Cronache dalla Siria: Via del ritorno anche se la guerra non è finita

Via del ritorno. Come raccontava Remarque nel suo famoso romanzo, mentre mestamente rientrava verso casa dopo la disfatta tedesca della prima guerra mondiale. Niente di tanto romanzesco, si intenda, ma certo è che la guerra a Raqqa il suo segno lo ha lasciato e diversamente dal romanzo, la guerra qui ancora non è finita. Si rientra comunque alla base.
Rispetto al primo impatto con la città di un paio di settimane fa, e girando un attimo per i suoi quartieri, la realtà appare meno rosea rispetto alle prime impressioni. Certo, c’è un discreto ordine e anche il traffico appare tutto sommato accettabile. Un po’ meno lo stile di guida degli autisti sempre alla ricerca di un pertugio tra un’auto e l’altra e pronti alla sgommata quasi come gesto di sfida nei confronti dei potenziali rivali. Almeno così pare vengano percepiti i guidatori delle altre vetture.
Sono parecchi i palazzi rimessi in sesto o in via di riparazione, ma sono ancora davvero molti quelli rimasti tristemente squartati quasi a monito di una memoria che purtroppo presto si perderà. Memoria che però risale immediatamente agi occhi, anzi più che altro agli orecchi, e ci riporta alla realtà attuale; a cinquanta metri da casa parte una sparatoria in seguito ad una discussione accesa tra, a quanto si dice, membri di due famiglie diverse. Come si sa, è facile passare dalle parole ai fatti ed essendo i Kalashnikov piuttosto diffusi tra gli abitanti, in un attimo le pallottole cominciano a sibilare. Lo scambio di colpi dura almeno una decina di minuti prima che, forse per timore dell’arrivo della polizia, i contendenti si infilino nei meandri delle viuzze e spariscano. La polizia, Asaysh, in effetti arriva a sirene spiegate, ma a distanza di almeno una ventina di minuti e naturalmente senza trovare traccia dei protagonisti, ma solo dei curiosi che ancora discutono animatamente e probabilmente delle cause della lite. Almeno di buono c’è che nessuno pare si sia ferito; cosa peraltro difficile da verificare.
Lo sconcerto dei nostri amici locali è evidente; i loro ricordi di una città che tutti sostengono fosse bella, inclusiva, piena di vita e di rispetto reciproco, pare si siano persi nel tempo; dieci anni sono in effetti sufficienti a cambiare molte cose. Non so se il parallelo possa in qualche modo calzare oppure risultare eccessivamente azzardato, ma a me viene in mente Sarajevo; sicuramente gli effetti della guerra hanno prodotto i medesimi risultati.
In ogni caso, è tempo di ripartire e riprendere la strada verso nord est. Una strada dissestata anche se in via di ripavimentazione (ad oggi è solo stato rimossa buona parte del precedente asfalto) e che attraversa lunghi tratti di paesaggi desolati a tratti offuscati dalla polvere sollevata dal passaggio delle auto, ma soprattutto dei camion. La lunga colonna di camion, generalmente autocisterne che si dirigono verso sud, Deir ez Zor, verso i campi petroliferi di Omar, Conoko, Tanak e molti altri. I più ricchi della Siria, controllati e protetti dalle truppe USA, quelle che dovevano ritirarsi e si sono invece spostate da quelle parti per far sì che nemmeno una goccia del prezioso olio (od una fiatata di gas) arrivi a Damasco o nelle zone controllate dai governativi.
Per assurdo quel petrolio, finisce invece nel Kurdistan Iraqeno e poi in Turchia, oppure verso Al Baab e Jarabulus, aree di confine con la Turchia ma a nord ovest del paese. Zone che invece sono sotto il controllo degli alleati dei turchi; gruppi che fanno riferimento al SNA (Syrian National Army), sigla che raggruppa parecchie fazioni e che è in qualche modo l’erede del Free Syrian Army, i cosiddetti “ribelli buoni”. In realtà, un’accozzaglia di banditi islamici radicali che con la presunta democrazia non hanno nulla a che vedere. In ogni caso, per capirci, gli stessi che controllano la zona occupata nell’ultima invasione nel Nord Est Siria da parte dei turchi che risale all’Ottobre del 2019, le cui logiche e regole di vita non differiscono poi molto da quelle dell’Isis.
Per questo motivo, un mesetto fa, i bombardieri russi hanno pensato bene di colpire qualche centinaio di camion autocisterna che sostavano da quelle parti e di ridurli in frattaglie. Probabilmente facendo fare la stessa fine anche a qualche loro autista. Nella zona erano nate ed erano prolificate parecchie piccole distillerie (certo non di alcool..) artigianali che trasformavano il greggio in carburanti raffinati. Da allora, dopo i bombardamenti, un po’ di oro nero arriva anche dalle parti dei governativi. Anche in cambio del rinnovato permesso del passaggio di alimenti e generi di prima necessità in senso opposto che Damasco aveva bloccato per ritorsione.
