Mala-sanità, l’ultima frontiera a Gaza

Niente da fare, le speranze che ci si possa fermare e ragionare almeno un po’ crollano miseramente una dopo l’altra. Le immagini di cumuli di macerie che rappresentano ciò che rimane di una città e delle abitazioni che fino a circa un mese fa davano rifugio e una parvenza di vita normale alle persone che le abitavano, non sembrano fare breccia nelle menti di chi può e dovrebbe decidere. Non pare esserci vergogna nelle facce dei cosiddetti potenziali mediatori, né tanto meno in quelle di chi dirige questo osceno massacro. Nemmeno le bombe che cadono sugli ospedali zeppi fino all’inverosimile di pazienti e di migliaia di persone che hanno perso tutto e non sanno dove altro potrebbero andare provocano almeno un senso di pietà, d ripensamento; parlare di dignità per quei soggetti sarebbe veramente esagerare. La bestialità di chi non si scompone di fronte alle immagini che in qualche modo continuano ad uscire da quell’inferno in cui si vive a Gaza ed in particolare all’interno degli ospedali è inconcepibile. La scusa per continuare quel massacro, secondo chi lo sta compiendo e chi gli fa da complice, è che negli scantinati e sotterranei delle strutture ospedaliere si nascondono i capi di Hamas e i loro arsenali. Poco significa che in più occasioni gli stessi medici e responsabili di quei nosocomi abbiano invitato giornalisti e personale delle Nazioni Unite o della Mezzaluna Rossa ad ispezionare quegli spazi e verificare che le accuse non hanno fondamento. Ma anche se, e la poniamo solo come ipotesi, ci dovessero essere quelle presenze, bombardare gli ospedali rimarrebbe un crimine anche secondo le Leggi Internazionali, che dunque dovrebbe essere perseguito. Lasciare senza elettricità, acqua, medicinali e materiali medici e tenere sotto tiro chiunque si muova all’interno degli ospedali significa condannare a morte sia chi ha bisogno di cure che chi all’interno di quei muri continua nonostante tutto a fornire quel minimo di prestazioni che nell’estrema emergenza i medici e paramedici riescono ancora a fornire. I cecchini sono appostati e sparano, come dichiarano i medici, su chiunque si porti al loro tiro, mentre aerei e artiglieria continuano a colpire tutto ciò che sta attorno alle cliniche.

