Da Julani ai talebani
Più che sorprendersi della rapidità con cui i talebani sono riusciti a rimpiazzare il governo fantoccio afghano e ad impossessarsi delle armi lasciate sul terreno dai soldati Usa e dall’esercito di quel Paese, bisognerebbe chiedersi se ciò sia stato veramente dovuto ad una fuga scomposta oppure se, pensando male, si potrebbe anche ipotizzare che la scelta di andarsene a gambe levate non nascondesse qualcosa di innominabile. La sfilata dei talebani alla guida dei mezzi militari e dotati di armamenti nuovi di zecca abbandonati, come si diceva, sì dall’esercito afghano in dissoluzione, ma anche dalle stesse truppe Usa, qualche sospetto ha ragione di essere sollevato. In fin dei conti qualche anno fa in Iraq non è che le cose fossero andate troppo diversamente con l’esercito iraqeno nelle stesse condizioni di quello (assolutamente sopravvalutato sia in termini di numeri che di preparazione) afghano. Con il risultato, allora, di concedere all’Isis armi e munizioni di prim’ordine e, ora, ai talebani di fare altrettanto.
Che ci sia un che di strano nella mancanza di memoria per i generaloni e strateghi statunitensi , pare piuttosto evidente. E’ anche vero che qualche giorno prima, da Bagram (principale base e aeroporto sotto il controllo Usa in Afghanistan) le truppe a stelle e strisce se ne sono andate alla chetichella e senza avvertire i (si fa per dire) padroni di casa. Ma è proprio questo andarsene di soppiatto che fa chiarezza sulla vera opinione che i comandi americani avevano della reale potenzialità dell’esercito locale.
D’atra parte lasciare un paese nel completo caos avrebbe provocato un danno di immagine ancora maggiore rispetto alla figura barbina che comunque si è rimediata. Meglio dunque che chi in ogni caso prima o poi avrebbe preso il potere, lo potesse fare alla svelta e dare un apparenza di stabilità ad un Paese nel panico. Chissà che magari nei famosi paragrafi segreti degli accordi di Doha non ci fosse anche un capitolo che prevedeva una soluzione del genere. Forse, forse, tra quarant’anni lo sapremo; in fin dei conti in Italia certe cose oscure non si sapranno mai…. Tutto sommato qualche scenario simile, come accennato in commenti fatti in altri interventi, giò è stato sperimentato. Come ad Idlib, nella Siria nord occidentale dove HTS (ex Al Nusra, ex Al Qaeda) governa da qualche annetto senza che nessuno ponga obiezioni e lo fa sempre col pugno di ferro, ma ridimensionando le proprie ambizioni e cercando di creare un’immagine del gruppo, tutt’ora nella lista dei terroristi, accettabile. Il suo leader Abu Muhammed al Julani è passato indenne attraverso parecchie avventure (senza che nessuno lo consideasse, come invece successo ad altri capi di gruppi estremisti, potenziale bersaglio dei droni Usa). Nel suo curriculum, stretti rapporti con Al Zarqawi (cosa peraltro da lui successivamente negata), le prigioni Usa in Iraq (Camp Bucca), e feroci battaglie per il potere contro l’Isis (tipo Raqqa) dopo essere stato delfino di Abu Bakr al Baghdadi; ora è riconosciuto come punto di riferimento unico tra i vari gruppi di estremisti islamici che nell’area nord occidentale della Siria si sono concentrati e sono ora dominati, appunto, da HTS.
