Monfalcone: governare la Realtà anziché negarla
E’ arrivata al 29% la percentuale di cittadini stranieri a Monfalcone; era poco più del 20% quando si insediò la giunta Cisint. Per il centrodestra che aveva fatto, cinque anni fa, del “troppi stranieri” un mantra della campagna elettorale non è proprio un gran risultato e, immagino, che molti dei suoi elettori non ne siano entusiasti. Naturalmente Cisint, all’epoca, accusando il centrosinistra di aver permesso un tale afflusso di immigrati, raccontava cose non vere: allora ed oggi (come si è accorta i flussi dei lavoratori stranieri, compresi i ricongiungimenti familiari, non sono certo determinati dal comune, dipendono, in gran parte, dalle necessità economiche del sistema produttivo, in primis Fincantieri e, dall’altra, dalle leggi, a partire dalla Legge Bossi-Fini (Bossi, lo conosce sindaca?) che regolano i flussi migratori. Così, sapendo di non potere determinare gli arrivi e le uscite dei migranti, il centrodestra si è ritrovato a far loro dei “dispetti”: si controllano i loro esercizi commerciali più degli altri, si tolgono le panchine in piazza, si finisce sulla stampa per le quote di bambini stranieri nelle scuole, si fa di tutto per negare la costruzione di un luogo di culto ad una comunità di migliaia di persone. Insomma, azioni indispettite e inefficaci che non si misurano con la realtà. Gli immigrati stranieri, quelli che arrivano da Bangladesh, ma anche dai Balcani o dal nord Africa, in fondo, fanno ciò che hanno fatto per almeno un secolo milioni di italiani: hanno cercato all’estero una vita migliore, un lavoro e una prospettiva per i loro figli. Non li si ferma con burocrazia, rigidità e sguardi severi. Sono buoni? Cattivi? Sono come noi, vengono da luoghi lontani e devono ambientarsi, pagano le tasse, lavorano e fruiscono dei servizi (non tutti, essendo quasi esclusivamente persone giovani). Certamente, quando gli stranieri in una piccola realtà come Monfalcone superano una quota di un quinto della popolazione, determinano una situazione che necessita di alcuni interventi, ma, ad essere intelligenti, di questa multiculturalità si potrebbe farne un vantaggio per tutta la comunità. Del resto, chi è pagato per amministrare la cosa pubblica i problemi li deve risolvere e non limitarsi a sbraitare e gridare slogan. In questi cinque anni, al posto di promuovere l’inclusione, si sono utilizzate le divisioni sociali e la complessità demografica per fare continua propaganda, cercando semplicemente di portare a casa un tornaconto elettorale invece di migliorare la vita della nostra comunità. Monfalcone è terra da immigrati da sempre. Almeno da quando, più di cento anni fa, i fratelli Cosulich decisero di impiantarvi i cantieri navali. Così un paesotto di duemila abitanti, per lo più contadini e pescatori, vide arrivare nuovi lavoratori dal circondario, dall’Istria, dalla bassa friulana (che allora apparteneva al Regno d’Italia mentre noi eravamo sudditi dell’Impero Austro-Ungarico). Dopo il primo conflitto mondiale incominciarono a fermarsi molti lavoratori del sud, a partire da coloro che furono qui mandati a combattere. I primi arrivarono dalla Puglia (vi siete mai chiesti perché siamo gemellati con Gallipoli?), poi dalla Campania, dalla Sicilia, dalla Calabria. Non erano solo operai, ma funzionari pubblici e forze dell’ordine. Con la fine della II Guerra mondiale, la ricostruzione e poi il boom economico degli anni ’60, proseguirono i flussi migratori dal Meridione, rallentati dalla crisi della cantieristica alla fine degli anni ’70. Con la riconversione del Cantiere alle navi da crociera e la globalizzazione economica, l’immigrazione divenne funzionale al nuovo sistema produttivo dell’azienda, con le esternalizzazioni e l’utilizzo delle ditte in appalto. Arrivarono così i nuovi immigrati dall’Europa orientale e dai Balcani e dal Bangladesh, comunità, quest’ultima, che oggi è largamente maggioritaria tra gli stranieri. Sei anni di destra al potere non hanno sfiorato questo meccanismo e il numero di immigrati non è mai salito così velocemente come in questo quinquennio, pandemia inclusa.
