La professione infermieristica in Fvg lo stato dell’arte, le criticità e le proposte degli ordini professionali in un incontro a Udine

«In Friuli Venezia Giulia mancano oltre 1400 infermieri, secondo quanto previsto dal Pnrr. E questa carenza non verrà sanata, ci dicono gli ordini professionali. Siamo qui, per questo, a riflettere su quali siano gli strumenti utili a valorizzare il ruolo del personale, dando voce ai diretti interessati. Noi, con la mozione “Valorizzazione del ruolo del personale infermieristico”, presentata a febbraio, avevamo già fatto un piccolo passo, chiedendo nuove forme di incentivazione economica e presentando la necessità di accrescere l’attrattività della professione: continueremo a lavorare in Regione per far sì che le esigenze degli infermieri vengano ascoltate e per questo faremo richiesta di audizione dei quattro presidenti provinciali degli Ordini in Commissione III».
Simona Liguori, consigliere regionale dei Cittadini, ha presentato così il tema centrale dell’incontro organizzato in sala Pasolini, nella sede della Regione a Udine, con i presidenti provinciali degli ordini delle professioni infermieristiche del Fvg. A discutere dello stato dell’arte e delle criticità del settore Stefano Giglio, presidente Opi Udine, Cristina Brandolin, presidente Opi Trieste, Luciano Clarizia, presidente Opi Pordenone e regionale (in rappresentanza anche della presidente Opi di Gorizia, Gloria Giuricin) e Verdiana Casciano, sezione giovani Opi Pordenone.
Giglio ha preso la parola per primo: «Nell’ultimo decennio abbiamo vissuto di rendita perché gli infermieri venivano anche da altre regioni. Ma ora le cose sono cambiate e chi arriva da fuori sta tornando nel suo territorio, così abbiamo perso numeri e competenze. La nostra regione è in una posizione decentrata e vive difficoltà dal punto di vista comunicativo e infrastrutturale. Come hanno fatto altre regioni – penso a Valle D’Aosta e Trentino Alto Adige – si potrebbe quindi lavorare su forme di incentivazione particolari per stimolare l’ingresso di nuove forze professionali, assegnando incentivi di 200/250 euro per ogni professionista che lavora sul territorio. Una soluzione che potrebbe essere un volano nuovo ad un movimento statico e che potrebbe anche portare a riscoprire il territorio. Le aziende sanitarie, inoltre, dovrebbero lavorare su forme di welfare incentivante».
Brandolin ha elencato le maggiori criticità. «In primis l’assenza di meritocrazia: non sempre c’è coerenza tra percorso carriera e posizionamento, sarebbe necessaria una maggiore attenzione alla selezione, uscendo da vecchie logiche premiali. Poi l’autonomia della professione: le leggi sono vecchie e non siamo ancora riuscite ad applicarle. Sul vincolo di esclusività? Ci sono state piccole aperture, ma ci viene detto che deve agire il legislatore e serve perciò fare molta pressione. La burocrazia è un altro problema: ricade su tutti i professionisti ed è impensabile pensare di lavorare inchiodati da documenti cartacei. Ci sono poi strutture vecchie e mezzi vecchi, che non rispondono ai bisogni attuali. La formazione: quali sono le effettive necessità a livello regionale? Noi abbiamo chiesto 500 posti per la laurea triennale e 50 per la laurea magistrale, ma quali sono le ricadute per questi laureati? L’infermieristica attuale è diversa da quella del passato: l’infermiere è oggi una figura che può contribuire e gestire il sistema sanitario perché l’assistenza infermieristica incide sulla qualità della vita dei cittadini e va valorizzata. Infine un pensiero sui professionisti contrari al vaccino: bisogna dare uno spazio di ascolto per evitare il colpo di grazia al sistema».
Casciano, della sezione giovani Opi Pordenone, da 7 anni in pediatria, ha sottolineato l’importanza del riconoscimento delle competenze e della formazione e il bisogno di rimuovere il vincolo di esclusività («Io posso essere infermiera nel pubblico e dare servizi e competenze a livello di libera professione: questo aumenterebbe la motivazione a fare meglio e ad essere soddisfatta a livello personale»). Con due master e una laurea magistrale in corso, ha quindi chiesto di «agevolare chi studia, il lavoratore dipendente, sia nella cura delle docenze, sia nella possibilità di ampliare permessi studio».
Clarizia ha tirato le somme: «Mi mette in difficoltà il fatto che, in questa regione, per quanto autonomi, si stia facendo poco per la professione. Trattandosi di una professione che lavora molto sugli aspetti organizzativi, perché non si inizia a pensare di affidare agli infermieri le strutture complesse a bassa intensità? Poi gli atti aziendali: non c’è visione sulle professioni. Come faccio a dire a un giovane vai a fare infermieristica? E questo sarà la fine della professione. Bisogna lavorare sul lungo periodo, le soluzioni tampone non possono funzionare per sempre».