Indice mondiale della libertà di stampa 2024: anche il giornalismo italiano sotto pressione politica e censura

Secondo il Press Freedom Index 2024 a cura di Reporters Without Borders (RSF) il giornalismo mondiale è sempre di più nel mirino di governi e poteri forti. In più di tre quarti dei paesi valutati nell’Indice (138 paesi), la maggior parte degli intervistati ha riferito che gli attori politici nei loro paesi erano spesso coinvolti in campagne di propaganda o disinformazione. Questo coinvolgimento è stato descritto come “sistematico” in 31 paesi.

Nell’Europa orientale e in Asia centrale, la censura dei media si è intensificata in una spettacolare imitazione dei metodi repressivi russi, soprattutto in Bielorussia (scesa di 10 posizioni al 167° posto), Georgia (103° posto), Kirghizistan (120° posto) e Azerbaigian (scesa di 13 posizioni al 164° posto). L’influenza del Cremlino è arrivata fino alla Serbia (scesa di sette posizioni al 98° posto), dove i media filogovernativi trasmettono propaganda russa e le autorità minacciano i giornalisti russi in esilio. La Russia (162° posto), dove Vladimir Putin è stato rieletto, senza sorprese, nel 2024, continua a combattere una guerra in Ucraina (61° posto) che ha avuto un grande impatto sull’ecosistema dei media e sulla sicurezza dei giornalisti.  Arriviamo alla guerra  a Gaza segnata da un numero record di violazioni contro giornalisti e media già dall’ottobre 2023. Più di 100 reporter palestinesi sono stati uccisi dalle Forze di difesa israeliane, e di questi  almeno 22 nel corso del loro lavoro.  Occupata e sottoposta a continui bombardamenti israeliani, la Palestina è al 157° posto su 180 paesi e territori esaminati nel World Press Freedom Index 2024, ma è tra gli ultimi 10 per quanto riguarda la sicurezza dei giornalisti ( vedi la classifica sulla sicurezza del World Press Freedom Index 2024 ).  Quanto sta accadendo in Libano in queste ore non promette nulla di buono anche sul piano dell’informazione.

Sebbene il 2024 sia probabilmente  l’anno elettorale più importante nella storia mondiale, dopo le elezioni europee c’è l’attesa per le presidenziali Usa anche il 2023 ha visto anche elezioni decisive, soprattutto in America Latina, vinte da autoproclamati in realtà predatori della libertà di stampa e del pluralismo dei media, come Javier Milei in Argentina (sceso di 26° al 66° posto), che ha chiuso la più grande agenzia di stampa del Paese in un preoccupante atto simbolico.  Ma le elezioni sono spesso accompagnate da violenze contro i giornalisti, come in Nigeria (112°) e nella Repubblica Democratica del Congo (123°). Le giunte militari che hanno preso il potere con i colpi di stato nel Sahel, in particolare Niger (sceso di 19° all’80° posto), Burkina Faso (sceso di 28° all’86° posto) e Mali (sceso di uno al 114° posto), continuano a stringere la presa sui media e ostacolare il lavoro dei giornalisti. Anche la rielezione di Recep Tayyip Erdogan in Turchia è fonte di preoccupazione: classificatosi al 158° posto, il Paese continua a perdere punti nell’Indice.  A questo si aggiunge che in assenza di regolamentazione, l’uso dell’intelligenza artificiale generativa nell’arsenale della disinformazione per scopi politici il rischio che prevalgono le fake è altissimo.  Già oggi i deepfake occupano una posizione di primo piano nell’influenzare il corso delle elezioni.

