L’orazione di Giovanna Cosattini per il 25 aprile 2025 a Udine

Riceviamo e volentieri pubblichiamo:

Care concittadine e cari concittadini, autorità tutte.
Siamo qui, sobriamente, non perché ce lo chiede qualcuno, ma perchè lo avremmo fatto comunque, e in rispetto di Papa Francesco. Ringrazio l’amministrazione comunale, l’Associazione Partigiani Osoppo, l’ ANPI, l’A.N.E.D. e l’IFSML per avermi fatto l’onore di chiedermi di prendere la parola nell’ottantesimo anniversario della liberazione dell’Italia dal nazifascismo. Sono Giovanna Cosattini; quasi ottant’anni fa, il primo maggio del 1945, fu mio nonno Giovanni, primo sindaco di Udine liberata, a celebrare la conquistata libertà in questa piazza; quasi venti anni dopo, nel 1984, toccò a mio padre Alberto. Appartengo a una famiglia per la quale il 25 aprile non è mai stata una giornata qualsiasi, ma certa mente non mi sarei aspettata di salire a mia volta su questo palco, perchè la mia (non essendo iscritta a partiti politici o associazioni combattentistiche), non può che essere la testimonianza di una persona che appartiene alla società civile la testimonianza di una persona di una generazione che per sua fortuna non ha vissuto quel periodo, ma che è qui per raccogliere il testimone, e per trasmettere a chi non ha avuto la possibilità di ascoltarlo dalla viva voce dei  protagonisti- , il senso di quella lotta e il racconto di quei giorni. Mio nonno Giovanni, che pur proveniva da quello stesso partito socialista di cui aveva fatto parte anche il Mussolini delle origini, ha colto sin da subito la pericolosità del fascismo, dei suoi falsi miti di esaltazione e megalomania, di volontà imperiale, di prevaricazione, di  progressiva compressione di tutti gli spazi di libertà, e ne è diventato un convinto oppositore. Non ci è voluto molto tempo per rendersi conto delle sue buone ragioni. L’omicidio di Giacomo Matteotti, suo amico e compagno di partito, il cui centesimo anniversario ricorreva l’anno scorso, è stato solo uno dei gravissimi crimini che hanno macchiato il regime fascista e non il primo, anche se certamente il più eclatante. Ma accompagnato da quelli dei fratelli Rosselli, di Piero Gobetti, di Leone Ginzburg, prima di Antonio Gramsci, di moltissimi altri. Omicidi politici che sono solo una delle gravissime colpe di cui il fascismo si è macchiato, cui ne vanno aggiunte molte altre, a cominciare dalle leggi razziali del 1938, e da una dichiarazione di guerra che ha causato anche al nostro paese morti, lutti, rovine, e una disastrosa sconfitta. A me è toccato raccogliere il testimone anche della vergogna delle leggi razziali: mio nonno materno Mario, veneziano, musicista e direttore d’orchestra dei concerti del teatro La Fenice, a causa delle leggi razziali fu allontanato dalla sua posizione -che non potè più riprendere- e tutta la sua famiglia fu costretta a nascondersi per oltre un anno in una soffitta, e fu grazie alla umanità di persone che non si sono voltate dall’altra parte, oltre che alla fortuna di non essere stati vittima di qualche delatore, se poterono salvarsi senza essere catturati. Il ramo fiorentino della famiglia non ebbe altrettanta fortuna, di loro se ne salvò solamente uno. Mia madre, che all’epoca aveva 12 anni, fu allontanata dalla scuola, e visse un’esperienza ben peggiore di quella di cui noi ci siamo a lungo lamentati nel 2020 a causa della pandemia da Covid. A Venezia il 25 aprile si festeggia S. Marco, e in tempi di pace gli innamorati regalano il ‘boccolo’ alle innamorate: quello fu il giorno in cui nel 1945 mia madre poté uscire dal suo nascondiglio, liberata dall’incubo di doversi difendere da una volontà di eliminazione senza alcuna sua colpa. Io le ho sempre sentito dire che per lei il 25 aprile del 1945 è stato il giorno più bello della sua vita. Mio padre Alberto aderì, così come suo fratello Luigi, al movimento Giustizia e Libertà, poi confluito nel Partito d’Azione, e fu tra i primi a Udine a salire in montagna l’8 settembre del 1943, dando inizio alla Resistenza, all’età di 27 anni. Poi si spostò a Milano, dove con il friulano Fermo Solari e molti altri fu a fianco di Ferruccio Parri, il grande presidente del CVL e poi primo Presidente del