Polveri sahariane: il fenomeno che tinge la pioggia e la neve di giallo

L’intensa presenza di polveri sahariane, che tra sabato e domenica scorsa ha tinto di giallo le distese innevate delle montagne, non è un fenomeno così raro. Spesso, infatti, correnti che attingono alle zone sahariane, risalendo verso nord, trasportano masse di aria cariche di polveri che, sorvolando i nostri cieli, possono impattare al suolo sotto forma di pioggia o neve ma non solo.  In caso di bel tempo, quando le masse cariche di polveri rimangono in sospensione, non ci accorgiamo quasi della loro presenza: il cielo appare un po’ opaco e lattiginoso e, una volta depositate a terra per gravità, solo strumentalmente ne rileviamo l’aumento. Se invece, come in questo caso, ci sono precipitazioni piovose e nevose, le polveri vengono depositate al suolo per effetto del dilavamento dell’atmosfera. La variazione cromatica è immediatamente percepita e rende quasi surreale l’ambiente circostante. Ma i livelli in aria di polveri (le PM) non subiscono aumenti: lo scorso weekend, infatti, nessuna delle stazioni di misura della qualità dell’aria posizionate alle diverse quote – da 500 a 1700 m s.l.m. – ha rilevato incrementi delle concentrazioni in aria rispetto ai valori tipici stagionali.  Che le polveri sahariane vengano depositate al suolo con le precipitazioni o per via della gravità, queste producono effetti sull’ambiente montano.  In questo caso, le polveri possono depositarsi sul manto nevoso e possono comportare la formazione di strati di neve con caratteristiche diverse dal resto del manto. Durante la stagione primaverile quando questi strati “riemergono”, per effetto della fusione degli strati soprastanti che si sono accumulati nel corso delle successive nevicate, espongono una superficie più scura, proprio a causa della concentrazione di polveri, che cattura in modo più efficace la radiazione solare e quindi accelera il fenomeno di fusione che causa la scomparsa della neve e l’aumento delle portate d’acqua nei torrenti. Un fenomeno con una portata simile si è verificato nel 2016 e ha causato un’accelerazione della fusione nivale, avendo come immediata conseguenza l’anticipo di circa un mese la data di scomparsa della neve. E’ importante riuscire a modellare tali processi naturali considerando l’impatto che possono avere sul ciclo idrologico di una regione di montagna. La studio e la previsione di tali processi si ottiene integrando misure in campo, campionamenti della neve, dati satellitare e metodi modellistici. In questo caso, il trasporto di polveri ne fa aumentare la concentrazione in atmosfera, peggiorando lo stato della qualità dell’aria che respiriamo. Il paradosso, infatti, è che quando il cielo è opaco a causa delle polveri, le quali arrivano a terra per effetto della gravità e vengono respirate, forse la maggior parte delle persone non se ne accorge, ma gli strumenti sì, rilevando picchi che, in alcuni casi di episodi del passato, hanno anche portato ad un aumento delle concentrazioni di polveri di 100 µg/m³.  ARPA studia questi fenomeni, non solo attraverso l’uso di modelli di previsione della qualità dell’aria, ma anche con strumentazione al suolo per registrare immediatamente l’alterazione della concentrazione di polveri fini PM e attraverso la valutazione che la deposizione delle polveri ha sulle dinamiche di fusione nivale.