Cronache dalla Siria: la guerra continua
La guerra continua. Nel senso che pare non smettere mai e nel senso che non si è certo arrestata. Come Zelig cambia volto, identità, apparenza, ma è sempre lei sotto diverse spoglie. Dunque Isis è definitivamente e ufficialmente sconfitto. Questo sostengono Usa e SDF (la coalizione militare del Nord Est della Siria), l’ultima battaglia che oltre all’Isis ha smantellato anche cittadine e villaggi della zona è stata finalmente vinta e il nemico sconfitto.
Lo scontro tra eserciti, milizie, quello che si può definire guerra nella lettura del termine più usuale, in effetti si è placato. Detto ciò, gli scenari che si aprono non sono certo quelli rosei che uno si augura in seguito alla proclamazione della fine del conflitto. Come ogni guerra gli strascichi lasciano ancora striscie di sangue e di distruzione. Cambiano le dinamiche, ma fino a che il dopoguerra non raggiunge un equilibrio che si possa definire in qualche modo stabile, il macello continua e i problemi rimangono irrisolti.
E da queste parti i problemi rimangono aperti e gli equilibri labili. Di base, e prima di ogni altra cosa,resta il fatto che il paese è ancora diviso in (almeno) due parti, quella ad oriente, NES appunto, dell’Eufrate e quella ad occidente del grande fiume. Ad occidente, poi, i due terzi della Siria prevalentemente sotto il controllo del governo di Damasco, non hanno una loro continuità territoriale in quanto ci sono ancora grosso modo due aree in cui SAA (Syrian Arab Army) di Assad è del tutto assente. Idlib e Tanf sono ampie zone il cui governo è gestito da organizzazioni geneticamente modificate, milizie che fanno riferimento principalmente a ciò che un tempo era Al Qaeda, primo nemico dell’occidente ed ora suo valido alleato.
Chiaro, non si può ufficialmente dire che sia così, infatti normalmente i finanziamenti a loro sostegno non sono certo palesi, ma in occidente questa gentaglia viene spesso disegnata come “ribelli che lottano contro la tirannia del governo”. Capiamoci bene, Assad non ha di sicuro un DNA democratico, è solo uno dei tanti capibanda che in questa parte del pianeta, come abbondantemente anche in altre, reprimono volentieri qualsiasi accenno di richiesta di aperture democratica. Diciamo che è in pessima compagnia, certamente non un battitore libero.
Isis sconfitto, di conseguenza la presenza delle truppe Usa dovrebbe avere i giorni contati; non si ha sensazione che però le cose andranno in questo modo. Il biondo dal ciuffo ribelle che preferisce esprimersi (pessima abitudine purtroppo ormai dilagante) con twitter piuttosto che con i mezzi che dovrebbero essere propri di una figura che ricopre un ruolo come il suo, ha già detto che però almeno 200 soldati a stelle e strisce rimarranno a difendere (da cosa?) la zona di Al Tanf, area in cui le milizie che la controllano tengono in ostaggio migliaia di poveracci costretti all’interno di un campo profughi in condizioni miserabili.
Molto probabilmente anche gli altri circa 1.800 militari Usa rimarranno più o meno dove sono, a custodire le loro basi ormai ben consolidate. Ritirarle sarebbe troppo pericoloso per i progetti che almeno al Pentagono (anche se in controtendenza ufficiale rispetto a Turmp) sono ben chiari. Basti leggersi un articolo illuminante apparso di recente su Foreign Affairs (se a qualcuno interessa: https://www.foreignaffairs.com/articles/turkey/2019-04-09/saving-northeastern-syria) per capire quali sono le reali intenzioni e i motivi per cui i nordamericani sono e rimarranno da queste parti. Cose che ci eravamo già detti nel passato, ma che questo articolo palesa senza peli sulla lingua.
In parole povere e per riassumere brevemente il contenuto del pezzo segnalato, i veri interessi Usa, strano ma vero, non sono certo quelli di sostenere il germoglio di democrazia rappresentato bene o male dall’esperienza di autogoverno kurdo, ma piuttosto di far rientrare nei ranghi Il loro principale alleato regionale e secondo esercito della Nato attualmente in fuga verso amicizie troppo pericolose per gli interessi degli stessi americani. I kurdi pare abbiano percepito il pericolo di rimanere “in braghe di tela” e stanno cercando di ricucire in qualche modo, mantenendo una loro autonomia, i legami con Damasco. Tentativi che ogni volta pare possano trovare uno sbocco positivo, vengono immediatamente ridimensionati e boicottati.
Nel frattempo, la situazione sul terreno nel NES sta, se possibile, peggiorando. Ogni giorno e un po’ in tutta la regione se si eccettua la parte più nord orientale, avvengono attentati, attacchi alle milizie dell’ SDF, vengono fatti esplodere i cosiddetti IED (Improvise Explosive Devices, ordigni lasciati sul terreno in attesa di esplodere al momento giusto) mietendo le loro quotidiane vittime; gli stessi movimenti verso le strutture dove le ONG lavorano diventano sempre più problematici e pericolosi. Ufficialmente si tratta sempre di cellule dormienti di ciò che rimane dell’Isis, la realtà delle cose è invece maggiormente complessa. Alcuni nodi stanno arrivando al pettine e alcuni equilibri, gli stessi labili a cui si accennava poco sopra, finora rimasti in attesa di capire come si sarebbe evoluta la situazione, ora si manifestano. Ognuno rivendica la propria porzione di potere e mettere assieme i cocci sarà impresa complicata, al di là sia del volere di Trump che del Pentagono.
Il Kurdistan kurdo (Rojava) non è la stessa cosa di quello iracheno, fondamentalmente gestito da gruppi di potere similmafiosi, e non ha neppure la stessa dimensione o continuità geografica. Le enormi risorse potenziali di questa regione e la sua posizione geografica fanno gola a molti e molte sono le esigenze da soddisfare.
Nel frattempo, uno dei grossi problemi attualmente da risolvere e che tutti stanno cercando di sbolognare ad altri, la gestione delle famiglie ex Isis, continua a non far dormire sonni sereni alle locali autorità. Il grosso di loro è ancora concentrato in un campo a sud est della regione, mescolato con altri poveracci che li’ vivono da ben prima di loro. Ora si sta cercando di portarne un certo numero in un altro campo piu’ a nord dove peraltro, anche li’, ci sono profughi che risiedono da anni, ma dove potrebbero essere maggiormente controllati. Per ora, ma domani? Insomma, giusto per concludere, chi vivrà vedrà’. Con i migliori auguri.
Docbrino