Ogni guerra è diversa, ma il puzzo è sempre lo stesso
“Ho ancora nel naso l’odore che faceva il grasso sul fucile mitragliatore arroventato. Ho ancora nelle orecchie e sin dentro il cervello il rumore della neve che crocchiava sotto le scarpe, gli sternuti e i colpi di tosse delle vedette russe….. Sembra la cronaca di oggi ed invece sono le prime frasi del libro “Il sergente nella neve” il racconto autobiografico scritto da Mario Rigoni Stern, una cronaca dell’esperienza personale vissuta dall’autore nel corso della Ritirata di Russia nel gennaio 1943. Ed aveva ragione Mario Rigoni Stern , l’odore della guerra, il puzzo della guerra non si dimentica, come non si dimentica il suono sinistro della mitraglia, dei mortai e quello fragoroso delle bombe, ed oggi, nel crescendo d’orrore, quello dei missili sempre più potenti e letali. “Quando ci ripenso provo il terrore di quella mattina di gennaio quando la Katiuscia (antenata del moderno lanciarazzi Uracan 200 n.d.r), per la prima volta, ci scaraventò addosso le sue settantadue bombarde”, scriveva così ancora in maniera mirabile Rigoni Stern. Ebbene chiunque sia stato in zona di guerra può controfirmare quella descrizione. Cambiano gli scenari, ma l’olezzo della guerra e la sua “colonna sonora”, sottofondo sinistro rombante e minaccioso delle esplosioni più o meno lontane, è sempre lì, a ricordarti che da un momento all’altro tutto può finire in un bagliore improvviso con nulla di glorioso. Eppure anche a questo ci si abitua, si controlla la paura, la si esorcizza, fino a farsene quasi scherno, quando, magari un bambino si fa maestro e ridendo e a gesti ti spiega che non è del rombo che devi avere paura e nemmeno dell’esplosione vicina, perchè quando la senti… vuol dire che sei ancora vivo. Questo è un episodio che non potrò mai dimenticare, era il 1994 in Bosnia, nell’enclave di Bihac, che da poco aveva rotto l’assedio che per molti mesi l’aveva martoriata. Ma il “fronte” se così si poteva chiamare la frastagliata linea del fuoco che correva fra boschi ed alture, era a pochi chilometri dopo un ritiro che si era lasciato dietro la sua scia di orrore e distruzione e quell’odore persistente di bruciato che neppure la pioggia riusciva a lavare. Un puzzo non paragonabile a nient’altro. Da parte mia solo un assaggio della guerra, con relativi pochi rischi, niente di eroico, eppure quando in questi giorni le immagini di questa nuova follia umana si sono presentate crude, anche se solo televisive, il ricordo degli odori della guerra e del rombo delle esplosioni mi sono tornati nel naso e nella testa, come fossero reali, del momento. La differenza fra vedere attraverso uno schermo certe immagini o con i propri occhi è davvero enorme. Lo sanno tutti quelli che l’hanno provato fosse anche solo una volta. Non importa se con ruoli attivi militari o passivi come osservatori e giornalisti. L’emozione, la voglia di arrendersi alla violenza o di reagire a questa, non può prendere il sopravvento sulla razionalità e sulla analisi, perché ogni guerra e diversa dall’altra. Pur nell’orrore che tutte accomuna, vi sono conflitti più “giusti” di altri. Giusto è difendersi, non giusto è aggredire. Questa è una regola semplice, semplice, ma che ha comunque infinite variabili, come del resto dimostra l’attuale aggressione della Russia sull’Ucraina. Già ieri denunciando dalle nostre pagine l’uso delle bombe a grappolo, scrivevo di essere consapevole che in una guerra la prima vittima è la verità e che il pericolo di diventare strumento di propaganda è in agguato, presente perfino quando si è direttamente nei luoghi della guerra. Vale ancora di più oggi che non fischiano solo le bombe, ma anche le fake news digitali e la pratica della disinformazione che accompagna gli scenari di guerra è multitasking. Non è un caso che oggi, dopo che le immagini della guerra in Ucraina sono per sei giorni entrate soft nelle case degli europei, il comando militare russo ha fatto la scelta di accecarci la vista. Non solo la distruzione della torre della televisione di Kiev che non può più trasmettere, ma vi sono notizie di attacchi pianificati e multipli ai ripetitori telefonici e alle linee dati internet che fino ad oggi hanno consentito le dirette giornalistiche e la circolazione delle informazioni o più semplicemente ai cittadini di dare e ricevere notizie da parenti e amici. Un nuovo livello del conflitto, del resto tipico, tanto che gli analisti si erano chiesti il perché la Russia non l’avesse già fatto. La tesi più accreditata è che Putin pensava che l’invasione ucraina sarebbe stata una passeggiata gloriosa da rendere ben visibile al mondo. Ora però che l’Ucraina resiste e che il mondo lo sta isolando, l’imperativo per lui, è nascondere le malefatte e fare presto, anche mettendo in conto la strage dei civili, perché ormai lui è già comunque, agli occhi della storia, il cattivone di turno. Ora, l’errore più grande che si potrebbe fare, è non lasciargli una via d’uscita onorevole, perché i rischi di una pericolosissima escalation ci sono tutti. Anche non volendo pensare ad ipotesi nucleari, la possibilità di allargamento del conflitto oltre l’Ucraina non si può escludere. L’isolamento economico e finanziario, accompagnato alla notizia di forniture militari europee all’Ucraina, sono già state bollate dai russi come aggressioni. Putin ha fatto intendere, anzi l’ha proprio detto tramite la sua propaganda, che la consegna di armamenti da parte occidentale è da considerare atto ostile che equipara a “co-belligeranti” i paesi che lo fanno. La conseguenza potrebbe essere quella di sentirsi autorizzato a colpire le “consegne” anche oltre il confine ucraino. Se questo dovesse avvenire le conseguenze potrebbero essere pericolosissime.
Fabio Folisi