Le autorità italiane “liberano” l’Open Arms dopo due mesi e mezzo di detenzione amministrativa
Dopo oltre due mesi e mezzo di fermo amministrativo, il rimorchiatore Open Arms è stato finalmente liberato dalle autorità italiane e naviga adesso nelle acque del Mediterraneo, diretto verso le coste spagnole. Lo scorso 17 aprile, lo stesso giorno in cui il GUP del tribunale di Palermo, Lorenzo Iannelli, aveva deciso di rinviare a giudizio l’ex Ministro dell’Interno Matteo Salvini per sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio, le autorità italiane sottoponevano il nostro rimorchiatore a una dura ispezione a bordo, (Port State Control PSC), durata più di 17 ore. “L’Italia interpreta a suo modo e nel proprio interesse le ispezioni del Port State Control, che sono pensate per le navi commerciali e non per le imbarcazioni con scopi umanitari”, spiega Oscar Camps, fondatore e direttore di Open Arms. “Non solo applica le ispezioni indiscriminatamente, ma anche in modo contraddittorio: nel novembre 2020, in un comunicato stampa, la stessa Guardia Costiera italiana aveva dichiarato che la Open Arms era l’unica nave della flotta umanitaria con i certificati in regola per realizzare operazioni di salvataggio. Gli stessi certificati, tutti aggiornati e in vigore secondo la stessa Guardia Costiera, cessano però di essere validi 5 mesi dopo, durante la successiva e rigorosa ispezione PSC di 17 ore, la più lunga che abbiamo mai ricevuto. È un caso che questa ispezione sia stata fatta lo stesso giorno in cui il GUP del tribunale di Palermo, Lorenzo Iannelli, ha deciso di rinviare a giudizio Matteo Salvini per sequestro di persona? E qual è stato il risultato di questa ispezione senza precedenti? Alcune presunte ‘gravi carenze legate alla sicurezza della navigazione’. Queste presunte carenze sono state tutte smontate immediatamente e per iscritto dall’amministrazione spagnola (Ministero dei trasporti, della mobilità e dell’agenda urbana). Abbiamo aspettato due mesi attraccati nel porto di Pozzallo in attesa di una nuova ispezione che confermasse che ‘le gravi carenze nella sicurezza della navigazione’ fossero un’interpretazione sui generis della squadra “speciale” di ispettori inviati per l’occasione da Genova. Qual è stato il risultato finale? Centinaia di morti nel Mediterraneo. Mentre l’Italia manteneva bloccate 5 navi umanitarie, rinegoziava gli accordi economici con le milizie libiche”, conclude Oscar Camps. Nonostante il rapporto finale evidenziasse alcune piccole irregolarità tecniche, che sono state prontamente risolte dall’equipaggio, le autorità competenti si sono rifiutate per settimane di riesaminare la nave e di constatare che non vi fosse alcun problema di sicurezza per la navigazione o alcun pericolo per l’ambiente. Pertanto, è evidente che si è trattato di una strategia per ostacolare il lavoro umanitario in mare, una tattica che le
autorità italiane hanno applicato sempre di più negli ultimi mesi. Da maggio 2020 ad oggi sono state effettuate 10 ispezioni PSC con 8 fermi amministrativi di navi impegnate nel soccorso marittimo nelle zone SAR europee: una per Aita Mari, Ocean Viking, Open Arms e Sea-Watch 4, e due per Alan Kurdi e Sea Watch 3. Per avere un termine di paragone, basti pensare che dal 2015 al luglio 2019 nessuna nave di salvataggio è stata sottoposta a Port State Control, mentre tra agosto 2019 e febbraio 2020 le navi delle ONG sono state sottoposte a 8 Port State Control e c’è stato un solo fermo. Questa decisione del governo italiano di bloccare le navi umanitarie nei suoi porti ha chiaramente un costo altissimo in termini di vite umane: solo da aprile di quest’anno sono morte più di 746 persone nel Mediterraneo centrale (fonte: IOM), rendendolo la più grande fossa comune del pianeta. Parallelamente, c’è stato un aumento dell’attività della cosiddetta “guardia costiera” libica- a tutti gli effetti milizie armate che operano in acque internazionali, finanziate e formate dai paesi europei- così come un incremento delle omissioni di soccorso in mare e dei respingimenti illegali verso la Libia, un Paese in cui le violazioni dei diritti umani, le torture e la violenza sono ampiamente documentate da anni. Nella sola settimana del 13-19 giugno, almeno 1.594 persone sono state intercettate nelle acque libiche e fatte rientrare in Libia (fonte: IOM). Il Mediterraneo centrale è diventato una terra di nessuno, dove non esiste alcun coordinamento europeo e l’assenza di mezzi navali governativi rende impossibile garantire l’incolumità di chi è alla deriva e ha bisogno di aiuto. Oggi, mentre lasciamo il porto di Pozzallo, ribadiamo la necessità che i diritti e la vita vengano rimessi al centro del discorso politico europeo e che gli stati che fanno parte dell’Unione tornino a farsi testimoni orgogliosi dei principi su cui si fondano le loro Costituzioni e le Convenzioni internazionali.
fonte proactiva open arms