Fiume o morte

Lo slogan, piuttosto truce già nel settembre 1919, è ricomparso sulle magliette di alcuni partecipanti alle manifestazioni di Ronchi e Monfalcone celebrative del centenario della partenza dal territorio “bisiacco” della impresa fiumana di D’Annunzio. Frase che nel 1919 aveva un senso mentre oggi sembra una imitazione del design dei fans dello stato islamico. L’occasione dell’anniversario ha innescato un pullulare di iniziative, distinguibili, ma non sempre, in due categorie. Momenti di approfondimento storico e culturale da un lato, e dall’altro una ambigua volontà di riattualizzare la conquista della città adriatica come alto esempio di amor di patria. Le terre conquistate e poi perdute sono sempre utilizzabili dalla politica.

Novità divulgativa sui mass media e allo stesso tempo sdoganameno dell’impresa fiumana dalla “damnatio” nazional-fascista è stata la narrazione della sostanziale ostilità tra le figure di D’Annunzio e Mussolini. L’uno collocato nel ruolo di romantico rivoluzionario e l’altro costruttore scientifico di una dittatura. Il primo inventore del populismo e interprete dei suoi valori, l’altro sfruttatore di un modello comunicativo per impadronirsi del potere e modellare il popolo a suo uso e consumo. Da una parte valori e diritti, libertà ed emancipazione, dall’altra lo stato di polizia.

La chiave interpretativa principale del centenario non va ricercata nelle celebrazioni di Ronchi e Monfalcone e nelle loro contese sul punto di partenza dei “legionari”. La novità sta nella iniziativa del Comune di Trieste di realizzare una statua di D’Annunzio letterato nel cuore della città, a far compagnia a quelle di Joice e Saba. Di fatto la Trieste ufficiale si è impadronita di D’Annunzio, convinta di poter gestire contemporaneamente sia lo sdoganamento cuturale dell’impresa di Fiume, sia il nazionalismo politico tradizionale. Ma non tutte le ciambelle vengono con il buco.

D’Annunzio con Trieste non “c’azzecca”. Non mi risultano amanti di rilievo, non ho notizia di particolari debiti qui contratti, e nemmeno di invenzioni “copy right” (a fini commerciali) relative a qualche particolare prodotto alimentare. Se poi il monumento viene inaugurato il giorno del centenario dell’impresa militare, quella è il valore di riferimento. Che D’Annunzio fosse un poeta e scrittore di valore, nonché forse un precursore del 68, è puramente casuale.

A parte i giovani entusiasti pronti ad andare in prima linea, l’impresa di Fiume a Trieste, negli ambienti economici, destava interesse per i possibili risvolti geo politici connessi alle ripercussioni di traffico sul proprio porto. Meglio un vicino subordinato o un concorrente nel retroterra danubiano balcanico?

La mancanza di una qualche relazione di DAnnunzio con Trieste non ha turbato la Giunta comunale di Trieste e il suo sindaco. Interessava lanciare un messaggio di italianità, da estendersi a tutte le terre perdute nell’Alto Adriatico, dall’Istria a Zara. L’ambiguità politica dell’impresa di Fiume e la modernità “rivoluzionaria” del suo “vate” vanno a pennello. E se poi qualche esagitato pensa di imitare la marcia del 19, si può sempre deprecarlo. Ma la “difesa” dei confini, magari storici e virtuali, è considerato ancora un messaggio potente da utilizzare nella politica di ogni giorno. E questa non è solo prerogativa del Comune di Trieste ma di tutta la classe politica di governo attuale del F-VG a imitazione delle esternazioni del “capitano” nelle sue frequenti visite da queste parti. I soldati di Tito sono sempre in zona pronti ad azzannarci.

Peccato che toccare alcuni nervi scoperti sia molto pericoloso. Proprio dal Piccolo di Trieste si scopre che nello stesso giorno in cui il governo croato inviava in Italia la nota di protesta per le celebrazioni fiumane e per l’inaugurazione della statua di D’Annunzio, c’erano altre due notizie di ordinaria follia balcanico-adriatica. Una rottura diplomatica tra Croazia e Serbia, quasi a conclusione di una escalation di continue punzecchiature e dispetti (come l’impedire ad una delegazione militare serba di visitare in divisa Jasenovac) e la decisione del governo sloveno di risarcire i propri pescatori delle multe pagate alla Croazia per aver operato nelle acque del golfo di Pirano contese tra i due stati.

Per i tre stati che fanno parte dell’Unione Europea mi pare proprio che non ci siamo.

Giorgio Cavallo