Consiglio dell’Italia Liberata. Fu proprio lui a consegnare alla città di Udine la Medaglia d’Oro della Resistenza, la cui motivazione abbia sentito poco fa. Ma per la nostra famiglia quella data fu anche quella in cui si riaccesero le vane speranze di vedere mio zio Luigi, (31 anni), giovane giurista, professore universitario di diritto civile, ritornare dal campo di concentramento di Buchenwald, nel quale era stato deportato quale oppositore del regime. Ebbe allora inizio una angosciosa e penosa attesa, a casa ci sono ancora i cartelli in varie lingue con i quali i nonni andavano alla stazione ad aspettare i treni di rientro in arrivo, chiedendo notizie. Il suo nome, ora, sta scritto su una delle numerose pietre di inciampo visibili a Udine. Dico questo non per sottolineare vicende famigliari, ma perché mi auguro che queste esperienze, che sono state anche di moltissimi altri, possano restare patrimonio comune e contribuire a fornire alle nuove generazioni quegli anticorpi che sono necessari (e si spera anche sufficienti) a far sì che la storia non si ripeta. Qualcuno dice che la Resistenza non era necessaria, che l’Italia sarebbe stata liberata lo stesso, che il prezzo da pagare da parte non solo dei combattenti, ma anche delle popolazioni civili, che hanno subito rappresaglie, rastrellamenti, violenze di ogni genere, era troppo alto. Lo sappiamo bene qui in Friuli, territorio occupato dai tedeschi, dove la lotta partigiana ha comportato il sacrificio di molti giovani, e dove interi paesi sono stati incendiati, devastati. (I numeri li abbiamo appena sentiti). Chi afferma questo dimentica però che la Resistenza è stata un moto di popolo, una reazione forte e spontanea, che ha avuto l’appoggio della popolazione, dove componenti con ideologie ed estrazioni diverse tra loro si sono unite per lo scopo comune di abbattere un regime razzista, violento, oppressivo e corrotto e per liberare il paese e l’Europa intera dagli occupanti nazisti. Il clima dell’epoca è ben espresso dalle parole sulla libertà che Piero Calamandrei, uno dei nostri padri costituenti, rivolgeva agli studenti quando li incontrava: Però la libertà è come l’aria. Ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare, quando si sente quel senso di asfissia che gli uomini della mia genera zione hanno sentito per vent’anni e che io auguro a voi giovani di non sentire mai. E vi auguro….di riuscire a creare voi le condizioni perché questo senso di angoscia non lo dobbiate provare mai, ricordandovi ogni giorno che sulla libertà bisogna vigilare, vigilare dando il proprio contributo alla vita politica……’ . Parole fondamentali anche oggi, a 80 anni da allora. Perchè ci si dimentica cosa vuol dire vivere senza la libertà, la libertà viene data per scontata e -cosa ancor più grave- non si è disposti a rinunciare a nulla della nostra comodità di abitudini per difendere qualcosa di cui non si comprende appieno il valore. Ma la Resistenza è stata anche e soprattutto un atto di riscatto per il popolo italiano, un atto che ha dato un contributo essenziale nella vittoria contro i nazifascisti e che ha ridato dignità, di fronte alla comunità internazionale, ad un paese che si era fatto ammaliare dai proclami e dalle manie di grandezza di un criminale il quale, peraltro, dopo aver mandato a morire gli italiani allo sbaraglio, ne di sprezzava quella che considerava ignavia, mancanza di coraggio e di determinazione. Con la resistenza l’Italia ha alzato la testa e ciò ha le ha consentito di far sentire la propria voce sui tavoli dove si prendevano le decisioni sul futuro del paese. E’ stata una lotta dura, crudele, difficile, armata, dolorosa, ma irrinunciabile: chi la combatteva era consapevole del prezzo da pagare, ma anche del valore di ciò per cui si combatteva; mio padre ricordava il profondo turbamento di Ferruccio Parri quando, durante un incontro in clandestinità a Milano, giunse notizia della fucilazione di due giovani partigiani in Valdossola. Piangendo Parri commentò: ‘eppure dobbiamo continuare’. E devo dire che nonostante tutte le difficoltà e il dolore che quella lotta ha comportato, io ho sempre percepito in mio padre la profonda serenità che deriva dalla consapevolezza di