Le Olimpiadi di Cortina si avvicinano: visto che non c’e’ il treno andiamoci in bici

Quando nell’estate passata a Forni di Sopra mi sono convinto della logicità di un adeguato percorso ciclabile che colleghi “Stazione della Carnia” a Calalzo di Cadore quale utile interconnessione tra le due direttrici internazionali “ciclovia di Alpe Adria” (tra Carinzia e Grado) e “ciclovia delle Dolomiti” (tra Venezia-Cortina e Lienz) pensavo unicamente ad una funzionalità del turismo “sostenibile” moderno e non certo a rinvangare momenti storico-strategici decisivi per queste terre.
La casualità e accenni di valligiani ottantenni mi hanno ricordato i dibattiti ferroviari del passato con magari qualche opera iniziata e mai proseguita. La sapienza di cultura ferroviaria di Romano Vecchiet mi ha così permesso di accedere ad un momento chiave che risale al 1865 quando, nell’anno precedente alla cosiddetta III Guerra d’Indipendenza, le autorità dell’impero asburgico progettavano una ferrovia di collegamento tra il porto di Trieste ed il Lago di Costanza (Bregenz), al confine tra Austria e Svizzera, in collegamento quindi con la grande rete trasportistica anche navigabile del Reno.
La ferrovia passava per Udine, Tolmezzo, per entrare in Cadore attraverso la Valle del Tagliamento ed il traforo della Mauria, per poi risalire verso Cortina e la Pusteria, connettendosi così alla grande rete imperiale sia ad est verso Lienz che ad Ovest verso Innsbruck e quindi la Svizzera orientale. A Calalzo si sarebbe incrociata la ferrovia proveniente da Venezia, dando così sbocco logistico commerciale verso l’Europa Occidentale ad ambedue i porti dell’Alto Adriatico. Va detto che a Venezia si guardava con sospetto alla apertura verso Trieste, ma probabilmente a Vienna erano ben consapevoli che prima o dopo il Veneto per gran parte sarebbe finito nelle grinfie dell’emergente stato sabaudo. E conveniva prepararsi per tenere connesse le proprie montagne occidentali dove, peraltro da molti secoli, vivevano popolazioni di inequivocabile origine ladina (a essere un po’ larghi si può anche vedere una continuità tra l’Istria e i Grigioni).
Il 1866 vede, malgrado l’impegno italico a Lissa e Custoza, la sconfitta militare asburgica da parte dei tedeschi ed i nuovi confini, e le conseguenti logiche geopolitiche, con incluso il plebiscito truffaldino dell’ottobre 1866 che riconsegna il Friuli Occidentale al Veneto, non permettono più il progetto infrastrutturale previsto. L’impero asburgico si proietta verso i Balcani e il porto di Trieste è sempre più al servizio della Mitteleuropa orientale. L’Italia pur entrando nella triplice Alleanza è lì in agguato alla caccia di terre che la facciano sentire un vera potenza imperiale, e di un collegamento ferroviario tra Carnia e Cadore non ne sente il bisogno, anche se qualche pensierino i generali dell’epoca lo avranno fatto. Con rimpianti amplificati dopo la rotta di Caporetto.
La fine della I guerra mondiale fa ripresentare il problema (di organizzazione di difesa militare innanzitutto) anche per il bisogno di lavoro che contemporaneamente serve ad una cura del ”ferro” per le moderne necessità di mobilità. Nascono e si completano tratti ferroviari di vario scartamento e tutte le tre direzioni della Carnia si propongono per tratte di ampio respiro: la val Tagliamento verso il Cadore, quella del Degano verso Sappada e la Pusteria, quella del But verso Monte Croce e l’Austria. Oltre alle precedenti realizzazioni pre belliche della Villa Santina-Comeglians e della Tolmezzo-Paluzza (ambedue a scartamento ridotto), c’è la traccia di un contributo pubblico e di un progetto (con forse qualche inizio lavori) della Villa Santina-Ampezzo. In breve però la frenesia costruttiva si ferma e pian piano nel tempo vengono dismessi anche i tratti realizzati.
Cosa c’è di meglio oggi che farne spazio per il sano uso della bici? E l’occasione delle Olimpiadi del 2026 a Cortina può essere una buona scusa per permettere al ministro delle infrastrutture Salvini di rispettare almeno in parte la promessa fatta agli elettori della Val Tagliamento nella campagna elettorale del 2023 in relazione al traforo del Passo della Mauria.
E’ inoltre divertente come il dibattito infrastrutturale odierno riguardi la viabilità ciclabile con la stessa concorrenza tra le tre direttrici e con iniziative locali di comuni che, tirando la giacca agli erogatori di contributi regionali, cercano di accaparrarsi finanziamenti per estemporanei progetti in materia (talvolta anche validi), Mountain bike, Downhill, Gravel, e percorsi normali (adatti anche alle e-bike), per lo più rispondenti a logiche puramente locali senza alcuna visione d’insieme. Ma il fascino di Olimpia può avere la prevalenza su tutto.
Non sono da disprezzare piccole economie turistiche come lo stratagemma ciclistico per ridurre le perdite degli impianti di risalita, ma forse varrebbe la pena di attivare un qualche ragionamento più generale e concentrare le risorse e la progettualità sul tema dei percorsi continui di fondovalle e di collegamento con i sistemi di viabilità ciclabile che si stanno affermando quali la Alpe-Adria e la “Lunga Via delle Dolomiti”.
Da qui la mia passione personale per il collegamento Carnia-Tolmezzo-Mauria-Calalzo. Si faccia un ragionevole brain storming e si decida visto che oggi non serve traforare montagne. E magari domani quando non potremo più permetterci automobili individuali e nessuno oserà più nemmeno fare convegni che ipotizzano assurdità come l’autostrada Carnia-Cadore, cercheremo un po’ di fresco anche viaggiando su una miracolosa “Freccia della Ladinia hi-tech” ricordando quei tecnici del 1865 che due secoli prima l’avevano vista lunga.

Giorgio Cavallo