Molti governi hanno intensificato il controllo sui social media e su Internet, limitando l’accesso, bloccando gli account e sopprimendo i messaggi che contengono notizie e informazioni. I giornalisti che dicono ciò che pensano sui social media in Vietnam (174°) vengono quasi sistematicamente rinchiusi. In Cina (172°) il governo continua a esercitare un controllo rigoroso sui canali di informazione, implementando politiche di censura e sorveglianza per regolamentare i contenuti online e limitare la diffusione di informazioni ritenute sensibili o contrarie alla linea del partito. ma la situazione è seria anche in paesi dalla consolidata tradizione democratica, dove alcuni gruppi politici alimentano l’odio e la sfiducia nei confronti dei giornalisti insultandoli, screditandoli e minacciandoli. Altri gruppi direttamente e più spesso indirettamente stanno orchestrando l’acquisizione del sistema dei media, sia mettendo sotto controllo  i media pubblici, sia tramite media privati “fidati” che acquisiscono media. L’esempi che vien fatto dal rapporto è quello  di Giorgia Meloni (46°) – dove un membro della coalizione parlamentare al governo sta cercando di acquisire la seconda più grande agenzia di stampa ( AGI ) – è scesa di cinque posizioni quest’anno.  A questo aggiungiamo che i gruppi politici spesso fungono da canali di diffusione o addirittura da istigatori di campagne di disinformazione guardandosi bene da avere la mediazione e il controllo dei giornalisti tendendo a  relegarli a semplici passacarte. Interessante è la scheda che Reporter Senza Frontiere (RFS) (Reporters Without Borders) dedica al nostro paese: “La libertà di stampa in Italia continua a essere minacciata dalle organizzazioni mafiose, in particolare nel sud del paese, così come da vari piccoli gruppi estremisti violenti. I giornalisti denunciano anche i tentativi dei politici di ostacolare la loro libertà di occuparsi di casi giudiziari tramite una “legge bavaglio” in aggiunta alle procedure SLAPP (azioni legali tese a  intimidire o  bloccare i giornalisti o più in generale la partecipazione alla vita pubblica) sono prassi comune in Italia.

Panorama dei media
Il panorama mediatico italiano è sviluppato e ha un’ampia gamma di canali mediatici che garantiscono una diversità di opinioni. Il settore radiotelevisivo comprende diversi canali televisivi pubblici (come Rai 1 ) e stazioni radiofoniche, così come molti canali mediatici privati. Questa diversità si riscontra anche nei media cartacei, che includono circa 20 quotidiani (come Corriere della Sera e La Repubblica ), circa 50 settimanali (come L’Espresso e Famiglia Cristiana ), e molte riviste e vari siti web di notizie.

Contesto politico
Per la maggior parte, i giornalisti italiani godono di un clima di libertà. Ma a volte cedono all’autocensura, sia per conformarsi alla linea editoriale della loro organizzazione giornalistica, sia per evitare una causa per diffamazione o altre forme di azione legale. Ciò può essere aggravato per i giornalisti di cronaca nera e giudiziaria dalla “legge bavaglio” sostenuta dalla coalizione di governo del Primo Ministro Giorgia Meloni, che proibisce la pubblicazione di un ordine di custodia cautelare fino alla fine dell’udienza preliminare.

Quadro giuridico
Un certo grado di paralisi legislativa sta frenando l’adozione di vari progetti di legge che sono stati proposti per preservare e persino migliorare la libertà giornalistica. Ciò spiega in parte le limitazioni che alcuni reporter incontrano nel loro lavoro. La criminalizzazione della diffamazione e le numerose procedure SLAPP limitano la libertà giornalistica.

Contesto economico
A causa della crisi economica, i media dipendono sempre di più dalle entrate pubblicitarie e dai sussidi statali. Anche la carta stampata sta affrontando un graduale calo delle vendite. Il risultato è una crescente precarietà che mina pericolosamente il giornalismo, il suo dinamismo e la sua autonomia.

Contesto socioculturale
La polarizzazione della società durante la pandemia di Covid-19 ha colpito i giornalisti, che sono stati vittime di attacchi verbali e fisici durante le proteste contro le misure sanitarie. Questa polarizzazione persiste, cristallizzandosi attorno a questioni politiche o ideologiche legate agli eventi attuali.

Sicurezza
I giornalisti che indagano sulla criminalità organizzata e sulla corruzione sono sistematicamente minacciati e talvolta sottoposti a violenza fisica per il loro lavoro investigativo. Le loro auto o case vengono talvolta distrutte da incendi dolosi. Campagne di intimidazione online sono orchestrate contro coloro che perseguono queste questioni. Circa venti giornalisti vivono attualmente sotto protezione permanente della polizia dopo essere stati oggetto di intimidazioni e attacchi.

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