Il sistema dell’accoglienza a Trieste: report statistico 2018
Questa mattina(7 giugno) è stato presentato, nella sede della Caritas di via di Cavana 16 a Trieste, il report statistico dell’accoglienza dell’anno 2018.
«Questo report è per noi un appuntamento annuale», afferma don Amodeo della Caritas, realtà che ha curato il report insieme agli altri enti gestori dell’accoglienza (ICS, Lybra, Duemilauno) e con il contributo grafico de La Collina.
«Lo facciamo per lavorare in trasparenza, quelli che presentiamo sono i dati ufficiali e condivisi con la Prefettura», continua don Amodeo. «Al momento questa città, relativamente alla presenza di rifugiati, non ha problemi di ordine pubblico. Trieste è un modello civile e pacifico di convivenza, con appartamenti dislocati in tutta la città che permettono il contatto degli accolti col resto della cittadinanza».
A esporre i contenuti del report è Gianfranco Schiavone, presidente di ICS: «Il primo dato rilevante è che abbiamo sempre più persone di quanti sono i posti disponibili in accoglienza. Ciò è dovuto al forte aumento di arrivi verificati nel corso del 2018, confermati nei primi mesi del 2019». Se un amento c’è, però, «non siamo in una situazione emergenziale». Per questo motivo «non vogliamo aumentare i posti “ordinari” dell’accoglienza, anche perché non si riuscirebbe a garantire l’inclusione sociale degli accolti. C’è invece bisogno di un’attenzione maggiore per garantire la prima accoglienza e i trasferimenti verso altre città meno esposte agli arrivi».
Il report testimonia, continua Schiavone, che abbiamo una popolazione di richiedenti asilo e rifugiati giovane e composta per un terzo da nuclei familiari: «è un’enorme ricchezza sociale, specie per un Paese che invecchia rapidamente e nel quale la forbice tra popolazione attiva e non attiva sta diventando drammatica».
Dal report risulta anche che numero degli appartamenti quasi coincide con quello dei proprietari: «niente palazzinari insomma, e i prezzi degli affitti sono quelli ordinari di mercato». Per quanto riguarda l’integrazione e la formazione degli accolti, il report si occupa anche del numero elevatissimo di corsi di italiano, corsi di formazione, tirocinii attivati ed enti coinvolti. «Si tratta di risorse economiche che vanno al territorio, a enti che non sono Caritas e ICS», osserva Schiavone.
Dove vanno a finire i soldi, in sintesi? A Trieste. Ma «lo scenario che si potrebbe profilare a seguito delle scelte non lungimiranti dell’attuale governo sono – afferma Schiavone – inquietanti»: «i tagli sono netti e insensati. Dove mettiamo le persone? Chi le seguirà? La politica non dà risposte e dà invece informazioni demagogighe. In tal modo non ci sarà un risparmio ma si creerà disagio, perché le persone non spariranno nel nulla e continueranno a esserci».
Un dato particolarmente grave è l’annullamento, con il nuovo bando, di tutte le attività di integrazione sociale e di formazione. Il risultato è che si avranno «centri-pollaio, possibilmente di enormi dimensioni, dove “parcheggiare” le persone, producendo tensione sociale». Le conseguenze saranno gravi anche a livello occupazionale: «sono 278 i dipendenti che rischiano il posto di lavoro, la gran parte dei quali (241) hanno contratti a tempo indeterminato». Schiavone precisa, a scanso di equivoci, che se la richiesta è di fare i «guardiani del pollaio», snaturando completamente la natura dell’accoglienza, «non saremo noi a farlo».
L’associazione dei medici volontari Don Kisciotte ha invece curato la parte relativa alla salute della prima accoglienza: «la tabella rappresenta l’esito delle visite che abbiamo eseguito al centro di prima accoglienza Casa Malala», afferma Andrea Collareta. «Il tipo di disturbo è quello caratteristico di una popolazione che ha avuto un periodo recente in cui è stato sottoposto a stress fisico e psichico. Non si registrano rilevanti patologie infettive. In sostanza si tratta di persone in salute».
Schiavone aggiunge: «si registrano però molti casi di violenza subita nel viaggio. Si tratta di persone ferite, anche da arma da fuoco, anche minori. Le violenze si verificano soprattutto in Croazia al confine con la Bosnia Erzegovina, e sono compiute sia dalla polizia che dalle bande, come testimonia anche un recente rapporto curato da Amnesty International. Trieste è il primo luogo sicuro nel quale queste persone arrivano».
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