Migranti in corteo a Udine. Chiedono rispetto e procedure burocratiche non vessatorie

Erano almeno duecento gli immigrati che hanno partecipato all’annunciata manifestazione a Udine. In sostanza hanno chiesto attenzione da parte delle istituzioni , rispetto e pari dignità in sostanza un trattamento più umano. Chiarissimi gli slogan e le scritte su striscioni e cartelli. Attenzione particolare sulla annosa questione dei permessi di soggiorno e dei loro rinnovi, che spesso, lamentano diventano un quasi insormontabile percorso ad ostacoli con il dubbio, la parola certezza la aggiungiamo noi, che alcune procedure sembrano fatte per rendere la loro vita difficile.  Dopo aver consegnato una lettera al Questore di Udine e per suo tramite al Ministro degli interni Piantedosi, la manifestazione ha preso avvio da piazzale XXVI luglio, un corteo pacifico ma rumoroso che è arrivato fino al Comune del capoluogo friulano dove una delegazione è salita per consegnare una lettera di richieste al sindaco mentre in piazza si susseguivano gli interventi dei manifestanti. La manifestazione era indetta dalla Comunità Ghanese di Udine e dalla Onlus Time for Africa. Fra gli obiettivi della protesta, come già accennato, le code e i tempi di attesa lunghissimi per gli appuntamenti per il rilascio dei permessi di soggiorno a Udine e contro la discriminazione istituzionale sistemica che rende estremamente difficile la vita ai migranti. Alla manifestazione, organizzata da Kofi Bonsu, Presidente della Comunità Ghanese, e da Umberto Marin di Time for Africa, si legge in una nota,  hanno preso parte anche la consigliera comunale del Partito Democratico Anna Paola Peratoner e rappresentanti dell’UDU (Unione degli Universitari). Presente anche il consigliere comunale  Andrea Di Lenardo di “Alleanza Verdi Sinistra Possibile” che in un breve intervento ha ricordato le 300 persone che, come dichiarato in commissione dal Prefetto, vivono per strada a Udine (prima in Italia per qualità della vita), l’incubo dei documenti, le code al freddo, anche con minori, fuori dalla questura e la burocrazia che di fatto impedisce i ricongiungimenti familiari.  “Da genero di persone di origine straniera, ha dichiarato Di Lenardo  provo un’immensa vergogna come italiano per quello che va chiamato con il suo vero nome: razzismo istituzionale”.