Perchè sono illegittime le riprese nei luoghi di lavoro
Alcuni commenti alla notizia che all’interno dell’Abs di Cargnacco è stata rinvenuta una telecamera di videosorveglianza nascosta ci spingono a chiarire che si tratta di grave violazione penalmente rilevante. Le telecamere infatti non possono essere installate dal datore sul posto di lavoro se non al ricorrere di determinate condizioni e comunque in accordo con le rappresentanze sindacali unitarie o quelle aziendali. Mai ovviamente per controllare i ritmi di lavoro. A prevedere il divieto è l’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori (Legge 300 del 1970), come poi riformulata dal Decreto Legislativo n. 151 del 2015, attuativo delle deleghe contenute nel cosiddetto Jobs Act ed integrato successivamente dal Decreto Legislativo n. 185/2016. L’articolo in questionerecita: “1. Gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale e possono essere installati previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali….” Dunque, la videosorveglianza sul posto di lavoro è ammessa ma solo per:
1) esigenze organizzative e produttive, ad esempio la necessità di riprendere un macchinario per verificarne il regolare funzionamento; 2) esigenze di sicurezza sul lavoro: è sufficiente pensare alla funzione delle telecamere all’interno delle banche, volta a scoraggiare eventuali malintenzionati; 3) tutelare il patrimonio aziendale: è il caso delle telecamere poste in varie zone di negozi o supermercati per dissuadere la clientela dall’effettuare furti.
Ma la ricorrenza o di una o più di queste esigenze non legittima per ciò solo il datore di lavoro ad installare delle telecamere. Infatti, è necessario che prima dell’installazione dei dispositivi intervenga un accordo con le rappresentanze sindacali unitarie o quelle aziendali o, in mancanza di accordo, che sia la Direzione Territoriale del Lavoro a rilasciare l’autorizzazione al datore.
E’ anche necessario che i lavoratori siano previamente informati dell’installazione, anche mediante l’apposizione di idonea cartellonistica. Addirittura il mero fatto che il datore di lavoro abbia installato le telecamere dopo avere avuto il consenso dei propri dipendenti non lo esonera dall’accordo sindacale.
Il datore di lavoro dovrà anche: formare il personale addetto alla videosorveglianza; nominare un responsabile della gestione dei dati registrati; apporre cartelli visibili anche dall’eventuale clientela; fornire un’adeguata informativa privacy; conservare le immagini videoregistrate per non più di 24 ore. E’ assolutamente vietata, in ogni caso, l’installazione di telecamere in ambienti per così dire “privati”, quali toilettes, spogliatoi e simili.
Ma cosa accade se le telecamere vengono utilizzate in violazione delle norme che ne disciplinano l’utilizzo? A parte la figuraccia di fare la parte degli spioni, il datore di lavoro commette un reato, punito, salvo che il fatto non costituisca un reato più grave, con l’ammenda da 154 a 1.549 euro o l’arresto da 15 giorni ad 1 anno. Nei casi più gravi, le due pene, ammenda e arresto, possono essere applicate congiuntamente. Tra l’altro, se il giudice ritiene che per le condizioni economiche del reo, l’ammenda stabilita dalla legge, anche nella sua misura massima, sia inefficace, può aumentarla fino al quintuplo. Ovviamente deve essere provato che la telecamera sia stata istallata dal datore di lavoro.