Intervista all’ “uomo radice” Tiziano Fratus
Il nome Tiziano Fratus è sicuramente noto a chi cerca di indagare in profondità poesia, natura e i legami segreti che vi intercorrono.
Tiziano è un “cercatore di alberi”, un mestiere particolare che richiede alcune doti a chi vuole intraprenderlo, come una sensibilità sopraffina, ma anche la pazienza e l’amore per la natura necessari a instaurare una connessione speciale con l’ambiente. Se si riesce si diventa Homo Radix e tra i vantaggi che si ottengono c’è anche il fatto di sentirsi sempre a casa in qualunque bosco nel mondo, concetto di cui il poeta ha fatto un po’ una filosofia di vita.
Nato a Bergamo ma residente nella campagna piemontese, oltre che per il concetto di Homo Radix, il poeta è famoso anche per aver dato vita ai concetti di Dendrosofia e Silva itinerante sviluppati in pubblicazioni edite da case editrici molto note al grande pubblico come Mondadori-Rizzoli, Feltrinelli e Giunti.
Fratus ha anche pubblicato per editori storici quali Laterza e per marchi indipendenti come Aboca, Ediciclo, Piano B, Libreria della Natura, Lindau, Anima Mundi e Bolis. Le sue poesie sono state tradotte in undici lingue e pubblicate in venti Paesi.
Fratus ha poi curato rubriche per vari quotidiani come La Stampa, la Repubblica, Il Manifesto, La Verità e Radio Francigena, mentre attualmente collabora per il programma Geo di RAI 3 (per la serie Grandi Alberi d’Italia). Ha anche tenuto mostre fotografiche in diversi musei sparsi sul territorio nazionale.
Nell’impossibilità di riportare la vasta biografia letteraria dell’autore che spazia dalla saggistica, alla narrativa, alla poesia e persino ai libri per ragazzi, riportiamo almeno i titoli degli ultimi silvari in prosa e in versi per poi dar spazio all’intervista:
-Alberodonti d’Italia , Feltrinelli, 2024
-Nuova musica per le foreste, Edizioni dell’Eremo, 2023
-Lettere a una sequoia, Anima Mundi, 2023
-Agreste – silvario in versi & radici, Piano B, 2023
-Manuale per giovani inventori di alberi e foreste, Feltrinelli, 2023
1.Buon giorno e grazie per essere qui con noi oggi. Inizierei la nostra intervista con una domanda relativa alla sua biografia letteraria. Nell’ultimo ventennio numerose delle sue pubblicazioni stanno contribuendo ad arricchire il panorama culturale contemporaneo; può dirci quali tra queste opere si sono rivelate più gratificanti per lei?
Anzitutto buon giorno a lei e grazie per le sue domande. Di mio non ho mai considerato il valore di un poeta, di uno scrittore o di un artista dai premi che ha eventualmente ricevuto. Intanto, avendo conosciuto come si costruiscono i premi e chi viene chiamato nelle giurie sarebbe ingenuo reputare i premi come un metro scientifico, obiettivo, poiché essendo basati sul giudizio personale coinvolgono molti aspetti che spesso riguardano altre sfere e dunque si sa già che nessun premio è e può essere obiettivo. E poi c’è anche un problema che attualmente “inchioda” ogni persona ad un compito improbo: qualsiasi sia il settore di vita e quindi professionale siamo un po’ tutti chiamati a fare la storia, a segnare la storia; un poeta o fa la storia ed è uno dei migliori della sua generazione, o addirittura del proprio tempo, oppure meglio che lasci stare. Non sa quanti “migliori poeti” (e poetesse) abbia incontrato nell’arco di vent’anni, in Italia come in Lituania, in Francia, negli Stati Uniti o in Australia. Purtroppo viviamo in questa euforia sbilenca e gli editori danno anche un buona mano a renderla ancora più iperbolica. Perciò i veri riconoscimenti al mio lavoro l’hanno data gli editori, pubblicandomi, oltre ai lettori, che hanno premiato quel che faccio acquistando, partecipando o considerando quel che andavo scrivendo. Nonostante questo qualche premio l’ho addirittura ricevuto, come il Montale fuori di casa, o il Ceppo Natura, ma per me rappresentano una parte piccola piccola, un contentino al Tiziano vanitoso che si affastella in me, insieme a tutti gli altri.
2. Ci può spiegare in che modo si manifesta per lei la ricerca del silenzio come parte determinante della sua esperienza letteraria, oltre che di Homo Radix e quale ruolo svolgono in proposito alberi e poesia?
