Dimissioni volontarie personale, lo specchio di una sanità lasciata senza risposte
I numeri delle dimissioni volontarie tra i lavoratori del servizio sanitario sono veramente importanti: superano di quasi trecento unità i pensionamenti, con un’incidenza del 46% sul totale delle uscite dalla sanità pubblica regionale nello scorso triennio (vedi tabella).
“Perché il personale scappa? A chiederlo è oggi con un documento la Cgil ed in particolare Orietta Olivo, segretaria generale e Pierluigi Benvenuto, responsabile sanità segreteria regionale. “Il Covid, spiegano, c’entra solo in parte: la pandemia, infatti, ha esasperato problemi preesistenti. Né si tratta solo di una questione economica. Ciò che incide maggiormente sono le condizioni di lavoro: turni stressanti, troppo ravvicinati, richiami in servizio nel giorno di riposo, ferie maturate ma non godute. Una vera e propria impossibilità, insomma, ad avere il recupero psico-fisico e anche solo un barlume di conciliazione fra tempi di vita e di lavoro. L’unica soluzione è assumere: solo così si sanerà la situazione”. “L’assessore Riccardi, spiegano i sindacalisti, stando a quanto dichiarato alla stampa, rimette la responsabilità al livello centrale. Non è una novità, le sue risposte sono sempre simili. Viene però da chiedersi che senso ha che il Fvg continui ad avere un assessorato alla salute, che Riccardi ha ricoperto negli ultimi cinque anni e si è avviato a ricoprire per altri cinque, se l’assessore non ha alcun potere di incidere sulle criticità esistenti”. È vero, aggiungono, che abbiamo difficoltà a trovare personale, è un mantra che ci sentiamo ripetere da tre anni, ma cosa ha fatto l’amministrazione regionale per invertire la rotta? Quando ha cercato di valorizzare il sistema pubblico? Penso si possa dire mai, anche perché non è questa la linea politica del governo regionale, che vede nell’implementazione del privato la soluzione dei problemi di salute dei cittadini del Fvg. Quanto al presidente Fedriga, sostiene che sta lavorando con il governo sul numero chiuso delle facoltà, ma i risultati si vedranno fra anni. Se si fosse iniziato tre anni fa, saremmo a metà strada con i medici e avremmo più professionisti sanitari già formati. Non dimentichiamo poi che la formazione degli operatori socio sanitari (Oss) è di esclusiva competenza della Regione. Riccardi afferma che bisogna togliere i tetti retributivi e garantire i percorsi di carriera: ha ragione. I tetti retributivi sono argomento nazionale, i percorsi di carriera sono modi per valorizzare il personale. E allora, poiché il Ccnl recentemente siglato prevede il sistema degli “incarichi” ai professionisti del comparto, dovrebbe sollecitare le nostre aziende sanitarie a rendere esigibili le novità contrattuali, perché questo è il nuovo modello di sviluppo professionale. Riccardi aggiunge che bisogna pagare le persone per quello che lavorano. Qui la leva è anche regionale e si chiama risorse aggiuntive: il tavolo sindacale con l’assessore sulla loro erogazione si è fermato a marzo e, nonostante le richieste di riattivarlo, resta fermo. Ci siamo lasciati con una richiesta di aumento delle risorse a disposizione, che sono sempre uguali da anni, non un euro in più, come se il sistema non fosse stato sconvolto da un evento straordinario come la pandemia e come se l’inflazione non esistesse”. Infine dalla Cgil un passaggio sul livello nazionale: “per evitare la fuga bisogna migliorare le condizioni di lavoro, aumentando il personale in servizio e facendo crescere le retribuzioni. La realtà è che il governo non ha ancora stanziato risorse per il contratto 2022-24 e la finanziaria di fine anno sarà l’ultima utile per garantire il rinnovo contrattuale. Se si perderà quel treno, i lavoratori e le lavoratrici non avranno aumenti: non un bell’esempio da parte del Governo, che dice di voler salvaguardare i salari, ma quando funge da datore di lavoro non caccia un euro! Salvo suggerire ai professionisti della sanità di dedicare il loro tempo libero al lavoro in altre strutture sanitarie, togliendo così l’esclusività del rapporto di lavoro, anche se (per ora) per un tempo limitato. Gli Ordini professionali degli infermieri plaudono, lo fa pure qualche sindacato regionale, ma l’unica risposta del Governo all’urgenza salariale, di fatto, è invitare chi lavora in sanità a lavorare di più di quanto già fa. Alla faccia delle centinaia di giorni di ferie accumulati e delle migliaia di ore di straordinario già sulle spalle”. “Non ci siamo proprio, concludono, e non è un caso se la situazione della sanità pubblica, di cui è specchio anche il Friuli Venezia Giulia, è uno dei grandi motivi della mobilitazione nazionale avviata da Cgil, Cisl e Uil. Mobilitazione che probabilmente non si fermerà dopo la terza delle tre manifestazioni indette a maggio”.