Non si può umanamente chiedere ulteriori sacrifici a chi da quasi quaranta giorni è praticamente relegato negli ospedali operando in condizioni disumane. Ora nemmeno quelle condizioni ci sono più, solo disperazione e giusta e umana paura.
Nel frattempo in molti “grandi” si stanno muovendo e incontrando come delle trottole; Blinken, la Lega Araba, l’organizzazione del Paesi Islamici, L’UE (ahh, no, no pervenuta…), tutti con all’ordine del giorno il trovare una soluzione. Non solo non comune, ma nemmeno qualcosa di realmente incisivo, che possa essere realisticamente messo a punto e provocare qualche risultato. Un totale non sense, una specie di presa in giro. Tutte i soggetti appena elencati, se solo volessero, avrebbero veramente argomenti pesanti da porre sul tavolo delle trattative e far smettere il macello, ma ci sono altri interessi in gioco, quelli che passano tranquillamente sulle teste di noi poveri mortali di cui lor signori se ne fregano altamente. Fingono di provare un qualche disagio, minacciano, alzano (non troppo che non li prendano sul serio) la voce, ma quando si tratta di prendere decisioni di spessore….. niente da fare. Non riesce loro proprio di farcela. Vuoi mettere, il business colossale arriva prima di tutto il resto, se poi per mantenerlo si deve passare sopra ad un’enorme pila di cadaveri e ai diritti minimi di un’intera popolazione, vabbè, amen.
Giusto per dire qualcosa e dimostrare la loro profonda preoccupazione, si ritira in ballo il famoso motto dei “due popoli e due Paesi” che tra poco non convincerà nemmeno i pochi ingenui che continuano a crederci. Figuriamoci se Israele ha un minimo di volontà di ritirarsi all’interno dei confini del 1967 e smantellare tutte le colonie della Cisgiordania con i suoi 750.000 inquilini. Oppure di mollare le alture del Golan siriane e di condividere veramente Gerusalemme. Se fino ad oggi non ha rispettato tutte le risoluzioni di condanna che il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha emanato nei suoi confronti, pare altamente improbabile che cominci a farlo dopo l’orrendo attacco di Hamas del 7 Ottobre scorso e dopo avere massacrato (per ora) più di 13.000 palestinesi ed aver raso al suolo buona parte d Gaza, case, ospedali, infrastrutture di tutti i generi, persino negozi e panifici. Mentre anche in Cisgiordania i locali continuano a subire ogni tipo di soprusi e i soldati di Tel Aviv continuano ad arrestare chiunque solo manifesti una qualche protesta. Nelle carceri israeliane sono reclusi più di 6.000 palestinesi, circa un migliaio i minori, molti dei quali senza alcuna accusa; detenzione amministrativa la chiamano. Come non chiamare anche quelli se non ostaggi?
Si cerca di resuscitare un morto vivente, Abu Mazen e il suo presunto governo ipercorrotto come se rappresentasse veramente il suo popolo. Sono quindici anni che le elezioni vengono annullate proprio perché l’Autorità Nazionale Palestinese che Abu Mazen presiede non le vincerebbe esattamente perché è riuscita a far morire tutte le speranze dei palestinesi. Ci sarebbe un candidato che potrebbe mettere d’accordo tutti o quasi, Marwan Barghuthi che però è ospite delle patrie galere israeliane per evitare che da libero possa rappresentare una soluzione e dunque è considerato un terrorista. Anche Ghandi e Mandela si sono fatti la galera più o meno con le stesse accuse, ma poi sono diventati i più alti rappresentanti dei loro popoli e delle loro democrazie.
Come seconda scelta, anche se meno gettonata, ci sarebbe l’ipotesi di un solo Stato per i due Popoli. Anche qui, immaginare che palestinesi e israeliani possano convivere tranquillamente appare piuttosto utopico, anche considerando che una parte degli abitanti di Israele sono palestinesi e già quelli sono cittadini di seconda serie non godendo degli stessi diritti degli ebrei. Uno status che ricorda parecchio il regime di apartheid in vigore in Sud Africa fino agli accordi di pace firmati da Mandela e De Klerk. E dunque e nonostante tutto, questa rimane l’unica via percorribile se naturalmente ci fosse un minimo di volontà da parte del resto del mondo ad applicare le stesse sanzioni che erano state previste per il Sud Africa e che hanno portato quel regime a ragionare. Ma tutto ciò per ora rimane pura utopia.
Ci si accontenterebbe di un cessate il fuoco che fermasse la follia che sta facendo a pezzi Gaza e i suoi abitanti. Ma anche questo obiettivo minimo non pare essere all’orizzonte grazie all’ignavia e alla codardia di chi governa il “mondo civile” e che ci rappresenta. Bisognerebbe ricordarsene quando si va al voto.

Questo è un messaggio, un atto di disperazione rilasciato dal Dr. Nidal Abu Hadros / Head of the Surgical Hospital at Al-Shifa Hospital in Gaza and Consultant in Neurosurger

Cari colleghi
La situazione a Shifa ora è estremamente pericolosa.
Noi come staff medico vogliamo andarcene, ma non possiamo!
Potremmo non sopravvivere fino al mattino.
Non vogliamo essere uccisi qui, solo perché abbiamo mantenuto il nostro impegno nei confronti dei nostri pazienti e della nostra professione medica.
Chiedo aiuto urgentemente!
Vi preghiamo di fare tutto il possibile attraverso il vostro governo o il CICR per organizzare un corridoio sicuro per il personale medico.
Per favore, trattatelo come urgentissimo.
Grazie in anticipo.

Docbrino