aver fatto la propria parte, di avere fatto la cosa giusta. Vorrei ricordare ciò contro cui i resistenti hanno combattuto citando quello che mio padre scrisse nel l’arringa che tenne al processo della Risiera di San Sabba, nel quale ha rappresentato come parte civile i famigliari di Cecilia Deganutti, partigiana trucidata nella Risiera. Mio padre contestò la tesi che per spiegare cosa i nazisti, con l’appoggio dei fascisti, fecero alla Risiera si potesse parlare di ‘esplosione di bestialità, che annulla il raziocinio dell’uomo’, e scrisse: ‘sostenere questa tesi significa non avere capito nulla del nazismo e dell’antinazismo ………alla base del nazismo e della sua opera di oppressione e di repressione non c’è (solo, dico io), la bestialità, c’è invece una vera e propria filosofia, aberrante ma filosofia; c’è raziocinio, cinico fin che si vuole ma raziocinio; c’è tutta un’organizzazione politica e militare ma anche scientifica, di chimici, di medici, di tecnici, altro che bestialità.’
Il frutto di quella lotta è stata la nostra Costituzione Repubblicana, altissima sintesi del contributo di tutte le forze politiche che hanno partecipato alla liberazione del paese. Sintesi nella quale sono riconoscibilissime le voci delle diverse componenti che hanno partecipato all’Assemblea Costituente, della quale anche mio nonno Giovanni ha fatto parte. Una sintesi che aveva previsto, fra l’altro, un sistema elettorale proporzionale proprio con l’intento di dare voce a tutti. Una Costituzione che, pur compiendo anch’essa fra poco 80 anni, ancora oggi rappresenta un punto fermo, la nostra ‘coperta di Linus’, come è stata definita quando, qualche anno fa, si è svolto un referendum che senza successo ha proposto di modificarla. Devo confessare che io, da ragazza, in anni in cui la libertà era ormai un fatto acquisito ed il nostro paese viveva nella democrazia, ero quasi invidiosa di quello che mio padre aveva vissuto nei suoi venti anni, perchè all’epoca c’era un ideale chiaro, un senso, uno scopo alto per cui lottare, di giusti zia, di libertà, di uguaglianza. Molto più difficile mantenere vivi questi valori anche morali nella nostra vita democratica quotidiana. Il periodo del dopoguerra, fino a Tangentopoli e anche dopo, lo hanno purtroppo dimostrato. Subentra una certa stanchezza, assuefazione. Qualche anno fa, non senza una certa amarezza, avevo spedito una lettera, che è stata pubblicata sulla stampa locale, dal titolo: 25 aprile: vorrei che mio padre non avesse lottato invano. L’ho scritta perchè mi è sembrato che sempre di più, con il passare degli anni, si sia andato perdendo il senso di quella lotta e anche che la Resistenza sia stata ‘tirata per la giacca’, facendone cosa propria da una parte, oppure sminuendone il valore e la portata dall’altra. Qui in Friuli, poi, i fatti dolorosi di Porzus, che tutti conosciamo e che anche di recente sono stati oggetto di rivalutazione storica, possono far parlare di quella che Fermo Solari, uno dei massimi esponenti della Resistenza, friulano, appartenente al Partito d’Azione, definì in un volume ‘L’armonia discutibile della Resistenza’. Certo, c’erano punti di vista e posizioni diverse, ma la grandezza di quel momento è stata proprio che allora a livello apicale si è fortemente voluto e saputo unirsi accettando e rispettando le differenze, consapevoli che ESISTE UN PIANO PIU’ ALTO in cui lo scopo, che deve unire tutti, è quello di vivere in una società libera, pluralista, democratica. Oggi, nell’epoca delle tifoserie e della gara a chi grida più forte, occorrerebbe ritrovare questa capacità di reciproco rispetto. E dunque, sono passati 80 anni, e il nostro compito oggi è di fare sì che non siano passati invano. Perchè la manifestazione di oggi avrebbe poco senso se si trattasse semplicemente di ricordare eventi ormai lontani e (anche comprensibilmente) percepiti come tali dalle nuove generazioni. Ma io credo che di fronte ai preoccupanti sviluppi che quotidianamente stiamo vedendo accadere sotto i nostri occhi il ricordo di quei tempi, di quella lotta, debbano essere la fonte di ispirazione dove
ritrovare quello spirito, quel coraggio, quell’impegno comune, per affrontare le sfide che abbiamo di fronte.