A parte i camion e le lunghe distese arse dal caldo che comincia a farsi sentire, quasi d’improvviso si aprono ampissime praterie verdi e lussureggianti. E’ la zona coltivata a grano che ha sempre rappresentato il granaio della Siria. E’ anche la zona in cui il sistema di irrigazione che copriva un’immenso territorio prima della guerra è riuscito a salvarsi dalla sistematica distruzione alla quale è stato sottoposto. Qui, canali, canalette e rigoletti d’acqua riescono ancora a nutrire il fertile terreno che risponde restituendo il grano che da qui ad un mese andrà a maturazione. Purtroppo solo in queste zone; la altre più a nord, dovendo affidarsi a quella che noi chiamiamo divina provvidenza, in sostanza all’abbondanza o meno delle precipitazioni piovose invernali, quest’anno non riusciranno a produrre nulla. Campi infiniti in cui il cereale non è riuscito a crescere e a svilupparsi e in cui la desolazione è evidente.
Più si sale verso nord e più l’evidente limitata possibilità di irrigazione rende il paesaggio brullo e invece del verde che dovrebbe coprire il territorio, non rimane che il giallo delle piantine di grano rinsecchite. Buone al massimo per nutrire il gran numero di pecore che pascolano sotto il controllo dei pastori beduini, dei loro giovani figli e dei loro grossi cani. Ad occhio, quest’anno la produzione potrebbe non superare il 20% rispetto alle annate regolari. Mentre più a sud, prevalentemente lungo il corso dell’Eufrate (Furad da queste parti), tra poco si raccoglierà il frumento e si arerà di nuovo per lasciare spazio al cotone, qui i contadini dovranno tirare ancor di più la cinghia, sempre ammesso che ci sia ancora spazio per un nuovo buco. Il sistema di irrigazione di un tempo, benchè meno capillare rispetto alle aree più vicino al grande fiume, suppliva in qualche modo alla carenza di pioggia, ma ora è solo un ricordo.
Altro regalo di questa guerra che ancora non accenna a trovare una sua fine e che anzi, rischia di riprendersi di nuovo. I segnali che arrivano da Qamishlo, uno tra i principali centri kurdi del NES (qui veramente Rojava) dove, come Hasake, parte della città è rimasta sotto il controllo dei governativi, non sono certo incoraggianti. Da tre giorni le due parti che fino ad oggi, e se si esclude qualche episodio, sono rimaste divise ma tutto sommato in relativa indifferente convivenza, si stanno sparando addosso senza esclusione di colpi e di calibri provocando morti e feriti. Qamishlo in particolare è strategicamente importante a causa della presenza di un aeroporto che se fino ad ieri ha garantito un importante collegamento tra Damasco e il NES, ora e’ diventato occasione di scontro di diversi interessi.
Come questi scontri siano partiti ancora non è chiaro, ma già da settimane sia a Qamishlo che ad Hasake la sensazione che le cose stessero peggiorando era palpabile. C’è chi sostiene che la politica di Biden aggressiva nei confronti della Russia, possa avere fatto pensare ad una sorta di via libera concessa al SDF di cui Asaysh è parte integrante. Infatti, in seguito ai recenti scontri, la stessa polizia kurda, per l’appunto Asaysh, e’ avanzata in territorio controllato dalla NDF (National Defense Force) filogovernativa. Cosa che nei precedenti scontri mai era successa. Le milizie di NDF sono sostenute dalle forze armate russe presenti non solo all’interno dell’aeroporto ma che da tempo anche pattugliano quell’area tenendola sotto controllo. Ora, gli stessi russi stanno producendo notevoli sforzi diplomatici per riportare la calma tra le parti, ma SDF continua ad avanzare nei quartieri pro Damasco e prendendo possesso di vari chack point fino a ieri gestiti dal NDF. Non certo un segnale di distensione.
In ogni caso, l’altro ieri Qamishlo era straordinariamente deserta ed attraversarla in un silenzio irreale provocava un certo sconcerto se si pensa alla normale intensa attività che anima generalmente la città. A nessuno converrebbe continuare a litigare, entrambe le parti avrebbero solo di che rimetterci, ma come ben si sa, la ragione spesso sfugge alla mente umana e il potenziale interesse immediato impedisce di vedere cio’ che nel medio o lungo termine potrebbe invece convenire sia agli uni che agli altri. L’ipotesi che alla base degli scontri ci siano interessi esterni, a questo punto, non è del tutto fantasiosa. Comunque sia, a pagare, c’è da scommetterci, saranno comunque e sempre gli stessi.

Docbrino