Morta Licia Rognini, vedova dell’anarchico Pinelli legato a fatti che ai più giovani non diranno nulla, ma che oggi tornano alla ribalta

Lei si era  sempre battuta per la verità sulla morte del marito e oggi  è morta, a 96 anni. Parliamo di Licia Rognini Pinelli, vedova dell’anarchico Giuseppe, detto Pino, morto precipitando da una finestra della Questura di Milano il 15 dicembre 1969. Se si sia trattato di un omicidio, oppure di un incidente, non è mai stato chiarito ufficialmente così come i tanti, troppi, misteri italiani di quegli anni, anche se,  volendo citare le parole di Pasolini possimo dire  “Io so, sono i nomi dei responsabili, ma non ho le prove….” Pinelli era stato fermato in relazione alla strage di piazza Fontana, attentato di matrice neofascista, da cui l’anarchico risultò essere completamente estraneo. La vicenda fu all’origine dell’assassinio, nel maggio del 1972, del commissario Luigi Calabresi, ucciso da aderenti alla sinistra extraparlamentare. Omicidio per cui fu condannato, tra gli altri, Adriano Sofri, all’epoca leader di Lotta Continua.  Ma tornando a Licia Rognini che merita certamente di essere ricordata per la tenacia con la quale si è spesa negli anni  per la memoria del marito. Nata a Senigallia nelle Marche, Licia Pinelli, si trasferisce a Milano con la famiglia all’età di 18 mesi e qui rimane. Il padre, falegname, anarchico, lavora alla Pirelli. Licia incontra il futuro marito Giuseppe nel 1952, ad un corso di esperanto. Si sposano nel 1955 e avranno due figlie, Silvia e Claudia. Casa Pinelli diventa luogo di incontro di esponenti anarchici, studenti e attivisti. Giuseppe Pinelli, che lavora come ferroviere, è uno degli animatori dello storico circolo anarchico milanese Ponte della Ghisolfa. Poi, nel ’69, la bomba in piazza Fontana sconvolge la vita della famiglia. Immediatamente dopo il “volo” di Pinellidalla finestra le dichiarazioni ufficiali della Questura parlavano di suicidio. Ma Licia non ci sta, e insieme alla madre di Pinelli, Rosa Malacarne, denuncia il questore Marcello Guida (ex funzionario fascista) per diffamazione. Nel 1971 denuncia il commissario Calabresi e tutti i presenti in questura per omicidio volontario, sequestro di persona, violenza privata e abuso di autorità. L’istruttoria viene affidata al giudice Gerardo D’Ambrosio che nel 1977 l’archivierà escludendo sia il suicidio che l’omicidio: motivando la morte come un non meglio precisato “malore attivo”, proscioglie tutti gli indiziati.  Nel 2009 Licia Rognini viene ricevuta dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, in occasione della celebrazione del ”Giorno della Memoria delle vittime del terrorismo e delle stragi”. In quell’occasione Napolitano parla opportunamente di Pinelli come della “18esima vittima di piazza Fontana”. All’incontro partecipa anche Gemma Capra, vedova di Luigi Calabresi. Alcuni anni dopo entrambe le vedove verranno insignite da Napolitano del titoli di commendatore al Merito della Repubblica. Nel 2015 Licia Pinelli pubblica il libro Dopo, in cui racconta della sua vita dopo la morte del marito. Come accennato in apertura su quelle vicende, su quei tempi che speriamo non dovere più rivivere (ma vista l’aria che tira non ne siamo certi) riecheggiano, quasi profeticamente, le parole di Pier Paolo Pasolini che  nel 1974 riferendosi alla fine degli anni sessanta  scriveva sul Corriere della Sera, un articolo che vale la pena rileggere:

“Che cos’è questo golpe”.

Io so. Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato golpe (e che in realtà è una serie di golpes istituitasi a sistema di protezione del potere).
Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969.
Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974.
Io so i nomi del “vertice” che ha manovrato, dunque, sia i vecchi fascisti ideatori di golpes, sia i neofascisti autori materiali delle prime stragi, sia, infine, gli “ignoti” autori materiali delle stragi più recenti.
Io so i nomi che hanno gestito le due differenti, anzi opposte, fasi della tensione: una prima fase anticomunista (Milano 1969), e una seconda fase antifascista (Brescia e Bologna 1974).
Io so i nomi del gruppo di potenti che, con l’aiuto della Cia (e in second’ordine dei colonnelli greci e della mafia), hanno prima creato (del resto miseramente fallendo) una crociata anticomunista, a tamponare il 1968, e, in seguito, sempre con l’aiuto e per ispirazione della Cia, si sono ricostituiti una verginità antifascista, a tamponare il disastro del referendum.

Io so i nomi di coloro che, tra una messa e l’altra, hanno dato le disposizioni e assicurato la protezione politica a vecchi generali (per tenere in piedi, di riserva, l’organizzazione di un potenziale colpo di Stato), a giovani neofascisti, anzi neonazisti (per creare in concreto la tensione anticomunista) e infine ai criminali comuni, fino a questo momento, e forse per sempre, senza nome (per creare la successiva tensione antifascista).
Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro a dei personaggi comici come quel generale della Forestale che operava, alquanto operettisticamente, a Città Ducale (mentre i boschi bruciavano), o a dei personaggi grigi e puramente organizzativi come il generale Miceli.
Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro ai tragici ragazzi che hanno scelto le suicide atrocità fasciste e ai malfattori comuni, siciliani o no, che si sono messi a disposizione, come killers e sicari.
Io so tutti questi nomi e so tutti questi fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli.
Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi.
Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che rimette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia e il mistero.
Tutto ciò fa parte del mio mestiere e dell’istinto del mio mestiere. Credo che sia difficile che il “progetto di romanzo” sia sbagliato, che non abbia cioè attinenza con la realtà, e che i suoi riferimenti a fatti e persone reali siano inesatti. Credo inoltre che molti altri intellettuali e romanzieri sappiano ciò che so io in quanto intellettuale e romanziere. Perché la ricostruzione della verità a proposito di ciò che è successo in Italia dopo il 1968 non è poi così difficile.
Tale verità – lo si sente con assoluta precisione – sta dietro una grande quantità di interventi anche giornalistici e politici: cioè non di immaginazione o di finzione come è per sua natura il mio. Pier Paolo Pasolini