Perchè quello che all’epoca è stato ottenuto con tanti sacrifici è oggi gravemente minacciato; minacciato dalla perdita di valori che possiamo vedere oltreoceano, dove  coloro che per noi sono stati dei liberatori, dei portatori di libertà e di diritti, sono oggi portatori dell’esclusivo valore del denaro e del proprio tornaconto. Il sogno americano della mia adolescenza sta diventando purtroppo l’incubo americano. E’ il caso di prenderne atto, perchè ricordo che già in passato abbiamo dimostrato scarsa lungimiranza nella scelta dei nostri alleati…. La mia generazione era ingenuamente convinta che la deterrenza atomica avrebbe impedito ogni futura guerra; invece i nostri uomini hanno trovato il modo di fare la guerra lo stesso. E la fanno. Perchè? ‘Because they can’, come dicono gli anglosassoni, perchè possono farla. E qui, scusatemi ma io, da figlia di un partigiano che ha preso le armi per difendere la democrazia, sono favorevole a una difesa comune europea. Perchè non si può dire che fino a oggi non eravamo armati: lo eravamo, solo che qualcuno era armato al posto nostro. Liliana Segre di recente ha affermato che ‘l’arrendevolezza non ha mai fermato nessuna guerra’: probabilmente aveva in mente la Monaco del 1938. Ovviamente parlo di difesa, di mettersi nelle con dizioni di non soccombere, certamente non di aggredire. Penso che anche questa, purtroppo, sia una lezione della storia. Allora mi sembra che di fronte ai più recenti e veloci sconvolgimenti su questo pianeta, tocchi a noi europei di oggi caricarci sulle spalle l’impegno e la responsabilità di dare compimento a quello che gli antifascisti di allora, Spinelli, Rossi e Colorni hanno immaginato come lo strumento per una crescita ed uno sviluppo democratico comune di pace, scrivendo il Manifesto di Ventotene. Lo chiede la piazza stracolma del 15 marzo, una piazza che non può essere ignorata, non può esse re abbandonata. Certo l’Europa è stata molto criticata, ha commesso errori, è burocratica, costosa, sicuramente migliorabile, ma l’Europa è anche ciò che noi sapremo farne, e io credo che nonostante i suoi difetti costituisca oggi un patrimonio di tutti, in modo particolare delle giovani generazioni, nate con l’Euro, e senza confini. E che sia l’unico vero strumento che abbiamo per fare massa critica e mantenere nel mondo uno spazio di civiltà, di fronte a pulsioni che fanno paura. Il Comunismo ha fallito, ma sta fallendo anche il Capitalismo, con la sua evoluzione verso pericolosissime concentrazioni di ricchezze e di potere, di oligarchie tecnologiche, con le derive autoritarie e antidemocratiche che stiamo vedendo emergere in giro per il mondo (Israele compreso, ed è per me un grande dolore) e anche progressivamente, nel nostro paese. (E qui gli esempi potrebbero essere davvero molti). Occorre trovare a livello europeo una nuova via, di giustizia, di eguaglianza e di libertà, dove i citta dini siano cittadini e non sudditi-consumatori e fornitori di dati; persone consapevoli in grado e con la possibilità di scegliere, non burattini in mano a qualche algoritmo. Perchè se è vero che i nazionalismi si nutrono di paura, io aggiungerei che si nutrono anche di piccolezza: chi non vuole un’Europa forte ha paura di perdere il suo piccolo spazio. Parafrasando la celeberrima frase di Primo Levi: ‘è successo, può succedere ancora’, vorrei concludere dicendo: ‘l’abbiamo fatto, possiamo farlo ancora’. W la resistenza, w il 25 aprile, W l’Italia liberata dal nazifascismo.
Giovanna Cosattini