Niente più finanziamenti pubblici per il progetto Villa Carrà, casa rifugio per persone vulnerabili della comunità LGBTQIA+. Gli ospiti ora in carico alla onlus Oikos
“Siamo giunti purtroppo alla chiusura dei rubinetti, anche se non alla chiusura del progetto, di un’esperienza nata esattamente un anno fa, a capofila OIKOS ma in ATS con Arcigay Friuli. Parliamo del progetto di Villa CARRÀ, casa rifugio per persone vulnerabili della comunità LGBTQIA+ vittime di discriminazione o di violenza, finanziato dall’UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali), co-finanziato dalla Chiesa Valdese e sostenuto da tante associazioni partner della nostra regione e appartenenti alla comunità LGBTQIA+, perché nato da una valutazione di fabbisogno di protezione, accoglienza e presa in carico evidenziata negli anni dalle stesse associazioni”. Si apre così la denuncia di Anna Paola Peratoner responsabile Area Inclusione e Formazione di OIKOS Onlus e coordinatrice del progetto “Villa C.A.R.R.A.”
“Purtroppo, prosegue la nota, l’esperienza di accoglienza in comunità (che accoglieva fino a 12 persone) viene interrotta dopo un anno di vita, perché l’UNAR, per evidenti ragioni politiche, non ha più pubblicato il bando per il suo rifinanziamento, ma le persone accolte sono state o trasferite in un appartamento OIKOS senza copertura di alcun costo e seguite, nella loro presa in carico, da uno staff di volontari di Arcigay, oppure inserite in altri progetti. Alcune sono state trasferite in SAI (sistema di accoglienza e integrazione) dedicati ai vulnerabili, altre in alcune meravigliose famiglie friulane, oppure infine in altre comunità accoglienti del nostro territorio, dove abbiamo trovato solidarietà”. Spiega Peratoner: “Cosa ha significato e significa accogliere persone vulnerabili della comunità LGBTQIA+? Intanto significa incontrare tantissime storie di maltrattamento, violenza, abusi, discriminazioni che in una Regione o un paese come il nostro, in Europa e in un mondo civile non dovrebbero esistere, ma poi ha significato costruire con gli ospiti meravigliose storie di resilienza, di ricostruzione della vita e del desiderio, di ricostruzione del proprio sé, in un lavoro di accompagnamento reciproco e con operatori e operatrici formate che li hanno traghettati dentro e fuori alle loro sofferenze, ma anche dentro alle loro gioie e conquiste, che in questo anno insieme sono state tante. Abbiamo avuto quasi 100 accessi in un anno di vita del progetto, intesi come richieste di aiuto o consulenza individuale e un totale di 12 accolti in Villa Carrà, provenienti da ogni dove, perché le donne e gli uomini trans o le persone omosessuali o non binarie subiscono discriminazione e violenza ad ogni latitudine del globo: dall’Italia alla Colombia, dal Brasile alla Russia, dal Pakistan al Camerun. L’affermazione e la domanda con cui ci sentiamo di “salutare” questo progetto finanziato sono rivolte alle istituzioni e ai servizi pubblici sociali e sanitari”.
La domanda che sorge spontanea: Dove sono stati e dove potrebbero stare in prospettiva gli enti locali e la Regione Friuli Venezia Giulia, che come gli altri sono chiamati a contribuire al benessere dei cittadini e di tutti i residenti se le associazioni sono costrette ad autofinanziarsi per sostenere i percorsi delle persone più vulnerabili? Il contrasto alla discriminazione, il perseguimento della massima inclusione sociale, il riconoscimento di eguale dignità sono valori in sé che non possono essere posti in discussione in base ai ragionamenti di opportunità politica. L’orientamento sessuale e l’identità di genere sono fattori di esclusione al pari della povertà, la disabilità, le origini etniche e, in generale, le condizioni personali che la Repubblica deve prendere in considerazione a tutti i suoi livelli territoriali di governo. Occorre allora evidenziare che azioni di intervento volte a prevenire fenomeni di esclusione sociale non sono solo il corollario di una difesa dei diritti fondamentali della nostra società repubblicana, fondata sull’individuo e sulla sua preminente tutela. L’esclusione sociale ha anche un costo per la collettività che, pur nelle difficoltà di pervenire ad una sua quantificazione, può essere facilmente esemplificato. Un primo caso è dato dal costo dovuto alla cura di persone che in conseguenza della situazione di discriminazione necessitano di assistenza, anche sanitaria”. “Con questo anno di progetto, conclude la nota, abbiamo cercato di aprire la strada. Ora affidiamo alle associazioni LGBTQIA+, che per competenza e vicinanza più di altre possono dare risposte adeguate, dare continuità sia alle alleanze impostate in questo faticoso anno con i servizi sanitari, psichiatrici e sociali della Regione, sia continuare il lavoro di advocacy, che è urgente fare per ricominciare a credere di abitare in un territorio capace di dare attuazione all’articolo 3 della Costituzione. Vorremmo non essere lasciati soli ancora una volta, come Terzo Settore, a riempire i vuoti istituzionali di una politica incapace di riconoscere i bisogni dei suoi cittadini”.