La solitudine del giornalista minacciato è peggio delle minacce. Rompere il rischio dell’isolamento
Come vent’anni o dieci anni fa, nelle zone a meno palese densità “mafiosa”, nonostante tutto, prevale la negazione dell’esistenza del fenomeno criminale. In Friuli fino a pochi anni fa quella negazionista era addirittura una posizione tanto radicata da arrivare a dare del visionario o peggio, a chi ci aveva visto giusto, subendo anche intimidazioni e poi l’orrendo isolamento di sistema. Speriamo che al collega della Rai Giovanni Taormina che si è visto oggi recapitare un proiettile in redazione, vada diversamente rispetto al passato, anche se troverà sempre chi, anche oggi che la presenza delle mafie a nordest è “certificata” da decine di episodi e da importanti inchieste giudiziarie, ci sarà chi lo additerà come uno che se l’è andata a cercare o peggio, ci sarà chi insinuerà l’orrendo dubbio, sulla presunta autoproduzione delle minacce.
In realtà la minaccia peggiore per un giornalista che investiga non è data dalle lettere minatorie o dalla spedizione di proiettili o altri simboli della paura, il peggior nemico è l’isolamento. Quel doversi confrontare con l’indifferenza di chi, invece, dovrebbe non solo indignarsi, ma anche agire di conseguenza dopo che un sistema è stato smascherato anche se in passato solo in “controluce”. Oggi forse potrebbe essere diverso, ma non ne sono tanto sicuro, perchè nonostante le dichiarazioni di solidarietà spesso “dovute” e che almeno oggi rispetto al passato stanno piovendo copiose anche dalla politica (sarà per la campagna elettorale??) il giornalista che si occupa di malaffare in realtà alla fine resta solo, con i suoi dubbi, le sue paure, le diffide, le querele. Resta solo di fronte a segnali inequivocabili che non è detto che per essere efficaci debbano necessariamente essere inviati dalle “famiglie” o materializzarsi con atti di violenza. A volte si palesano in telefonate “politiche” all’editore o al direttore, perfino nel fare terra bruciata intorno agli interessi pubblicitari di una piccola testata per soffocarla magari ad anni di distanza, perchè il malaffare non dimentica. Questo avviene non solo perchè, soprattutto nelle zone “ricche”, le cosche sono per lo più “imprenditrici”, ma anche perchè l’azione dei dispensatori della paura deve essere ben dosata. Me lo spiegò nel 2009 un colonnello dei carabinieri, quando minacce e proiettile (restate “anonime”) mi “attenzionarono”. L’ufficiale dell’arma giunto all’uopo da Roma (almeno così mi disse) per un colloquio “privato”: vede, mi disse, lei deve aver dato certamente fastidio a qualcuno (e mi fece capire che si stava indagando a Roma), ma le cosce non hanno interessi ad alzare il livello dell’attenzione mediatica in una area d’affari come il Fvg, dosano la strategia della paura quel tanto che serve. Insomma mi disse senza girarci intorno, “lei stia sempre attento, ma tranquillo, qui in Friuli non le spareranno mai, forse daranno qualche altro avvertimento ma useranno altri metodi”. Aveva ragione dato che sono qui a scrivere e nonostante io abbia proseguito a fare il giornalista “rompipalle”. Non mi hanno sparato ma sono arrivate altre intimidazioni, lettere scritte con il normografo con finte lusinghe e dandomi indicazioni “investigative” che portavano a persone già decedute. Altre missive erano più dirette, minacciavano sottilmente di morte me e la mia famiglia. Lettere messe nella cassetta della posta di casa “a mano”, così tanto per farmi capire che sapevano dove trovarmi. Lettere che a quel punto non ho neppure consegnato alla giustizia visto che avevo capito che nessuno avrebbe indagato sul serio. Alcune le ho rimosse dalla mente, una lettera però la ricordo, riportava le date di compleanno di mia moglie e mio figlio con un punto interrogativo sull’anno successivo… L’appallottolai nervosamente e la tenni nella memoria per me. Poi progressivamente anche le intimidazioni sono terminate dato che le varie vicende d’appalto da me descritte come potenzialmente truccate andarono, per loro, comunque a buon fine. Insomma non hanno agito nei miei confronti e l’hanno fatto probabilmente perchè, nonostante qualche danno e fastidio agli “affari” l’avessi provocato, erano certi che la macchina del consenso locale sarebbe riuscita, come ha fatto, a minimizzare e silenziare la questione ascrivendo le minacce a qualche goliardata del burlone di turno e che la procura friulana, come ha fatto, avrebbe considerato poco interessante e politicamente scomodo impicciarsi