Esercitazione aerea Astral Knight 2019 nei cieli del Friuli, tutto funzionale a un modello di difesa incostituzionale
In questi giorni i cieli del Friuli “ospitano” l’esercitazione militare aerea Astral Knight 2019. Operazione di addestramento ad Aviano coordinata dall’Us Air Forces in collaborazione con Italia, Croazia, Germania e Slovenia. Coordinata dalla forza aerea statunitense vuol dire ovviamente che gli altri partner sono di contorno, insomma comandano gli Usa. Nulla di nuovo sotto e sopra il cielo perchè il nostro “sistema di difesa” è integrato o meglio funzionale, da sempre ai desiderata a stelle e strisce. Quella Astral Knight 2019, è stato annunciato, sarà solo l’anteprima di quanto è in programma dal prossimo anno quando l’addestramento vedrà la partecipazione di altri stati membri della Nato. Ma in cosa consiste questa operazione di simulazione di guerra aerea? In sostanza verranno attivati sistemi di difesa sia di intercettazione aerea che missilistica con operazioni di volo, che già sentiamo sopra le nostre teste, affiancati da scenari operativi simulati al computer. Giochi di guerra con l’obiettivo dichiarato di “migliorare l’integrazione, il coordinamento e l’interoperabilità delle capacità aeree e terrestri europee e statunitensi”. Secondo quanto diffuso almeno una trentina di velivoli parteciperanno all’esercitazione USAF, con la presenza degli ormai famosi F-35A Lightning Iis, degli Eurofighter Typhoon dell’aviazione italiana. Presenti anche F-16 Fighting Falcons, Kdai C-135 Stratotankers agli E-3 Sentry e i MiG-21 croati. In una nota ufficiale il capo delle forze aeree americane Robert Umholtz, US Air Forces in Europa , ha spiegato che: “Lavorare con altre nazioni garantisce la cooperazione regionale degli alleati della Nato”. “Se integriamo la quinta generazione di aeromobili, (F35 ndr) man mano che andiamo avanti, meglio potremo operare come una forza aerea unica, una forza congiunta, una coalizione”… basta che comandiamo noi, verrebbe da aggiungere . Inutile dire che la star dell’operazione sarà appunto il cacciabombardiere F-35A, le cui caratteristiche completano e migliorano le capacità degli aerei di quarta e di altri velivoli della 5a generazione, almeno in teoria visto che la storia di questo nuovo aereo è costellata da incidenti ed errori progettuali una parte dei quali, dicono i meglio informati, non ancora del tutto risolti. In generale, sembra che siano stati rilevati e non ancora eliminati un migliaio di difetti diversi: secondo gli esperti dell’organizzazione no profit “Project of State Supervision” (POGO, Project on Government Oversight), il Pentagono cercherebbe di nascondere difetti critici, quali i 111 problemi con il sistema di espulsione del pilota e gli 855 con la determinazione delle coordinate di bombardamento. Indicativo, inoltre, come il software del caccia sia è stato resettato più di 30 volte, ma funzioni ancora con vari errori. Difficile valutare se si tratta di analisi serie anche perchè, anche se la fonte appare attendibile, non chiaro è come questi analisti indipendenti siano venuti in possesso dei dati classificati segretissimi. Comunque di reale ci sono i tanti incidenti, basti pensare che un ennesimo disastro è avvenuto l’9 aprile scorso in Giappone provocando la morte del pilota. Questa la versione ufficiale: “Alle ore 7:27 pm di martedì (9 aprile) il jet monoposto F-35A è scomparso a est della base aerea di Misawa, nella prefettura di Aomori, nella parte settentrionale di Honshu, l’isola più grande del Giappone. L’aereo stava conducendo un’esercitazione insieme ad altri tre F-35 quando è scomparso dai radar appena 28 minuti dopo il decollo. Il pilota, attualmente disperso, aveva all’attivo 3.200 ore di volo ma solo 60 sull’F-35 e non ha segnalato problemi. L’aereo si è schiantato in acque la cui profondità raggiunge circa 1.500 metri (4.920 piedi), rendendo difficile il recupero, in particolare del suo registratore di volo o della scatola nera”.
