Medici bocciano le case di comunità – scatole vuote che costano milioni di euro
«Involucri architettonici vuoti» vengono definite le Case di comunità dai medici di medicina generale, i quali aggiungono che neppure è chiaro chi fa che cosa. E che proprio i medici che dovrebbero lavorare dentro queste strutture esprimano un tale giudizio la dice lunga su come si programma la sanità.
Già, perché secondo l’assessore alla Salute Riccardi le Case di comunità rappresentano il primo passo della riorganizzazione del servizio sanitario nella nostra regione.
I medici dissentono da questa impostazione, e non senza motivo, visto che le Case di comunità non sono altro che i vecchi CAP – Centri di Assistenza Primaria – della riforma Serracchiani, cui hanno cambiato nome forse per mascherarne il fallimento. Nonostante ciò, la Regione sta investendo ingenti risorse, basti pensare che la Casa di comunità da realizzare all’interno dell’Ospedale Maggiore di Trieste costerà intorno ai 4 milioni di euro.
Nelle Case di comunità dovrebbero lavorare in équipe i medici di medicina generale (anche i pediatri), in collaborazione con gli infermieri, gli specialisti ambulatoriali e altri professionisti sanitari come logopedisti, fisioterapisti, dietisti, tecnici della riabilitazione e altri.
Ma attenzione, non è previsto alcun sostanziale aumento di personale, i medici di medicina generale verranno tolti dai loro studi per circa metà delle ore settimanali, gli infermieri e gli OSSS saranno quelli dei Distretti, gli specialisti giungeranno per lo più dall’ospedale. In pratica è una riallocazione del personale già in servizio, che semplicemente dovrà spostare la propria sede di lavoro.
E allora non si comprende come il mero spostamento di attività già esistenti possa costituire un potenziamento del sistema.
Ma si attendono ulteriori disagi per tutti, pazienti e operatori sanitari. Non si capisce che senso abbia collocare delle strutture di questo tipo nelle città, dove per l’utente il doversi recare per una visita a un indirizzo piuttosto che a un altro cambierebbe molto poco, o addirittura potrebbe costituire un peggioramento, perché gli specialisti, o altri professionisti, non potrebbero che essere presenti nelle diverse Case di comunità per poche ore la settimana (se va bene).
Mentre nelle zone rurali e montane concentrare in queste strutture i medici di medicina generale vorrebbe dire sguarnire interi abitati del medico nei giorni in cui dovrà chiudere lo studio e recarsi alla Casa di comunità. Altro che la medicina di prossimità, è l’esatto contrario.
Infine, l’assessore Riccardi sa che in Lombardia solo 7 Case di comunità su 216 programmate risultano pienamente conformi? Sa che meno del 30% delle strutture garantisce l’apertura 24 ore su 24? Sa che il 90% non dispone di un pediatra e che l’84% non assicura la presenza continuativa di un infermiere per 12 ore al giorno? E sa che le altre regioni dove si è tentato di attivarle mostrano numeri simili se non peggiori?
Walter Zalukar Associazione Costituzione 32