E’ in questa regione infatti che Julani e le sue milizie hanno organizzato un governo con tutte le strutture che normalmente reggono un potenziale Stato. Che poi quella regione non possa essere ovviamente uno Stato, appare chiaro, ma l’esperimento pare funzionare anche grazie al contributo diretto del Qatar e quello a malincuore della Turchia, strappatole attraverso il ricatto di riversare qualche altro milione di profughi nel suo territorio. Certo, la Turchia preferirebbe guardare ai suoi diretti alleati in Siria, quelli che occupano la parte più a nord e al confine settentrionale invasa dalle sue truppe in varie fasi e poi lasciate nelle mani delle variegate fazioni che vengono definite generalmente “ribelli”. Gli stessi “ribelli” riconosciuti a vari livelli dai paesi occidentali come alternativa al governo di Assad. Il problema è che quell’accozzaglia di banditi perde più tempo a farsi una guerra interna tra I diversi gruppi che la compongono piuttosto che a cercare un metodo unico di gestione o governo. Ma al di là di questo, forse ci sarebbe da chiedersi com’è che tutti i vari leader dei gruppi radicali sono entrati nelle prigioni gestite dagli Usa e dopo alcuni anni di permanenza ne sono usciti pronti ad occupare le posizioni dei più alti comandi dei terroristi? Forse per diffondere più facilmente la democrazia? Non appare casuale, poi, che Qatar e Turchia siano i maggiori candidati alla gestione dell’aeroporto di Kabul. Per ora la Russia si limita a mandare qualche messaggio sia agli uni che agli altri protettori di HTS in modo che risulti chiaro che il suo ruolo in Medio Oriente e in Asia centrale è diventato e deve rimanere decisivo. Anche a costo di complicare i suoi rapporti con l’Iran ed Hezbollah che hanno identiche ambizioni di ritagliarsi la loro fetta di interessi nell’area, ma che fino ad oggi sono stati continui bersagli delle incursioni israeliane in Siria, senza che Mosca (salvo recenti dichiarazioni) sollevasse obiezioni. Ecco che in questo contesto, anche chi è stato finora ritenuto pericoloso terrorista può cercare di passare, attraverso un contenimento dei suoi istinti e con quel minimo di paraculismo, come opzione accettabile di governo in posti con dinamiche piuttosto complesse. Appare possibile che sia lo stesso metodo che verrà chiesto ai talebani di applicare in Afghanistan, con i quali probabilmente è già stato concordato. Cioè senza rinunciare all’ideologia, ma applicarla in modo che all’esterno possa passare per accettabile. Che poi le donne, gli avversari, i diritti in generale vengano bellamente calpestati senza creare eccessivo clamore, beh in fin dei conti si può fare. Anche perchè cosi’ si potrà tornare alle posizioni precedenti l’indecorosa fuga delle truppe occidentali e poter considerare tra qualche tempo l’Afghanistan un posto sicuro. Magari abbastanza sicuro per rispedire a casa coloro che sono stati, nell’iperbolica apoteosi mediatica tesa all’elogio degli eroi (angeli, sich!) di turno, evacuati in questo giorni. O meglio ancora, di quelli che proprio pochi giorni prima del ritorno dei talebani al potere, i vari Stati democratici europei si volevano liberare e rimandare in bocca ai barboni neri. Insomma, alla fine ci abbiamo provato per vent’anni a portare sta benedetta democrazia da quelle parti; abbiamo usato anche mezzi spicci come bombardamenti indiscriminati che se hanno colpito principalmente i civili è stato per sfiga; se poi questi pecorai non ne vogliono sapere del nostro modo di vivere, allora amen, si tengano i talebani. Riportiamo i nostri ragazzi a casa, che a noi è di quelli che interessa. Tanto, per difendere i vari interessi, quelli delle lobby degli armamenti che influenzano le decisioni dei paesi in cui regna veramente la democrazia, ci sono e saranno ben altre guerre in cui spendere bei miliardoni di dollari o euro e far aumentare le azioni in borsa e i soldoni nelle tasche degli azionisti di Boing, GE, Northrop Grumman, ma anche Finmeccanica (pardon, Leonardo) e molti altri produttori di armi, oppure delle aziende che procurano mercenari (sorry, contractors) che possano evitare le immagini delle bare avvolte nella bandiera Usa che turbano l’opinione pubblica. Giusto per dare una dimensione di quanto si e’ speso e si sta spendendo per le guerre in Afghanistan e Iraq (stime che possono anche essere parzialmente riviste sulla base di quali criteri si applicano ma che non si staccano in ogni caso di molto dalla realtà), secondo alcune fonti parliamo di 5.446.298.711.225 di dollari. Forse dirla così: “cinque mila quattrocentoqurantaseimiliardi duecentonovantottomilioni settecentoundicimila duecentoventicinque dollari” fa un effetto diverso e più chiaro. Forse, perche’ come al solito queste cifre non interessano a nessuno, anche se sarebbe salutare almeno pensare cosa altro si potrebbe fare con cifre anche molto meno consistenti. Pazienza. Docbrino