Giornalista uccisa a Kabul, era impegnata nel sostenere i diritti delle donne afgane
Mena Mangal, ex presentatrice televisiva e consigliere culturale per la Camera bassa del Parlamento Afghano, è stata uccisa domenica scorsa a colpi d’arma da fuoco in un agguato nella zona orientale di Kabul, mentre si apprestava a uscire di casa per andare al lavoro. L’impegno nella difesa dei diritti delle donne afghane e la passione per il giornalismo sono state al centro della sua breve ma intensa vita. Un portavoce del ministero dell’Interno, Nasrat Rahimi, ha fatto sapere che le indagini sono state “prontamente avviate e non escludono alcuna pista”. Gli aggressori sono scappati dalla scena del delitto senza lasciare tracce. Nessuno al momento ha rivendicato la morte di Mangal la polizia, per ora, parla di un possibile sospetto indicato dal padre della Mangal. La famiglia ritiene siano coinvolti gli ex suoceri della giovane vi sarebbe insomma la possibilità di una causa familiare anche se la sua attività in favore delle donne in un paese dove ancora sopravvive una concezione della donna arretrata fa sospettare che il movente sia legato alle sue posizioni politico-sociali.
Mena Mangal è stato un volto di primo piano per oltre un decennio della TV privata Ariana, aveva poi lavorato per il canale televisivo Tolo, in lingua phastu, fino ad arrivare all’emittente televisiva nazionale Shamshad. Una carriera di primo piano nonostante Mena avesse compiuto da poco 30 anni. Molto attiva sui social, pubblicava post e discussioni sui diritti delle donne afghane e le spronava a lavorare e ad andare a scuola. Altro tema su cui ha scritto ampiamente, i matrimoni forzati. Lei stessa era stata una sposa bambina che in età adulta si era opposta al suo destino ottenendo nel 2017 il divorzio, sentenza emessa dopo un lungo processo confermata all’inizio di maggio. Era così diventata così una paladina del mondo femminile oppresso da una pratica che coinvolge anche bambine di soli 10 anni. Pare inoltre che nelle ultime settimane la giornalista aveva ricevuto sulle sue pagine social numerose minacce di morte da profili anonimi. Il portavoce della polizia ha assicurato che un’unità speciale stia indagando per capire se possa esserci un legame con l’omicidio. Gli inquirenti tuttavia sembrano propendere più per la “comoda” pista dell’omicidio per ragioni personali. Non la pensano così amici e colleghi di Mena, i quali ritengono possibile che sia stata assassinata per il suo attivismo nel promuovere l’emancipazione delle donne attraverso lo studio. Infatti anche se i leader dei talebani abbiano affermato in recenti colloqui con i negoziatori statunitensi che non “insistono” più sul divieto dell’istruzione e dell’occupazione delle ragazze e le donne afgane, gli attivisti sono rimasti diffidenti e hanno espresso la preoccupazione che in realtà non vi sono alcune garanzie e che un accordo di pace possa favorire un ritorno delle repressioni dell’era talebana.