Poveri in canna
Poveri in canna. Solo che la canna è solitamente quella del fucile. Quella che uno si può trovare davanti quando è al fronte oppure quando ti beccano in età “attiva” e quella canna ti è puntata addosso per convincerti che lì devi andare. In parole povere, cornuti e mazziati. Si potrebbe riassumere così la situazione che sta vivendo la popolazione siriana. Stavolta senza distinzione di regioni, gruppi rivali, etnie diverse. Certo, c’è sempre in queste condizioni quello che si arricchisce si ingrassa a dismisura. Ma questo si dà per consolidato; secondo stime dell’inviato speciale dell’ONU in Siria, Pedersen, il livello di povertà coinvolge l’75% degli abitanti. La svalutazione galoppante, il pound siriano è crollato a 4.740 per un dollaro Usa, che disintegra il potere di acquisto degli stipendi (quando ci sono ovviamente) i magri raccolti delle tre ultime stagioni e, per non farsi mancare nulla, la situazione internazionale che ha moltiplicato i prezzi praticamente di tutto, fanno sì che spesso le famiglie non possano permettersi più che il pane. L’aumento del prezzo dei carburanti fa sì che sia normale vedere file chilometriche di auto, camion e camioncini, trattori, motociclette, insomma tutti i mezzi a motore che si piazzano uno dietro l’altro in attesa del loro turno di rifornirsi di carburante. Stiamo parlando di gente che passa la notte all’interno o nei pressi del mezzo pur di non perdere il posto e sperando che i distributori di proprietà pubblica (che hanno prezzi ma anche qualità decisamente più bassi rispetto ai privati) non finiscano le scorte prima di arrivare alla meta. Stiamo parlando comunque di prezzi che da noi sarebbero definiti ridicoli; almeno quelli del Nord Est della Siria (NES), perché a quanto pare dalla parte sotto il controllo governativo di Damasco, il litro di benzina o di diesel costa molto di più. Generalmente, nell’ultimo periodo, il costo della vita è triplicato, mentre gli stipendi sono rimasti quelli e i lavori si sono rarefatti.
Il lavoro minorile è un dato di fatto e nonostante le facce scandalizzate di noi stranieri che di fronte a questo fenomeno ci indigniamo e andiamo in giro a professare le nostre convinzioni (ma poi ci consoliamo facilmente all’interno delle nostre casette pagate profumatamente perché’, perdio, dovremo pur vivere decentemente…) , portare a casa anche qualche spicciolo significa non pesare sulle magre economie delle famiglie. Parlavamo dell’ONU; leggendo l’intervista a Pedersen, si rileva facilmente, da una parte la frustrazione causata dalle continue ma inutile richieste di attenzione su questa tragedia, dall’altra la pochezza di utilità di un’Organizzazione che attraverso le sue agenzie dovrebbe dirimere i problemi e risolvere le situazioni critiche del pianeta, ma che invece è stretta dalle priorità dettate da chi il mondo lo comanda davvero. A partire dal Consiglio di Sicurezza in cui 5 Stati possono decidere le sorti di tutti gli altri. I lamenti e le richieste di Pedersen sono come ululare al vento, tutt’al più utili a dimostrare che si esiste, ma che rimangono inascoltati da chi dovrebbe invece raccoglierli e trasformarli in azioni. Non c’è dubbio che di casini in giro per il mondo ce ne siano parecchi, troppi, e le risorse che i “grandi” mettono a disposizione sono ben lontane da quelle delle roboanti dichiarazioni di intenti. E dunque anche il povero Pedersen fa quello che può, anzi quello per cui lo mettono al suo posto. Posso assicurare che lavorare in coordinamento con le agenzie dell’ONU o dell’EU o delle agenzie internazionali in genere, è francamente frustante dovendo passare attraverso un meccanismo farraginoso che, sebbene in qualche modo necessario, punta maggiormente alla precisione delle rendicontazioni e sul “collezionismo” dei reports e dei dati (che spesso andrebbero verificati) che sul risultato concreto. Ma ci stiamo allontanando un po’ eccessivamente dal nostro discorso. Dicevamo della tragica situazione di un Paese distrutto fisicamente, economicamente e socialmente dove gli sfollati interni sono quasi 7 milioni, i rifugiati in Paesi esterni altri 5,6 milioni. Ma non è finita qui, la gente continua a cercare tutti i modi possibili per andarsene; anche nei piccolo centri i giovani che si inoltrano nell’avventura i cui esiti non sono mai certi, anzi, se ne vanno tutti i giorni. Chi con maggiori possibilità di successo, per quelli che hanno qualche decina di migliaia di dollari per pagare un tragitto più o meno sicuro, e quelli che invece non possono affidarsi ai passeur e ci provano senza un piano preciso. Sono quelli che spesso vengono beccati e ricacciati indietro. I meccanismi per chi può permettersi di pagare, magari riducendo sul lastrico la propria famiglia che però non ha altra alternativa che investire su di loro, sono ben rodati e alle varie frontiere si chiude volentieri un occhio e magari due; ovviamente capita che in alcuni casi si debba dimostrare che il rifiuto di impedire “l’invasione” è ferreo e dunque che anche chi abbia investito pesantemente sul trasporto sicuro ci abbia rimesso tutto e venga rispedito al mittente. Nell’ultimo periodo, secondo i racconti dei locali, alcune delle frontiere minori che fino a ieri erano rimaste blindate, sono state, ma non ufficialmente” riaperte e dal NES si passi in Turchia senza grossi problemi, magari lasciando un obolo alla guardia di turno. Secondo la vulgata popolare, questa sarebbe la nuova politica di Erdogan per “spopolare” questa regione dalla popolazione kurda evitando di intervenire militarmente invadendo quello che rimane di Rojava. Questo sarebbe anche uno dei motivi per cui nell’ultimo periodo si sono intensificati gli attacchi con droni che generalmente prendono di mira quadri della SDF (Syrian Democratic Forces) o della Self Administration che governa la regione. Colpire i comandanti militari e politici (ma non solo) per destabilizzare il sistema ed agevolare la fuga di chi ormai ha pochi o nessun motivo per rimanere. Come si possa sperare in un futuro decente da queste parti rimane davvero un mistero; come si possa sperare che da noi in Europa lo si possa capire è altrettanto opaco. Con i migliori auguri. Docbrino