Ho avuto bisogno di sottrarmi, e ancora ogni giorno ne ho bisogno. Sono uno di quei tipi che si mette in un angolo e si dice: Ecco, ora prova a capire se sei capace di fare questa cosa. Mi metto lì, armato di pazienza e dovizia, leggo, pratico, cerco di capire e, quindi, di fare. Prima o poi qualcosa salta fuori. Mi sono sempre sentito come un artigiano, mio padre era un falegname, o anche, non me ne vergogno affatto, come un contadino dell’editoria.
Il silenzio è servito per consentirmi di concentrarmi e dedicarmi, oltre che per addomesticare una serie di incerti che mi sono capitati sopravvivendo ad una famiglia purtroppo complicata, così come per creare quella zona di conforto dove potermi mettere alla prova. I primi tempi col teatro, dunque con la poesia, la scrittura che ha caratterizzato la mia crescita in vent’anni, la prosa naturalistica che ho imparato a cucire componendo i libri che gli editori mi hanno commissionato, la fotografia, e altre storie che poi ho costruito. L’incontro con gli alberi e i boschi è stato prezioso, radicante. Non perché mi voglia presentare come un autore selvatico che la sa lunga sulla natura; al contrario oggi siamo oberati di figure che intendono occupare un legittimo posto da autentici interpreti della natura in letteratura e non fanno che uscire libri di ogni tipo, centinaia di raccolte di poesie arboree, vegetali e naturali, romanzi pieni di alberi, addirittura intere collane editoriali, per non parlare della saggistica accademica e delle narrazioni di viaggio. Sorridendo ogni tanto dico che moriremo asfissiati con bocche ricolme di radici e foglie. Comunque per me l’imboscarmi è stato necessario, senza forse non sarei riuscito a sopportare tante contraddizioni e prove della vita adulta, dell’incontro mai scontato e semplice con gli altri. Ovviamente questa lunga e ripetuta frequentazione di ambienti rurali, agresti e silvanici mi ha condizionato ed ecco perché molte mie poesie e libri sono così contaminati, se non dedicati, ad alberi, boschi, giardini, spazi remoti e radici di ogni genere: filosofiche, psichiche, culturali, antropologiche, simboliche, esistenziali, immaginative.
3. Che cosa l’ha avvicinata al Demodeismo?
Non mi sono mai considerato appartenente a movimenti o mode, sono un irriducibile singolarista. Un anarchico che non ama gli anarchici che si dichiarano anarchici. Sono stati i ragazzi fondatori di questo movimento che mi hanno coinvolto, bontà loro. Li ringrazio, se reputano che la mia scrittura sia prossima alle loro intenzioni gliene sono grato.
4. A proposito di “La malinconia di non essere come gli altri”. Anche lei, come tanti artisti, si è sempre sentito un po’ un diverso, un malinconico? Quanto influisce questo sentimento sulla sua poetica?
Nutro il sospetto che la malinconia e la nostalgia siano dei tratti comuni a molte persone delle nostre generazioni. Ci sono parecchi saggi che analizzano ad esempio il cinema americano degli anni Ottanta, l’epoca in cui sono stato ragazzo, e dunque nella quale ho iniziato a conoscere, a informarmi, a capire, a intuire, ad amare e a infuriarmi e si riferiscono a quest’epoca come all’epoca della nostalgia.
Io non ho particolare nostalgia della mia giovinezza: avevo al contrario fretta di crescere, di diventare adulto e di partire, cosa che ho fatto e come tanti dopo sono tornato. Alle soglie dei cinquant’anni vivo la mia modesta esistenza in un piccolo paese ai piedi delle Alpi tra gatti, orto, giardino, musica, letture e scrittura. Quando esco di casa è spesso per lavoro, girando l’Italia per documentarmi o per realizzare i documentari per Geo di Rai 3, dove curo una rubrica dedicata ai grandi alberi monumentali. Oppure esco per andare a presentare il mio lavoro e i miei libri nei festival, nelle biblioteche, nelle fondazioni, nelle scuole o dove è richiesto. Per il resto quando sono a casa sono impegnato in questioni ordinarie, non ho molto tempo per pensare se sono diverso o come gli altri, anche se ogni tanto mi ci perdo ma poi dico che non ne vale la pena. Se c’è un valore che tento, maldestramente, di coltivare è l’autenticità, e questa fa i conti con la sincerità: non come vorrei che gli altri mi vedessero, ma al contrario come sono, come vivo e dunque quel che scrivo mi assomiglia o no? Per me sono radici importanti, essenziali. Anche se spesso sono il primo a tradirle o a non essere all’altezza di quella consonanza, o linearità tra valori, principi e azioni.
La mia adesione al buddismo mi ha motivato ulteriormente ad adottare dei principi che a parole sono facili e anche belli da dire, ma nel concreto sono sempre irraggiungibili. E dunque? C’è sempre un nuovo giorno, e un nuovo modo di imparare.
Anna Maria Grattarola