Er califfo

Cosa vogliamo farci, ogni tanto di califfo ne rispunta uno, qui in Siria. Un mesetto fa, invece, ci ha lasciato l’ennesimo rappresentante della categoria. Il triste spettacolo a cui gli Usa ormai ci hanno purtroppo abituato, si ripete con scadenza variabile ma puntuale. Inutile ripetere quanto già commentato da chi ha una conoscenza ed esperienza di cose mediorientali che purtroppo non posso permettermi. Alberto Negri ha già descritto, come continua a fare da anni su questioni internazionali ma purtroppo con poche orecchie disposte ad ascoltarlo, con estrema chiarezza i risvolti dell’operazione che ha portato all’eliminazione del (ormai ex) neo califfo nero, il capo dell’ISIS. A parte lui, infatti mi pare non ce ne siamo molti in giro che riescono a disegnare il quadro mediorientale con la stessa chiarezza e competenza; certo Negri non ha bisogno del mio parere, ma vale la pena ricordarlo. L’unico califfo che io ricordi con il rammarico per sua dipartita, è Franco Califano, per l’appunto “Er Califfo”; certamente non questi loschi figuri che pretenderebbero di farci vivere nell’oscurantismo delle loro (peraltro presunte) pratiche. Detto ciò, andiamo avanti. Credo valga la pena sottolineare, oltre naturalmente all’evidenza che Usa e Turchia sapevano con esattezza dove si trovava Abdulah Qardash (troppo lungo citare il suo nome per intero) e non certo da ieri, che la sua eliminazione come spesso accade, arriva a puntino ed in seguito al colpo che l’ISIS è riuscito ad assestare nella prigione di Hasake. Azione conclusa con un numero imprecisato di morti, 320-330, ancora non si sa, tra combattenti e prigionieri dell’ISIS, esercito e polizia del NES e civili. Conclusa del tutto in realtà e secondo voci non proprio. Alcuni, anche qui un numero imprecisato, tra assalitori e prigionieri sono riusciti a tagliare la corda e forse sono ancora nei paraggi della cittadina al centro della regione. O forse chi sta dietro questa operazione, ha già pensato anche ad accogliere qualche capoccia, chi lo sa , magari il prossimo califfo. Pare che le migliori scuole siano proprio le galere in cui questi ceffi sono ospitati, come Camp Bucca per esempio che aveva tra i suoi detenuti entrambi gli ultimi due califfi.
Al di là del fatto che l’ordine sia stato o meno ristabilito, ciò che è emerso con chiarezza, è l’inadeguatezza del sistema di sicurezza che dovrebbe garantire tranquillità alla popolazione locale e che sia in grado di tenere qualche migliaio di ex combattenti (che poi tra i detenuti ci fossero anche centinaia di minori, è altra questione su cui varrebbe la pena soffermarsi) al sicuro all’interno di carceri meno penetrabili rispetto a quella devastata nei giorni scorsi ad Hasake. Chi passa vicino alla prigione si può rendere da solo conto di quanto la sicurezza possa essere garantita in quella struttura. Certo, non è solo la prigione di Hasake l’anello debole del sistema; episodi del genere magari meno eclatanti ma sicuramente altrettanto potenzialmente esplosivi possono accadere all’interno dei campi di Al Hol e Roj il cui controllo e’ solamente in teoria nelle mani dell’esercito o della polizia del Nord Est Siriano, mentre l’ISIS e la criminalità sono in grado di taglieggiare, minacciare, ingaggiare militarmente i servizi di scurezza del campo e, non ultimo, assassinare impunemente. Non sarebbe nemmeno male conoscere la veridicità le voci che qualche tempo fa raccontavano di elicotteri Usa che prelevavano alcuni capi di Daesh dalla stessa prigione per portarli non si sa bene dove; in Afghanistan forse, dove L’Isis si sta rafforzando e radicando.
Ma, tornando all’uccisione dell’erede di Al Baghdadi, qualcuno si pone la domanda del perché’ Abdallah Qardash non sia stato “neutralizzato” (termine per indicare l’eliminazione fisica in gergo Usa) con un drone; secondo Biden & C. il motivo sarebbe da ricercare nel tentativo di catturarlo vivo. Anche qui le versioni ufficiali secondo cui il “codardo” (negli Usa da John Wayne in poi non c’è peggiore insulto) a cui si era concessa l’opzione di arrendersi si è fatto saltare assieme alla famiglia, divergono dalle testimonianze oculari (tutte da confermare) che invece raccontano di un corpo non dilaniato ma con una ferita da arma da fuco alla nuca. Nel dubbio, meglio un cadavere che tanto non rischia certo di parlare. Poi, vuoi mettere, un’azione da parte dei commandos rispetto all’asetticità del drone? E lo spettacolo, dove lo mettiamo? E poi, due ore e mezza di combattimento con chi, se la casa era in mezzo a poche altre i cui abitanti mai hanno sospettato dell’identità del vicino ospite… ; con chi hanno combattuto le forze speciali Usa? La zona in cui si è svolta l’eroica impresa dell’eliminazione del nuovo califfo, è quella di Idlib, un’area in cui si sono asserragliati i militanti di HTS (Hayat Tahrir al Sham), eredi di Al Nusra e nipoti di Al Qaeda e di cui hanno il pieno controllo. Pieno, pieno forse no, nella zona ci sono parecchi “posti di osservazione” turchi, in sostanza piccolo basi dell’esercito di Ankara. E’ chiaro che all’interno di quella sacca niente si muove senza che la Turchia ne sia al corrente; forse gli Usa non sono altrettanto bene informati sulla situazione, ma certo non si fanno sfuggire il controllo delle dinamiche più importanti all’interno della regione.
