La bella addormentata
Ci sono voluti più di 19 mesi affinché qualcuno in Europa si accorgesse del macello, non so se tecnicamente ci sia o meno permesso di definirlo genocidio ma cambia poco, perpetrato da Israele nei confronti dei palestinesi, ma qualcosa (ben poco sia inteso) si sta forse muovendo. Sarà probabilmente come nelle favole che ad un certo punto arriva un principe (in questo caso dal Regno Unito, anche se non esattamente un principe) che con il fatidico bacio risveglia la damigella, ma la Commissione Europea ha subito una piccola scossa. Nulla di eclatante, sia chiaro, ma almeno ha dato un segnale di vita laddove si sospettava regnasse la morte infinita. Al momento si tratta di intenzioni, per passare ai fatti ci vorrà ancora un po’; e che diamine, un attimo di pazienza, no?! Quanto al Regno Unito, ha sospeso i suoi colloqui commerciali con Tel Aviv, certo non prima di aver partecipato attivamente alle operazioni dell’esercito israeliano attraverso missioni aeree mirate ad identificare gli obiettivi degli aerei e dell’artiglieria di Tsahal (appunto le forze armate israeliane). Meglio tardi che mai, direbbe uno. Forse meglio prima, sarebbe più opportuno.
In Commissione Europea per ora si minaccia di applicare sanzioni che ancora non sono state ben definite, ma in ogni caso il governo italico si è già schierato contro. Forse perché non al corrente di ciò che sta accadendo in Palestina o più probabilmente perché se ne frega e pensa che ogni ipotetica azione contro Israele sia un atto di antisemitismo. Detto da loro che sono esperti in materia….
Evidentemente le lotte interne alla loro coalizione hanno la precedenza rispetto all’omicidio di una settantina di migliaia di persone o della ormai imminente carneficina dovuta alla malnutrizione di decine di migliaia di bambini ridotti a pelle e ossa (e non si tratta di una definizione approssimativa, ma di oscena realtà, basta avere voglia e pelo di guardarsi le immagini provenienti da Gaza), i più fortunati dei quali (sigh!) creperanno di stenti prima di riuscire a diventare adulti portandosi dietro le conseguenze della mancanza del cibo che impedisce ai bambini la normale crescita, indispensabile nei primi anni di vita, anche del cervello. Oppure di quelli, migliaia, amputati che già in una società “normale” avrebbero la vita difficile, figuriamoci all’interno di una comunità a cui non è rimasto niente. Non una casa, non cibo, non cure, non elettricità, non acqua potabile; solo rovine dalle quali in ogni caso si potrebbe ricominciare a vivere se solo le migliaia di camion fermi ai confini potessero entrare e distribuire i beni indispensabili a chi ne ha estremo bisogno.
Invece niente, al massimo sono stati fatti entrare quattro o cinque camion con materiale medico che dovrebbe servire a ciò che è rimasto delle strutture ospedaliere, quel pochissimo che restava, che giusto stanotte sono rase al suolo. Come verranno usate e da chi ancora non si sa, anche perché oltre alle strutture, sono stati decimati anche gli operatori sanitari. Ci sarebbe bisogno di almeno 700 camion al giorno con aiuti di vario genere solo per evitare la catastrofe ormai incombente, anzi già in atto. Naturalmente sarebbe anche necessario rimettere in piedi un’organizzazione in grado di supportare in modo razionale la distribuzione di questi beni; organizzazione che era gestita da UNRWA, l’Agenzia dell’ONU che da decine di anni si incaricava di questo compito, unico sistema capace di reggere questa operazione. Purtroppo l’UNRWA è stata cacciata dalla Palestina e dagli altri Paesi in cui assisteva i profughi palestinesi.
Ma le brillanti menti hanno altri piani, se e quando (e come) arriverà il via libera all’entrata degli aiuti, saranno altri soggetti ad incaricarsi della gestione della distribuzione. Basta con ONU o con le ONG che per quello che possono condannano l’eccidio, saranno sufficienti alcune aziende private (probabilmente USA) e dei contractors a garantire che i due milioni e passa di profughi ricevano lo stretto necessario (secondo calcoli di fior di dietologi) per tirare a campare. Che ci possano essere piccoli problemi in fin dei conti è umano, tipo che i centri di distribuzione saranno poche unità al posto delle centinaia che sarebbero necessarie per un servizio un minimo decente.
Chi ha un minimo di esperienza diretta di ciò che significa organizzare la distribuzione degli “aiuti” sa perfettamente cosa ciò significa in termini di sforzi, di sicurezza nonché che spesso i pacchi contengono non solo articoli che a volte servono poco e altrettanto sovente di qualità mediocre. Ma almeno, fossero distribuiti con razionalità, servirebbero a tirare a campare.
Dulcis in fundo, ci sono novità anche rispetto “all’evacuazione volontaria”, come viene definita da Trump e allegra brigata… l’ultima pensata dei validi strateghi USA sarebbe quella di deportare (mi pare il termine più adatto e consono alla memoria) i palestinesi nientemeno che in Libia. Come ben si sa, e al di là dell’ignominia di una eventuale azione del genere, la Libia rappresenta una garanzia sia in termini di sicurezza che di esperienza nel trattamento dei profughi, soprattutto ora che siamo vicinissimi all’ennesima guerra civile. Basti pensare che personaggi illustri come Al Masri hanno buone possibilità di essere fatti fuori da altre bande criminali come successo ad altri suoi degni colleghi in tempi recenti e dopo essersi irriso delle autorità italiane competenti per il suo mancato arresto e responsabili del suo rimpatrio con volo di Stato.
Però, stiamo tranquilli, prima che il nostro beato ed addormentato occidente trovi un principe azzurro che lo ridesti definitivamente, ci penseranno i carri armati, l’aviazione, i droni e la marina israeliane a ridurre drasticamente il numero dei palestinesi, facilitando così, la difficile logistica legata alla deportazione.
Ci sarebbero purtroppo un’infinità di argomenti di cui parlare, tipo l’Ucraina, la guerra devastante in Sudan, teatro di massacri appoggiati dalle diverse fazioni esterne che non vogliono rinunciare alla propria area di influenza (che poi significa interessi economici) e che stanno frazionando quell’immenso Paese dove sono arrivate a 15 milioni le persone che sono scappate dalle loro case. Oppure l’area del Sahel, sempre più instabile a causa delle rinate pretese neo-imperiali da parte della Russia che d’altronde sta sostituendo in questo ruolo l’ex potenza Francese. Oppure ancora del Myanmar dove le stragi compiute dal governo dittatoriale nei confronti dell’opposizione (armata anche quella) di cui non si parla più dopo una breve fase di interesse dovuta al disastroso terremoto che ha colpito quell’area. Forse siamo tutti un po’ così, più interessati a considerare alcuni massacri piuttosto che altri. Ma forse è anche perché è da 77 anni che la Palestina non riesce a trovare una sua collocazione ed i soprusi di Israele nel totale nostro silenzio sono davvero soffocanti. Un crimine che si perpetua da troppo tempo nonostante la quindicina di risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU mai rispettate da Israele con la totale ignavia degli USA (e dei suoi alleati). Più il tempo passa, e meno probabilità ci sono che una soluzione giusta si possa trovare.
docbrino