No, la sanità non è un campionato di calcio

La stampa e i politici amano le classifiche della sanità, come se la salute fosse un campionato di calcio. Più semplici sono le classifiche più contenti sono. “Tra i primi al mondo” “eccellenza assoluta” “i migliori d’Italia” o viceversa “i peggiori” “peggio della Calabria” sono solo alcuni dei titoli e delle dichiarazioni comparse sui quotidiani regionali. Quello che sorprende è che raramente qualcuno si premura di approfondire come sono costruite quelle classifiche. Prendiamo l’ultimo esempio quella di Newsweek, la World’s Best Hospital. Il titolo “Udine e Pordenone tra i migliori al mondo” l’assessore afferma che la classifica “dovrebbe stimolare un’onesta riflessione in quella larga schiera di prefiche professioniste”. Quindi siamo bravissimi, tra i migliori al mondo. Ma come si arriva alla classifica? Semplice entrano non tutti gli ospedali ma solo quelli che fanno domanda. Compilano un modulo con dei dati e lo inviano. E si dovrebbe capire subito dal fatto che la graduatoria include solo 2400 ospedali e nel mondo anche solo quelli prestigioso sono molti molti di più. Solo in Italia gli ospedali sono oltre 1600 e quelli che hanno fatto domanda sono 108. Del Friuli Venezia Giulia Udine è al posto 31 (in Italia non nel mondo!), Pordenone al posto 47 e Trieste, che gli articolisti si sono guardati bene dal citare, al posto 108 su 108. Si può dire che con queste posizioni siamo tra i migliori al mondo quando ad esempio tutto gli ospedali importanti del vicino Veneto sono davanti a noi?
Ma la considerazioni importante è la seguente. La salute e la sanità sono fenomeni troppo complessi per essere trattati come un campionato di calcio e con un voto solo. Diffidiamo sempre delle classifiche e dei titoli ad effetto. Valutare significa misurare ognuna delle moltissime dimensioni e capirne punti deboli e punto di forza, con chiarezza, trasparenza e discutendone con operatori e cittadini. Solo così il servizio sanitario può andare avanti. Diffidiamo delle classifiche servono solo a fare titoli roboanti.

Giorgio Simon