Le spiagge, la politica e il corpo delle donne
Preoccupano molto i fatti accaduti al bagno “Il Pedocin” di Trieste dove alcune donne musulmane, entrate in mare con il corpo coperto, indossando il burkini o i propri normali abiti, sono state insultate da altre bagnanti, che hanno ritenuto lecito utilizzare nei loro confronti modalità pesantemente intimidatorie, del tutto inaccettabili e perseguibili sul piano penale. Le polemiche inaugurate alcune settimane fa dalla sindaca di Monfalcone nei confronti delle donne islamiche che fanno il bagno nella spiaggia di Marina Julia senza spogliarsi dei propri indumenti sembrano aver aperto la strada a prese di posizione pericolose, intrinsecamente violente, anche da parte di semplici cittadine/i, nel dilagare di ostilità, pregiudizi, intolleranza verso abitudini e stili di vita propri di altre culture e tradizioni. La Rete Diritti Accoglienza Solidarietà Internazionale del FVG ricorda alla sindaca Anna Maria Cisint e al sindaco di Trieste Roberto Dipiazza – intervenuto sui fatti del “Pedocin” in maniera del tutto impropria – che non esiste nessun obbligo, da parte delle persone provenienti da altri paesi di conformarsi alle abitudini locali, che non è possibile imporre limitazioni all’abbigliamento per motivi religiosi, come previsto dall’art. 9 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Compito di chi amministra le città non è dunque quello di legiferare in materie che non sono consentite, ma quello di tutelare una convivenza democratica, rispettosa dei diritti delle persone, delle differenze culturali e religiose, avendo a cuore la composizione delle tensioni sociali anziché la loro incentivazione, la salvaguardia della sicurezza e dell’incolumità di quanti vivono nello spazio urbano, in tutte le
manifestazioni della loro vita, entro l’orizzonte tracciato dalla Costituzione della Repubblica. Non possiamo infine non osservare che sul corpo delle donne si esercitano ancora politiche di controllo di stampo patriarcale: obbligate a velarsi in Iran e “costrette” a spogliarsi in Italia, alle donne viene negata la libertà di scegliere, di decidere autonomamente come condurre la loro esistenza. Una lunga tradizione misogina, e nel caso specifico fortemente xenofoba (a prescindere dal genere di chi opera nelle istituzioni), pretende ancora di normare il loro modo di abbigliarsi.
Rete Diritti Accoglienza Solidarietà Internazionale FVG