Febbre elettorale. La destra resta neofascista nell’anima, la sinistra ha abbracciato l’ideologia tafazziana e sembra goderne

Le elezioni europee si avvicinano a grandi passi, sale la febbre e a qualcuno viene l’infiammazione delle meningi. Possiamo affermare senza tema di smentita che la coerenza, anche se mefistofica, sta più nel centrodestra che nel centrosinistra, quest’ultimo come sempre diviso in diaspore pseudo ideologiche. In realtà le caratterizzazioni nascondono non virtuose e poco condivisibili posizioni di principio “irrinunciabili”, ma l’utilizzo pernicioso di queste danno la stura a improbabili ritorni in sella di personaggi perdenti o comunque già archiviati dalla storia politica. Una rivalsa individuale per togliersi sassolini o macigni dalle scarpe,  strumentalizzando la buona fede di tanti alla ricerca di una Arca con la quale superare il diluvio universale. Ma tornando alla “coerenza” della destra non possiamo non evidenziare come come Fratelli d’Italia mantenga la fiamma tricolore, quella che richiama a Mussolini e al Msi di Almirante. Nel simbolo già depositato al Viminale per le europee 2024 include bene in evidenza il nome di Giorgia Meloni. Ma di più, quanto avvenuto in Rai, dove un manipolo di servizievoli vassalli più realisti del Re Meloni hanno pensato bene di minare la ricorrenza del 25 aprile hanno palesato i veri obiettivi della neo ducetta. Del resto era chiaro fin dalle prime battute di questa maggioranza di governo che la parola d’ordine fosse sostituire la famosa “egemonia” culturale della sinistra con quella di destra e per fare questo non c’è nulla di meglio che oscurare il 25 aprile, ridimensionarlo per arrivare magari, un giorno, a cancellarlo. Peccato che la “sostituzione” culturale sempre che parlarne  abbia un senso, necessita di processi lunghi che non possono essere certamente garantiti da un Ministro della cultura che è macchietta di se stesso, né tantomeno da una masnada di incapaci il cui unico merito è quello di essere imparentati con la capa o essere frequentatori dei suoi cortiletti ideologici a braccio alzato. Vale la pena ricordare che l’egemonia, o meglio la cultura, non nasce per volontà rivelata, ma è la naturale conseguenza della evoluzione democratica delle idee. Ovviamente chi vuole ridurre tutto ad una serie di caselline e poltrone da riempire, parla a vanvera, ritenendo con il furore ideologico post ventennio, che il 25 aprile,  è  una sorta di macchia nella coscienza del paese che avrebbe invece rinnegato la parte migliore  della storia del novecento, quella che ci narra che Mussolini fece anche cose buone. Vale la pena ricordare a questi apprendisti goffi della riscrittura della storia, che i “comunisti” sovietici non sono stati mai al potere in Italia e che le istituzioni culturali, scolastiche e universitarie, nel dopoguerra erano in mano alla Dc e ai moderati non certo ai seguaci di Stalin.  Così era anche per la stampa, le televisioni, che hanno sempre visto prevalere in maniera pesantissima (con esclusione concessa di Rai tre), prima e dopo Berlusconi, una gestione non certo orientata a sinistra. Ma in realtà è la cultura che si è posizionata sui valori ed è stata naturale evoluzione del processo democratico, quello che oggi si vorrebbe ribaltare riportando indietro le lancette della storia. Ma lo si vuole fare non con la forza delle idee, ma maldestramente occupando i gangli del potere mediatico. Per dirla con parole care alla narrazione Meloniana, l’egemonia culturale non fu imposizione di potere ma semplice “merito”. Aggiungiamo a questo che le altre componenti della attuale maggioranza sono alla ricerca del proprio spazio al sole con la Lega di Salvini sull’orlo di una crisi di nervi che proporrà il mitico generale Vannacci per cercare di risalire una china che in punta di posizioni oscurantiste lo strascinerà in una progressiva ininfluenza,  schiacciata dal corpaccione del partito meloniano. Questo almeno finche la narrazione del quanto siamo bravi sarà efficace ed il popolo votante si accorgerà di aver preso l’ennesimo abbaglio. Dal canto suo  Forza Italia è costretta a giocare la sua partita nostalgica partecipando alle elezioni con il morto nel simbolo e probabilmente nel cuore. Insomma a destra i problemi sono quelli di sempre, la rincorsa al potere oggi trovato ma aggravati da una classe dirigente che dire imbarazzante è poco, dove perfino un uomo ombra come Tajani può essere considerato un “gigante”. Nano, ma gigante. In realtà le non pochissime teste pensanti democratiche che pur nel centrodestra esistono, sono state marginalizzate e non compensate di certo dalla campagna acquisti operata, ad esempio, nel mondo del giornalismo opportunista, di cui purtroppo proprio dal Friuli sono giunti due fulgidi esempi e di cui sono pieni i talk show televisivi. Detto questo, non è che a sinistra ci sia tanto da godere, anzi, la traversata nel deserto rischia di essere lunga e nefasta. Infatti come se non bastasse avere un Movimento 5 stelle ondivago nei comportamenti, con un capo che vive la nostalgia di palazzo Chigi con chiunque, come un ossessione,  anche il Partito Democratico che sembrava aver trovato se non una linea, almeno un sentiero che lo riconduceva verso valori che ne hanno fatto la storia migliore,  ha deciso di sparigliare le carte con alcune scelte di impressionante stupidità. La segreteria nazionale del Pd Elly Schlein, a parole paladina del lavoro collettivo e partecipato,  ha pensato bene non solo di candidarsi dicendo, senza imbarazzo, che però la sua è solo candidatura di bandiera, dato che di andare in Europa non ci pensa nemmeno. Insomma si  prendono così per i fondelli gli elettori visti evidentemente come dei mammalucchi che votano ad istinto, ma addirittura ha pensato “male” di inserire il proprio nome nel simbolo del partito, eventualità per fortuna scongiurata da un ripensamento.  Fosse stato confermato la paladina della crociata contro i personalismi avrebbe bollinato il simbolo come cosa propria. Discutibile è invece la scelta del presidente (non da molto eletto della regione Emilia Romagna) di candidarsi per andare in Europa trascinando la sua regione a nuove elezioni. Insomma il quadro è davvero completo. Ci sarebbe di che ragionare e discutere, ma a questo punto, la sensazione non è che nel Pd sono stati epurati cacicchi e capibastone, ma semplicemente si voglia sostituirli con nuovi che non è detto siano migliori dei vecchi. Guardando ancora a sinistra alcuni mali sono contagiosi e non è che le avarie “alleanze”  navighino senza contraddizioni. Stendendo poi un velo pietoso su altre liste personali che fanno rabbrividire per l’accozzaglia di personaggi che le compongono.  Insomma repetita iuvant, ci tocca tornare ad affermare: “Mala tempora currunt sed peiora parantur (“corrono brutti tempi ma se ne preparano di peggiori”) con l’amletico dubbio finale:  per chi votare? Sapendo che il non voto non è una scelta valida dato che rafforza chi il potere l’ha preso e vuole tenerselo a tutti i costi.

Fabio Folisi