La Slovenia vorrebbe costruire un secondo reattore nucleare nella centrale di Krsko. Il rischio per il Fvg si fa doppio

Il Primo Ministro sloveno, Marjan Sarec, ha proposto il raddoppio della centrale nucleare di Krsko che come è noto è posizionata a poco più di 100 km dal onfine italiano. Il raddoppio avverrebbe  con la costruzione di un secondo reattore nucleare. Rafforzare la potenza dell’impianto garantirebbe per Sarec quell’indipendenza e potenza energetica tale da garantire la crescita della piccola nazione. Peccato che in caso di incidente, eventualità improbabile ma possibile come ci hanno insegnato i disastri del passato.
Alla notizia c’è da registrare una presa di posizione della deputata del PD Debora Serracchiani che speriamo in questo allarme non rimanga isolata: “Le dichiarazioni del premier Sarec suscitano stupore e preoccupazione: abbiamo da anni e più volte ribadito la contrarietà all’aumento della capacità della centrale nucleare di Krsko, auspicando una progressiva dismissione dell’impianto. Le posizioni del centrosinistra, sia dall’opposizione sia al governo della Regione Fvg, hanno sempre messo al primo posto la sicurezza. Nonostante le passate posizioni nucleariste del centrodestra regionale, confido che il clima sia cambiato e che il presidente Fedriga vorrà farsi portavoce di un sentimento diffuso e radicato nella nostra popolazione, che percepisce Krsko come un rischio immanente”. Lo afferma la deputata del Pd Debora Serracchiani, commentando le dichiarazioni del Primo Ministro della Repubblica di Slovenia Marjan Sarec in merito alla costruzione di un nuovo reattore nucleare oltre a quello già esistente di  Krsko.
“L’talia è uscita dall’opzione nucleare e la Regione con il centrosinistra – ricorda Serracchiani – è stata spontaneamente concorde. Spero che su scelte strategiche come questa ci sarà continuità”.
“Purtroppo l’assenza di un Governo nella pienezza dei poteri – indica l’esponente dem – inficia i passi della Regione per sensibilizzare le Autorità centrali dello Stato e chiedere un’interlocuzione ad hoc con la Slovenia. Ma esistono canali praticabili anche dalla Regione, a partire dal Comitato congiunto Fvg-Slovenia. Ricordo che su quel tavolo la Slovenia ha sostenuto le sue ragioni anche in materia di energia e di ripercussioni ambientali”.

Fin qui l’allarme lanciato dalla ex governatrice del Fvg, allarme al quale ci uniamo memori del fatto che il Fvg sul “nucleare” ha già dato. Chi vive in Friuli Venezia Giulia infatti sa perfettamente che questa regione, culturalmente artificiosa, ha un elemento che invece ne rappresenta il destino comune. Il Fvg è la porta d’Italia aperta verso est da molti punti di vista. Nei secoli passati è da qui che passarono le invasioni barbariche (dagli Unni di Attila ai Longobardi) ed anche la natura approfittò di questo varco fin da tempi remotissimi,
fin da prima dell’avvento umano, fu corridoio preferenziale per la migrazione di molte specie di animali provenienti dai Balcani ed anche oggi alcune specie stanno lentamente tornando, orsi, lupi e sciacalli si riappropriano giustamente degli spazi lasciti liberi dall’abbandono dell’essere umano dalle aree di montagna. Anche dal punto di vista meteorologico è da sempre il punto di ingresso delle correnti d’aria provenienti dall’Est, basti pensare alla bora. Come la storia ci insegna ogni attraversamento, umano o naturale ha lasciato le sue tracce: i popoli lasciano parte del loro bagaglio culturale e gli animali lasciano una traccia genetica oggi perfino riconoscibile dagli esperti. Ma l’elemento sul quale siamo avvezzi a pensare lasci traccia è il vento. Da questo punto di vista spesso il vento da est è stato benefico, soffiando via dai bassi strati l’umidità e rendendo più salubre e secca l’atmosfera. Ma c’è stato un episodio nel quale da quella porta, per una tragica miscela di evento naturale e follia umana, passò qualcosa di orribile, un bagaglio gravoso, tutt’altro che transitorio di cui ancora oggi si pagano le conseguenze. Parliamo della nube tossica che si sprigionò da Cernobyl il 26 aprile 1986 e che investì, oltre all’Ucraina, tutta l’Europa. In Italia, la nube entrò proprio dalla porta dell’Est, proprio dal Fvg, nel quale si concentro una caduta di polveri radioattive considerevoli di cui per altro a decenni di distanza si possono trovare tracce strumentali ma soprattutto nell’aumento di malattie tumorali tipiche dell’esposizione alle radiazioni. I fatti sono noti anche se vale la pena ricostruirli nella loro drammatica portata. Era il 26 aprile del 1986 quando durante un test di sicurezza, il reattore numero 4 della centrale di Chernobyl – situata in Ucraina – esplose. La nube radioattiva sprigionata dall’incidente invase diverse aree dell’Europa. I Paesi più colpiti furono l’Ucraina, la Russia ma soprattutto la Bielorussia, dove si riversò circa il 70% delle sostanze radioattive espulse nell’atmosfera. Da quel giorno il nome di Chernobyl finì di essere un puntino sconosciuto sulle care geografiche e divenne famoso in tutto il mondo. Nella centrale elettronucleare, le due esplosioni successive provocarono l’immediata morte di 31 persone e fecero scoperchiare il tetto disperdendo nell’atmosfera grandi quantità di vapore contenente le particelle radioattive rendendo mai come allora chiara la pericolosità delle centrali nucleari.
Ma torniamo al Friuli, l’allarme preso quasi sottogamba per l’incredulità che un evento così lontano potesse davvero nuocere, arrivò in ritardo, quando già parte delle polveri radioattive si erano sparse soprattutto sulle, aree montuose. Vennero dati consigli, come quello di evitare di prendere la pioggia, di non raccogliere e magiare funghi e prodotti degli orti e di farsi delle docce rientrati in casa. Ma in generale gli avvisi vennero sottovaluti anche perchè, per evitare il panico si evitò di dargli troppa enfasi. Probabilmente un errore grave, se si considera che a distanza di anni dall’esplosione, alcuni ricercatori misurarono nel dettaglio la distribuzione della contaminazione da cesio radioattivo in Friuli-Venezia Giulia a partire dall’analisi dei funghi.. Oggi a decenni di distanza la parola Chernobyl incute ancora timore prima che rispetto soprattutto in ambienti medici dove, pur senza ammetterlo con assoluta certezza quella parola corre ancora di bocca in bocca
tra i molti medici che vedono una parte dei loro pazienti ammalarsi sempre di più di cancro alla tiroide e di altre forme tumorali. Ma non è un annuncio, nulla di gridato è un sussurro, detto a bassa voce, perché in realtà come fosse un caso di omicidio irrisolto la scienza non dà la certezza ma solo prove indiziarie che questo aumento statistico di tipi di malati siano i figli diretti della
catastrofe. La scienza ci dice che ci ammaliamo in maniera statisticamente superiore, ma non spiega con certezza perché.