Non rassegnarsi alla catastrofe. Lettera aperta a tutte e tutti coloro che vogliono togliere il carcere dal cono d’ombra

Care amiche e cari amici, qualche giorno fa con Andrea Sandra abbiamo risposto alle notizie apparse sui media su alcuni episodi di autolesionismo e di proteste avvenute in carcere con un appello: “Salvare Via Spalato”. Avevamo voluto precisare la dimensione dei fatti accaduti, evitando preoccupanti strumentalizzazioni. Purtroppo un detenuto si era prodotto un taglio alla gola, ed era stato dato fuoco a un materasso e il fumo aveva intossicato, per fortuna non gravemente, treb agenti di polizia penitenziaria intervenuti meritoriamente per spegnere l’incendio.
Le presenze in carcere sono arrivate a 180 persone, anche la parola sovraffollamento non è più adeguata. Il rischio che la situazione precipiti fuori controllo è reale. In Italia ci sono stati 70 suicidi in carcere, una vera ecatombe, e molte proteste si verificano non solo per le condizioni di vita inaccettabili, ma anche perché la detenzione è senza senso e senza speranza. Sarebbe davvero un peccato che il miracolo che si sta realizzando a Udine con una ristrutturazione che offrirà spazi per attività e socialità, venisse messo in pericolo. La sezione della semilibertà, assai dignitosa, è ormai in funzione per sedici detenuti e dai prossimi giorni potranno essere utilizzate le nuove aule della scuola e a fine dicembre l’ex femminile potrà diventare il Polo culturale e un laboratorio per corsi e lavoro.
I provvedimenti che il Parlamento sta approvando indicano scelte preoccupanti se non pericolose: nuovi reati, aumenti delle pene detentive, penalizzazione della protesta pacifica, carcere per le donne incinte e con figli di meno di un anno, equiparazione della canapa light a quella stupefacente. Si opta per il confronto basato sulla forza invece che puntare sul dialogo, spesso difficile ma insostituibile per affermare i principi della Costituzione. La comunità che abbiamo costruito ha offerto prove di umanità e di sensibilità sorprendenti a cominciare dalla raccolta fondi per dotare tutte le celle di frigo e con l’acquisto in programma di attrezzi per la palestra e di giochi per le stanze della socialità. Dal primo di ottobre è presente a tempo pieno una psicologa del servizio sanitario pubblico. E’ un piccolo risultato ma non è sufficiente, è indispensabile il ridisegno completo del servizio di infermeria per garantire il diritto alla salute nelle 24 ore e la Regione deve offrire alla magistratura di sorveglianza spazi e strutture per la detenzione terapeutica per i soggetti con problemi di disturbi del comportamento e di salute mentale.
Ma vi è una priorità assoluta che rappresenta un nodo intollerabile: la sezione al Piano terra è in condizione igienico sanitarie vergognose. Muffa e umidità sono presenti in un luogo chiuso e con i detenuti più problematici. Sono 57 prigionieri incatenati, da liberare.
Il rifacimento è in programma da tempo e sono stanziati anche i fondi necessari.
Perché non partono i lavori? Mistero inaccettabile, anche perché chi visita il carcere viene colpito da questo luogo più che dagli aspetti curati nelle altre parti dell’Istituto.
Anche la Asl che compie visite periodiche per verificare il rispetto delle norme igienico sanitarie ha una responsabilità nel non avere dichiarato ancora la inagibilità della sezione e avere prescritto i lavori indispensabili. La soluzione è evidente. La sezione va chiusa immediatamente. E’ una battaglia di scopo chiara e l’obiettivo va raggiunto prima del seminario annuale previsto per il 7 novembre. La prova del digiuno a staffetta tra il 23 febbraio e il 25 aprile ha segnato l’esistenza di una comunità solida e solidale e potremmo riprendere quella modalità di presenza, ma anche immaginare altre iniziative con qualche carattere di originalità. La maratona oratoria è stata un esempio; mi viene da suggerire un walk around circondando i palazzi del potere (Tribunale, Regione, Comune) oppure una marcia silenziosa dal Duomo al carcere, tenendo in mano una rosa bianca come segno di resistenza. Molte volte ho detto che non voglio essere complice neppure per omissione e provo angoscia per una catastrofe che incombe provocata da irresponsabilità di chi tifa per il tanto peggio, tanto meglio. L’aria deve cambiare. Subito. La prima cosa da fare è di formalizzare la richiesta al Provveditorato regionale dell’Amministrazione penitenziaria con una lettera del Garante dei diritti del carcere di Udine e sottoscritta da chi di noi la condivide. Per quanto mi riguarda sarò pronto a sostenere l’ impegno comune con un digiuno di testimonianza, per convincere chi può e deve decidere, a fare la cosa giusta senza incertezze e perdite di tempo. L’esito di questa nuova battaglia sarà positivo se cento fiori risplenderanno.
Franco Corleone ex Garante dei diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Udine