Invece di polemizzare sui ricongiungimenti familiari, si sarebbe dovuto agire con Fincantieri e con la sua proprietà (ricordate la storia dei pugni sul tavolo?) per ridurre il ricorso al subappalto e, magari, per migliorare le condizioni di lavoro e retribuzione sia per gli stranieri come per gli italiani. Non lo si è fatto. Non lo si farà.
Certamente, quando una persona arriva da terre così lontane, con lingua, storia, cultura, tradizioni, molto diverse dalle nostre, la convivenza non è certo semplice, ma è, comunque, un percorso irrinunciabile. Chiariamoci una volta per tutte: pochi saranno gli immigrati che alla fine della loro vita lavorativa torneranno al loro Paese d’origine e, sicuramente, non lo faranno i figli, i quali, in molti casi, sono nati in Italia, qui fanno il loro percorso scolastico, e sono destinati a diventare italiani a tutti gli effetti. La scelta dunque è molto semplice: affrontare il problema favorendo i percorsi di convivenza a favore dell’intera comunità cittadina o insistere nel dividere, additare, colpevolizzare, urlare slogan facendo eco alla Lega salviniana. Anche un bambino capirebbe qual è la scelta giusta. Esattamente quella che questa amministrazione non ha mai percorso. Intendiamoci subito su un punto: il fatto che migliaia di monfalconesi vengano da un Paese musulmano non cambia di un millimetro la questione: la Costituzione prevede la libertà di culto e di espressione, e se la comunità islamica, con le sue risorse e nel rispetto delle leggi, realizza un luogo di culto è giusto che lo faccia e possa praticare la loro fede. Quanto ad alcuni aspetti come il ruolo della donna che, in diverse occasioni, appare ancora in subordinato a quello dell’uomo, anche qui c’è poco da discutere. Vanno attuate tutte le iniziative che consentano alle donne, tutte, anche a quelle del Bangladesh, di esercitare tutti i diritti riconosciuti a ogni cittadinA. Si tratta, innanzitutto, di un percorso culturale, come ben sanno le donne italiane, un percorso che non ammette lentezze e giustificazioni, va fatto presto. Il comune può fare delle cose. Può attrezzare le strutture che consentano alle donne di conciliare la gestione dei figli con l’attività lavorativa e può tracciare nuovi sentieri, soprattutto dedicati alle giovani generazioni, alle ragazze, che intendono studiare, lavorare, decidere autonomamente il loro percorso di vita, e non c’è tradizione o pigrizia mentale che le possa fermare. Nel centrosinistra una di loro si candiderà a consigliera comunale. Un bel segnale di emancipazione, che voglio sottolineare.
Comporre una società multietnica come quella di Monfalcone necessita di un grande sforzo politico, culturale e di un importante investimento di risorse. Il sistema produttivo, a partire da Fincantieri, la Regione, lo Stato, devono intervenire, aiutare il comune, e non fare da spettatori. Questo deve portare a casa il prossimo sindaco: un grande progetto, con adeguate risorse, per costruire una città migliore, per tutti, senza tensioni e che guardi al futuro, a partire dalle giovani generazioni. Vivere tranquillamente senza tensioni e scontri, poter realizzare le proprie ambizioni e praticare i propri interessi: sono questi i desideri di ciascuno di noi, indipendentemente dal nostro luogo di provenienza. Inoltre, non nascondiamoci, il futuro dell’Europa, dell’Italia, è la convivenza e la multiculturalità; Monfalcone in questo sta provando il futuro prima degli altri. Un ruolo enorme, su questo piano, lo stanno svolgendo le associazioni e il volontariato, la Chiesa cattolica e l’associazionismo sportivo. Una parte di città che è sempre stata capace di affrontare le sfide e fare comunità. In questa tornata amministrativa sono molti i monfalconesi di origine straniera a candidarsi, nelle diverse liste, per il consiglio comunale: è un bene. Saranno gli elettori a decidere chi lo fa con maggiore coerenza politica e ideale e chi rappresenterà al meglio la nostra comunità, ma già il fatto che il processo che porta alla convivenza tocchi le nostre istituzioni è straordinariamente importante e un progresso per tutti. Quindi, bisogna dire la verità fino in fondo e non illudere gli elettori di poter accendere la macchina del tempo: Monfalcone è già oggi una realtà multietnica e multiculturale, lo sarà nei prossimi anni. Accettare questo processo, riconoscerne le opportunità e le sfide e non trattarlo come una dannazione, di questo abbiamo bisogno e questo vogliamo per il futuro. Il 12 giugno si vota anche su questo. Cristiana Morsolin ufficio stampa candidata sindaca a Monfalcone