La stucchevole e inutile contrapposizione “proPal” vs “propalla”. Giusto manifestare, ma facciamolo proPace
Ma davvero c’è chi pensa che concedere o meno un patrocinio possa avere qualche effetto pratico? Speriamo di no, ma diciamo, in via preliminare, che non ci appassiona comunque il tormentone del patrocinio del Comune di Udine alla partita Italia – Israele che si disputerà al Friuli domani 14 ottobre. Non ci appassiona perché alla fine, per rimanere in tema calcistico, si è scivolati nel tifo, nella polarizzazione ottusa delle posizioni che anziché spingere alla comprensione delle situazioni geopolitiche le incancrenisce. Come si può pensare che prevalga la diplomazia e il dialogo se si creano bellicose barricate su una supercazzola come il patrocinio di un Comune di 100mila abitanti ad una partita di calcio? Intendiamoci, comprendiamo la voglia di non essere silenti dinnanzi alle tragedie in atto in medio oriente dal 7 ottobre 2023 ad oggi, ma le tragedie non vanno pesate per quantità di morti, uno è anche troppo, ma semmai per l’efferatezza espressa e, diciamolo chiaramente, la guerra in quanto tale è folle efferatezza, la guerra è sempre sopraffazione dei più deboli e degli incolpevoli. Chi scrive la guerra l’ha vista da vicino, ha parlato direttamente con le vittime, con ex prigionieri provati nel fisico e nell’anima, ha visto disperati in fuga dall’orrore e dalla povertà assoluta, donne, uomini e bambini alla fame e assetati d’acqua, ha percepito nelle narici la puzza della morte mischiata con l’odore delle bombe e anche oggi ad anni di distanza il ricordo è vivido ed ingombrante. Ai “tifosi” delle parti avverse sfugge o forse non importa nulla, che i colpi dilaniati da proiettili, bombe e coltelli sono tutti uguali, il sangue è rosso per tutti, il dolore e la sofferenza sono fattori universali. Per questo, pur valutando il peso delle responsabilità storiche degli attori in campo, non si può non restare umani e occorre gridarlo forte che non c’è nulla che può giustificare i massacri indiscriminati da una parte e dall’altra. Vale in Ucraina, vale in Palestina, Cisgiordania o Libano, vale anche nel dimenticato Sudan e nelle decine di zone del globo dove non tacciono le armi e si generano migrazioni bibliche. Certo ribellarsi alle violenze e sopraffazioni subite è legittimo e per questo il pacifismo assoluto è dei visionari o santi, ma nulla può giustificare stragi terroristiche, che esse siano perpetrate da miliziani senza patria o da eserciti che una patria l’hanno ma che con il loro comportamento indifferente agli “effetti collaterali” delle loro azioni militari fanno carne da cannone di innocenti, siano essi bambini o “caschi blu”. I terroristi sono tutti novelli Erode del terzo millennio. Domani Udine sarà teatro, speriamo assolutamente pacifico, di una protesta legittima, ma anche di una altrettanto legittimo evento sportivo. Spieghiamo perché di questa affermazione. Come FriuliSera in passato ci siamo spesi contro le decisioni di escludere la cultura e anche lo sport russo, come azione “punitiva” del comportamento orribile del governo russo e del suo dittatore presidente Vladimir Putin. Oggi coerentemente non possiamo avere atteggiamento diverso con Israele e con il suo Primo ministro Benjamin Netanyahu, perché il problema non sono i popoli, ma i loro governanti e poco importa che siano autocrati o eletti democraticamente. Quello che determina il giudizio sono i comportamenti. Questo non vuol dire che non si debba manifestare lunedì pomeriggio a Udine, ma sono le parole d’ordine che rischiano di essere sbagliate o quantomeno parziali, quando non facilmente strumentalizzabili da agitatori infiltrati che abbiamo visto all’opera recentemente nella manifestazione di Roma e che speriamo a Udine vengano isolati da chi vuole denunciare le nefandezze di Netanyahu ma non dimenticando quelle di Hamas e soci. Il vero problema è che con la vista annebbiata dal velo dell’ideologia, in troppi anziché manifestare contro la guerra, manifesteranno contro un evento sportivo che non sposterà la situazione di un millimetro, ma soprattutto non “tiferanno” per la pace ma acriticamente contro una sola parte, amplificando le colpe degli uni e minimizzando quelle degli altri. Per non dire dei molti, singoli ma anche sigle più o meno “politiche”, che nel recente passato si erano a questo punto strumentalmente accomodate come commensali “a la carte” alla tavolata pacifista e oggi quella tavola l’hanno abbandonata e anziché la bella bandiera multicolore, sventoleranno quella della accettazione della violenza, magari in nome della difesa dei deboli e degli oppressi. Il rischio è che la faccia da padrone l’incoerenza dei peggiori politicanti da strapazzo che predicano bene e razzolano male, creando inoltre grave danno a chi pacifista lo è per davvero. Il vero dramma è che così si rischia di perdere di vista le parole diplomazia e dialogo che sembrano, a tutti i livelli dai media alla politica, essere state colpite da una sorta di “daspo”, sostituite dalla parola “guerra” in un ritrovato militarismo. Per non parlare poi della nuova interpretazione della parola Resistenza, paragonando in maniera semplicistica quella al nazifascismo del secolo scorso, con quella, legittima nelle motivazioni, ma non certo nei metodi, in atto in medio oriente. I partigiani presero le armi e combatterono contro gli invasori, ma non pianificarono azioni contro civili innocenti e soprattutto avevano come obiettivo la liberazione delle loro terre e non l’annienatento dell’intero popolo tedesco. Per cogliere la differenza basti pensare alla Zona Partigiana Libera della Carnia, che come prima azione “legislativa” abolì la pena di morte. L’unica vera soluzione dei conflitti non può passare per le armi, ma per la diplomazia. Per questo e non per altro va citato l’articolo 11 della Costituzione: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali” ricordando però che la Costituzione non può essere citata a corrente alternata, vale quando si vuole argomentare il presunto errore di consegna di armi all’Ucraina, non vale più quando si parla della situazione medio orientale. Dovremmo chiedere a chi governa l’Italia e l’Europa che intraprenda seriamente la strada diplomatica, il dialogo e in tutti i “teatri” di guerra. Sarà difficile, un sentiero lungo e periglioso, ma questo non può passare per il sostegno a tagliagole, siano essi vestiti di stracci o in bellicose ed eleganti divise.
Fabio Folisi