisce bene cosa dovrebbero sostituire (il mistero rimane naturalmente per il sottoscritto, mica per il locali) e mezzi arrugginiti, chiaro segno che dimostra come appena ci si muove dai centri la presunta piccolo opulenza scompare e che ogni centesimo fa comodo.
Stiamo ancora parlando di villaggi vicini, che la guerra l’hanno subita solo di riflesso, che comunque possono contare su un economia legata all’agricoltura intensiva e, se commisurata alla realtà del luogo, ancora sostenibile anche in termini di povertà tutto sommato relativa. Se invece ci spostiamo più verso sud, le cose cambiano drasticamente e la gente vive veramente con meno. Quel poco che in ogni caso deve essere comparato con il niente che la guerra ha lasciato come strascico ed effetto “collaterale”. Ne sanno qualcosa quei poveri cristi che stanno ancora scappando dalle ultime zone in cui i combattenti fanatici dell’Isis si sono arroccati. La battaglia ufficialmente si e’ conclusa, almeno ad est dell’Eufrate, ma ancora molte sono le cose da cominciare a sistemare. Dalla sicurezza alla distruzione che i combattimenti feroci si sono lasciati dietro; ci vorrà un enormità di tempo e di risorse.
Nell’ultimo mese sono arrivati, soltanto in uno dei vari campi profughi, ad Al Hol, più di 30.000 persone. Il campo e’ al collasso ed organizzare interventi di soccorso e’ estremamente complicato. Questo solo per parlare degli effetti della guerra in questa regione, ma i campi di sfollati sono numerosi in tutta la Siria e le persone non sono scappate solo dai villaggi, ma anche da città grosse come Aleppo, Homs e così via. Tutta gente che fino a qualche tempo fa aveva una propria casa, una propria vita, una vita normale. Provate a pensare di essere al loro posto, che di punto in bianco tutto ciò che avete venga spazzato via, che di quella che era la vostra casa non sia rimasto più niente e che siate rimasti in balia dell’unica possibilità che avete di sopravvivere: l’aiuto internazionale con tutti i suoi enormi limiti ed acciacchi.
Uno forse avrebbe bisogno di vedere, di toccare con mano ciò che significa confrontarsi con la totale ed ineludibile passività imposta dal vivere sotto una tenda aspettando che qualcosa cambi e vi permetta di tornare dove non avete più niente. Pare semplice ed invece e’ complicato realizzare nella sua drammatica realtà una situazione come questa. Diamo per scontato che a noi non possa accadere; anche loro la pensavano cosi’. Forse a questo punto ci si dovrebbe porre una domanda: “che fareste se foste al loro posto?“ E magari chiederlo ai governanti di casa nostra.

Docbrino