Ma dando pure per scontato anche questo, cioè che Usa e Turchia sapessero da tempo dove viveva Abdullah Qardash, ciò che risulta un po’ più strano è che tra ISIS e HTS ufficialmente non corre buon sangue. Nel passato, si sono legnati di santa ragione e ISIS aveva cacciato (per esempio) Al Nusra da Raqqa al tempo del califfato e dopo un duro scontro armato. Come faceva Qardash (tanto quanto AL Bagdhadi all’epoca) a vivere serenamente in una zona in cui governano i suoi nemici? Sono di nuovo amici come in origine del movimento di AL Qaeda in Iraq? Oppure la Turchia è in grado di tenere entrambe le parti sotto il suo vigile sguardo? E gli Stati Uniti, che fanno?
Come si può intuire, la questione è controversa e probabilmente c’è del marcio, stavolta non in Danimarca. Comunque sia, un po’ come per i papi, morto un califfo, se ne fa un altro; perlomeno fino a che questo farà comodo a qualcuno. Che però questa uccisione non faccia eccessivo piacere ai turchi, potrebbe essere letto tra le righe dei recenti e sempre più insistenti attacchi dei droni di Ankara nella regione che dopo le varie occupazioni turche ancora si può definire Rojava. Negli ultimi tempi ben tre obiettivi attaccati con i droni si sono concentrati in un’area molto ristretta e fino ad oggi rimasta piuttosto fuori da eventi bellici. Tra Amuda e Derbasie, un tratto di strada che si percorre in mezzoretta, per ben tre volte gli ordigni lanciati dai droni hanno centrato due volte un auto in corsa ed una volta l’interno di una base delle forze di difesa civile, obiettivi poco strategici. Ieri, altro attacco con drone a Tel Tamer, sempre nella stessa zona ma stavolta molto vicino ad una base russa. Che si tratti di messaggi probabilmente in “codice” pare abbastanza chiaro, tanto quanto I recenti bombardamenti nella zona di Derek, l’estrema punta della Siria al confine con Turchia e vicino all’unico valico aperto con l’Iraq, in realtà con il Kurdistan iracheno.. Il botto provocato da uno degli attacchi si è sentito piuttosto bene, essendo caduto a meno di duecento metri da dove mi trovavo, pur non dando l’idea di trattarsi di un ordigno di grande potenziale. Il coprifuoco proclamato in seguito dell’attacco alla prigione, per ora è stato rimosso in parte della regione del Nord Est, ma rimane attivo in tutta la parte centro-sud; Deir ez Zor, Hasake, ed Al Hol, il famigerato campo.
Se qualche tempo fa si poteva intravedere qualche spiraglio di soluzione di questa interminabile crisi, gli eventi attuali pare smentiscano questa illusione. Intanto la crisi economica si dilata, le file ad alcune stazioni di benzina sono interminabili e il Syrian Pound, la moneta locale, pur mantenendo una certa stabilità nel cambio, diventa sempre più leggera nelle tasche della maggioranza della gente. Povertà che fa da contraltare all’aumento vertiginoso di suv koreani sempre di seconda mano, ma abbastanza nuovi e decisamente più costosi rispetto alla media locale, che arrivano dal Kurdistan iracheno e che chi in questo periodo è riuscito ad approfittare delle opportunità che ogni guerra concede a pochi privilegiati, riesce ad acquistare. Nuove auto per nuovi benestanti che sfrecciano sulle malandate strade alcune delle quali, come quella per Raqqa, appena riasfaltate, ma che il prossimo inverno probabilmente riprenderanno le precedenti condizioni; e che alle file che si creano ai vari check point si mettono in sorpasso quasi a dimostrare che una nuova e limitata condizione sociale sta nascendo, portandosi dietro i presunti privilegi che ciò comporta. La guerra continua mentre i negozi che vendono vestiti e scarpe di seconda mano, si aprono sempre più numerosi. La guerra non è fatta di soli morti, sempre troppi, ma si vede anche in questi piccoli dettagli.

Docbrino