Secondo notizie di stampa del sol levante piccole sezioni dell’ala sarebbero state recuperate dall’Air Self Defense Force giapponese che faceva trasparire grande preoccupazione non tanto per la sorte del pilota, quasi certamente deceduto nell’impatto, ma per il fatto che recuperare il sofisticato jet da guerra diventa fondamentale, soprattutto prima che Russia e Cina ci mettano le mani dato che il relitto si trova in acque internazionali . Ovviamente la causa dello schianto finora è sconosciuta, e “avremo bisogno di collaborare con le forze statunitensi e credo che vengano presi degli accordi”, aveva dichiarato a caldo il ministro della Difesa giapponese, Takeshi Iwaya. Detto fatto e solo due giorni dopo l’incidente una parte della coda dell’aereo è stata trovata proprio dalle forze armate americane che sono preoccupate, come, se non di più dei giapponesi. Lo ha evidenziato il giornale specializzato Business Insider secondo cui l’incidente dell’F-35 nel Pacifico rappresenta la prima opportunità in assoluto per la Russia e la Cina di mettere le mani sul sistema d’arma F-35. Le due super potenze rivali, che mantengono entrambe una forte presenza navale nella regione, potrebbero trovare per prime l’aereo precipitato in mare in acque internazionali. “Non c’è un prezzo troppo alto in questo mondo che Cina e Russia non paghino per ottenere l’F-35 mancante del Giappone, se possibile. Un grosso problema”, ha twittato Tom Moore, un esperto di Russia e proliferazione delle armi. Preoccupazioni mal celate anche da parte del produttore Lockheed Martin. Come è noto l’F-35 è un caccia di quinta generazione con caratteristiche stealth, ovvero a bassa rilevabilità radar quindi potenzialmente non inquadrabili dai sistemi missilistici più sofisticati. Realizzato dalla divisione Aeronautica della statunitense Lockheed Martin, prime contractor del programma Jsf (Joint Strike Fighter). “Siamo consapevoli dell’incidente che è stato segnalato in merito a un F-35A giapponese e siamo pronti a sostenere l’Air Self Defense Force, se necessario”, ha dichiarato un portavoce della Lockheed Martin in una nota. L’azienda ha due sedi produttive internazionali – una in Giappone e l’altra come è noto in Italia (la Faco di Cameri ndr) – che conducono i lavori di assemblaggio finale del jet. Non è la prima volta che un F-35 precipita. Questo ultimo incidente segue infatti un altro incidente quando lo scorso 28 settembre un F-35 dello US Marine Corps si schiantò in South Carolina, negli Usa. Quello era un F-35B, una variante realizzata per avere capacità di decollo e atterraggio verticale simili a quelle di un elicottero in volo. I dati iniziali hanno indicato problemi con un tubo del carburante. In quel caso il pilota si è espulso con il seggiolino ed è sopravvissuto. Come ha ricordato il New York Times, gli Stati Uniti hanno temporaneamente messo a terra l’intera flotta di circa 220 F-35 per poi rimetterli in volo. Al momento, nessun altro paese partner del programma F-35 ha messo a terra i suoi velivoli stealth. La Gran Bretagna ha detto che sta esaminando lo stato dei suoi 17 jet F-35B e altrettanto l’Australia. L’esercito israeliano ha fatto sapere che non vi è alcun impatto immediato sulle sue operazioni con gli F-35, operazioni che non sono solo d’addestramento dato che l’F35 con la Stella di David è stato già utilizzato per bombardamenti in Siria anche se la versione israeliana sarebbe stata “elaborata” dagli ingegneri di Tel Aviv facendo innervosire non poco il Pentagono. L’aeronautica militare norvegese che ha preso in consegna nove dei 52 F-35 e si aspetta di riceverne altri sei quest’anno non prenderà alcuna misura. Lo stesso l’Olanda, che ha ordinato 10 F-35. E l’Italia? A parte i tentennamenti governativi il programma F35 prosegue … zoppicando, il costo complessivo dei novanta cacciabombardieri F-35 che l’Italia prevede di comprare è di almeno 14 miliardi di euro (di cui 4 già pagati), cui vanno aggiunti almeno 35 miliardi di euro di costi operativi e di supporto logistico per i trent’anni di vita prevista di questi novanta aerei. Si stima che complessivamente il programma, secondo i calcoli dall’ultima relazione disponibile redatta dalla Corte dei Conti, produca ricavi per l’industria (non per lo Stato) nell’ordine del 57% dei costi sostenuti (la metà di quanto previsto inizialmente) con una ricaduta occupazionale totale di circa 1.500 posti di lavoro, 900 nella FACO di Cameri, di cui almeno 600 precari, elemento che ha recentemente causato proteste e prime minacce di sciopero. Siamo ben lontani dai 6.400 posti di lavoro promessi inizialmente da Difesa e industria (oltre che da diverse forze politiche), numero già ridotto rispetto alla stima iniziale di 10.000 lavoratori. Insomma non proprio un affare che viene da chiedere alla fine a chi giovi, dato che quella miriade di miliardi potrebbero essere decisamente più utile se spesa in maniera diversa. Ma in realtà bisognerebbe discutere, una vota per tutta, del ruolo militare e geopolitico del nostro Paese e se il modello di difesa integrato nella Nato, oggi, abbia ancora un senso. Opinioni controverse ovviamente ma almeno discuterne sarebbe opportuno dato che nei fatti non è mai stato fatto seriamente e pubblicamente. Invece passano i governi e nulla accade, anzi tutto continua ad accadere. Così in continuità con il passato non solo il progetto F35 prosegue, ma continuano le spese legate ad un ruolo militare non di difesa, come vorrebbe la Costituzione che all’Art 11 recita:“L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”, ma in logica d’attacco, d’intervento militare all’estero, che si maschera con le più fantasiose definizioni: intervento umanitario, di polizia internazionale, antiterrorismo… tutto tranne la parola vera, quella che si fa ma non si può pronunciare… la guerra. Perchè se si bombarda un paese terzo o se ne calpesta il suolo con soldati e mezzi corazzati di questo stiamo parlando, con unica eccezione la partecipazione ad azioni delle Nazioni Unite non di coalizioni internazionali.