in certi affari. Del resto era il 2009 e in Friuli le mafie non potevano esserci, era roba da visionari… e poi aprire inchieste faticose a pochi mesi dalla pensione…. Del resto perchè far diversamente, dato che, nonostante siano passati 10 anni e che evidenze, anche su quelle vicende del 2009 sono emerse in altre aule giudiziarie, anche oggi sono in molti a pensare che i mafiosi in Friuli non ci sono, al massimo qualche mela marcia è arrivata “da fuori”. Poco importa se imprenditori (non tutti), politici (non tutti), professionisti (non tutti), banchieri e bancari (non tutti) hanno lasciato che certi danari si infiltrassero pesantemente nell’economia drogandola secondo il principio che pecunia non olet. Peccato che i “non avevo capito” sono poco plausibili perchè i malavitosi sono riconoscibili, la puzza di marcio che emanano è comunque forte e il loro denaro sarà anche abbondante e profumato ma è palesemente sporco. Tutto questo non solo ha contribuito ad accrescere il potere criminale in maniera virale ma ha distrutto aziende sane uccise dalla concorrenza sleale o dall’esclusione dalla liquidità finanziaria. Nessuno mi toglie dalla mente che se si fosse indagato nel 2009 qualche problema in meno la salubrità del sistema economico regionale l’avrebbe avuta. Del resto le indagini in corso da parte di qualche procura più sveglia di altre, dimostrano che le mafie oggi sono più ricche e facoltose rispetto a solo dieci anni fa. Sono funzionali, quando non in cima, ai vertici di aziende ed in tanti settori, da quello principe dei lavori pubblici, al commercio, attraverso improbabili aperture di negozi in franchising ecc.ecc. Il loro potere non si palesa da noi, come in altre realtà del paese, con il controllo del territorio, nelle piazze di spaccio o di prostituzione o almeno non lo fanno in maniera così visibile. Ma in Friuli, Veneto o Lombardia il loro potere è aumentato poiché sono notevolmente accresciute le loro risorse economiche da investire con l’utilizzo “legale” del denaro sporco. Scalate sospette ad aziende e imprese non si contano. La pulizia dei soldi sporchi non solo diventa un elemento fondamentale della loro azione criminale, ma fa gonfiare i profitti più o meno legalmente utilizzando metodi di spartizione difficili da individuare perchè ben congeniati e che soprattutto garantiscono una fettina più o meno grande a tutti gli attori, anche a quelli finti inconsapevoli. Così se oggi vieni escluso dall’appalto, dall’affare, c’è la garanzia che presto o tardi verrai ricompensato. Se poi sgarri qualche segnale di insofferenza può sempre arrivare, ma senza “strafare”, almeno all’inizio, è come la vecchia norma sulla legittima difesa, la reazione viene commisurata all’offesa. Il discorso si farebbe lungo e periglioso, ma le opacità sono sotto gli occhi di tutti anche di chi non vuol vedere. Così anche oggi se si affronta l’argomento dell’esistenza delle mafie in Friuli, in molti fra giornalisti e politici risponderanno, ma solo a “microfoni” spenti, che la mafia in Friuli è una esagerazione messa in giro da parte di alcuni giornalisti e magistrati per fare carriera. E sono certo c’è chi già spiega che le minacce a Giovanni Taormina sono “foreste” anzi il gesto sarebbe “collegato a una recente inchiesta, nella quale aveva intervistato un pentito di ‘Ndrangheta” quindi il Friuli non centra, del resto Taormina è di origine siciliana…. Siciliano d’origine come me, mi pare un film già visto. Insomma il rischio è sempre forte che il giornalista impegnato nel capire, riunire per quanto può, segmenti di verità su certe torbide vicende sarà sempre quello che vede fantasmi e mafiosi dappertutto. E se proprio se ne deve parlare, meglio farlo in discutibili convegni general-generici ricchi di “autorità” e pavoni vari, saliti sul carro modaiolo dell’antimafia d’immagine o attraverso libri che trattano le vicende come fossero argomenti da feuilleton. Ed invece l’impegno dovrebbe essere massimo e quotidiano, occorrerebbe davvero rompere il muro del silenzio sull’attualità e non solo lavorare di “rimessa” e far comprendere culturalmente cosa sia la criminalità organizzata. Non dimentichiamoci mai che prima che la lunga scia di sangue funestasse per decenni il Paese, prima di: Beppe Impastato, Rocco Chinnici, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e tanti altri, la mafia, anche in Sicilia, era considerata una fantasia da cantastorie rompicoglioni.
Coraggio Giovanni, per quanto vale, avrai sempre la mia sincera solidarietà
Fabio Folisi