Ed invece non è così, basti pensare che poco più che 10 giorni fa, alla presenza del Capo della Stato Sergio Mattarella, del ministro della Difesa Elisabetta Trenta, del ministro dello sviluppo economico Luigi di Maio, e delle massime autorità militari, è stata varata, era il 25 maggio, nei Cantieri di Castellammare di Stabia (Napoli) la nave Trieste, costruita da Fincantieri.
Ma chiederete cosa centra una nave con gli F35? Centra eccome, dato che si tratta di una unità anfibia multiruolo e multifunzione della Marina militare italiana, definita dal Ministro Elisabetta Trenta «perfetta sintesi della capacità di innovazione tecnologica del Paese». Lunga 214 metri e con una velocità di 25 nodi (46 km/h), ha un ponte di volo lungo 230 metri per il decollo di elicotteri, caccia F-35B a decollo corto e atterraggio verticale e convertiplani V-22 Osprey , così recita la scheda tecnica.
La nave può trasportare nel suo ponte-garage veicoli blindati per 1200 metri lineari. Ha al suo interno un bacino allagabile, lungo 50 metri e largo 15, che permette alla nave di operare con i più moderni mezzi anfibi della Nato. In termini tecnici, è una nave destinata a «proiettare e sostenere, in aree di crisi, la forza da sbarco della Marina militare e la capacità nazionale di proiezione dal mare della Difesa». Insomma nulla che riguardi la difesa dei confini nazionali ma azioni d’intervento all’estero funzionali ai “desiderata” degli Usa. In termini pratici, si tratta di una nave da assalto anfibio che, avvicinandosi alle coste di un paese, lo attacca con caccia ed elicotteri armati di bombe e missili, quindi lo invade con un battaglione di 600 uomini trasportati, con i loro armamenti pesanti, da elicotteri e mezzi di sbarco. Insomma è un sistema d’arma integrato progettato non per la difesa ma per l’attacco in operazioni belliche condotte nel quadro della «proiezione di forze» Usa/Nato a grande distanza. Per farci cosa? Bisognerebbe chiederlo non solo agli attuali governanti ma anche al governo Renzi. La decisione di costruire la Trieste infatti fu presa nel 2014 dal governo Renzi/Alfano, presentandola quale nave militare adibita principalmente ad «attività di soccorso umanitario». Un soccorso umanitario da fare con cacciabombardieri ed elicotteri d’assalto. Il trucchetto della nave “umanitaria” ha consentito di metterla a bilancio a carico, udite udite, non del Ministero della difesa ma del Ministero dello sviluppo economico. 844 milioni di euro, nel quadro di uno stanziamento di 5.427 milioni per la costruzione, oltre che della Trieste, di altre 9 navi da guerra. Tra queste, due unità navali ad altissima velocità per incursori delle forze speciali in «contesti operativi che richiedano discrezione», ossia in operazioni belliche segrete. Il 25 maggio, momento del varo, il costo della Trieste è stato indicato in 1.100 milioni di euro, uno sforamento del preventivo di oltre 250 in più della spesa preventivata. In realtà il costo finale del “sistema d’arma” sarà molto più alto, poiché andranno aggiunte le spese per i gli F-35B e per gli elicotteri imbarcati, più quello di altri armamenti e sistemi elettronici di cui sarà dotata la nave. Insomma cambiano i governi e nulla cambia, almeno sul fronte difesa, altro che governo del cambiamento. Del resto, ha spiegato in sostanza la ministra pentastellata Trenta, l’innovazione tecnologica in campo militare deve essere supportata dalla certezza dei finanziamenti. Ossia da continui, crescenti finanziamenti con denaro pubblico anche, con il trucco, da parte del Ministero dello sviluppo economico oggi guidato da Luigi Di Maio che su questo nulla ha avuto da eccepire. Del resto alla cerimonia del varo lo stresso Di Maio ha promesso agli operai campani altri investimenti: ci sono infatti da costruire altre navi da battaglia perchè, come raccontava Alberto Sordi in un film del 1974 “finchè c’è guerra c’è speranza”.
Fabio Folisi