Presentato l’VIII Rapporto CSR in Italia all’Università di Udine nel corso del convegno “Responsabilità e sostenibilità delle aziende in Italia”
Responsabilità sociale e sostenibilità viaggiano in parallelo, soprattutto quando le buone pratiche vengono condivise con i dipendenti, mettono radici all’interno dell’impresa e si integrano con il business. In questi ultimi due anni quasi tutte le aziende italiane che hanno investito in CSR (Corporate Social Responsibility) – con una spesa di circa 1 miliardo e mezzo di euro solo negli ultimi 12 mesi – lo hanno fatto soprattutto per migliorare il risparmio energetico (47%), lo smaltimento dei rifiuti (39%) e i processi/prodotti aziendali (38%), dichiarandosi molto soddisfatte dei risultati raggiunti (97%).
Il trend proviene dai dati dell’VIII Rapporto sulla CSR in Italia dell’Osservatorio Socialis, presentati all’Università degli Studi di Udine nel corso del convegno “Responsabilità e sostenibilità delle aziende in Italia” promosso dall’Ateneo friulano – rappresentato da Marina Brollo, delegata del rettore per il trasferimento della conoscenza – in collaborazione con Unicredit SpA, rappresentata da Renzo Chervatin, responsabile Territorial Development & Relations Nord Est del Gruppo. All’incontro hanno portato il loro contributo Annamaria Tuan (Università di Bologna e Animaimpresa), Paolo Bandiera (direttore Affari Generali AISM- Associazione Italiana Sclerosi Multipla) e Anna Pantanali (responsabile comunicazione Molino Moras). Il convegno si è tenuto con il patrocinio dell’Associazione Animaimpresa di Udine e della Rete delle Università per lo Sviluppo Sostenibile (RUS).
«L’appuntamento – spiega Francesco Marangon, delegato del rettore per la sostenibilità – si colloca idealmente nell’ambito delle iniziative avviate con i Magnifici Incontri CRUI tenutisi a Udine lo scorso maggio e sfociati nel Manifesto sulla sostenibilità nelle Università. Il documento, tra le altre cose, ha voluto indicare al sistema accademico nazionale anche l’obiettivo di valorizzare l’educazione universitaria per la sostenibilità, includendo in essa approcci sistemici e interdisciplinari, recuperando così il valore dell’etica, tramite un forte legame con il territorio». «Inoltre – aggiunge Marina Brollo – il nostro Ateneo sta per inaugurare un nuovo Master per l’inclusione delle diversità (MIND) i cui contenuti coltivano e valorizzano i temi della responsabilità e sostenibilità delle aziende in un’ottica di innovazione sociale».
Delle 400 aziende campione dell’VIII Rapporto CSR dell’Osservatorio Socialis, l’85% dichiara di impegnarsi in CSR (era il 42% nel 2001) e tra queste il 52% lo farebbe con maggiore costanza se avesse un marchio ad attestarlo, come pure l’emanazione di una norma che dia la possibilità di ottenere detrazioni fiscali sarebbe un incentivo alla stabilizzazione degli investimenti – auspicata dal 50% del campione.
«La CSR da strumento accessorio e poco considerato è diventata un valore essenziale e necessario per le imprese – ha spiegato Roberto Orsi, Direttore dell’Osservatorio Socialis – Un cambio di passo significativo, che si potrà affermare ulteriormente utilizzando nuovi strumenti di misurazione e nuovi indicatori di responsabilità e sostenibilità: in questo modo le imprese potranno far mettere radici ai comportamenti virtuosi attraverso un percorso definito per integrarli con l’organizzazione aziendale, le aspettative dei consumatori e la filiera produttiva».
Tra i criteri adottati nella scelta di sostegno al sociale dichiarati dalle aziende impegnate in CSR, rientrano il la possibilità di coinvolgere nell’iniziativa i dipendenti (54%), la serietà/affidabilità del partner non profit (53%), il legame con lo sviluppo del territorio (45%), la possibilità di misurare i risultati dell’iniziativa e valutarne l’impatto (43%).
Un altro vantaggio riconosciuto alla CSR è sul fronte del mercato: oltre il 50% delle imprese che ha investito in CSR ha rilevato un miglioramento del posizionamento, della reputazione ed anche un aumento della notorietà; in quasi 4 casi su 10 si è riscontrato un aumento della fidelizzazione dei clienti.
Il 49% delle imprese riconosce l’efficacia della CSR nell’agevolare i rapporti con le comunità locali e, in seconda battuta, con le pubbliche amministrazioni. Aumentano, pure solo in linea tendenziale, anche le ricadute positive sul clima interno all’azienda: il 44% registra un miglioramento del clima ed un maggior coinvolgimento del personale.
La misura dell’impegno
Dopo aver presentato i dati dell’VIII Rapporto sulla CSR in Italia, sono state illustrate le 6 macroaree del CSR – Check for Sustainability Ranking ©, la certificazione di responsabilità sociale che sarà a breve rilasciata dall’Osservatorio Socialis e che definisce i livelli di qualità, di condivisione e di comunicazione della CSR raggiunti da aziende, università, non profit e istituzioni.
SINTESI DEI DATI DELL’VIII RAPPORTO CSR IN ITALIA
LE TENDENZE – L’85% delle aziende italiane (con almeno 80 dipendenti) si è affidata nel 2017 a iniziative di CSR (Corporate Social Responsibility). Erano l’80% nel 2015. Dall’inizio della rilevazione condotta da Osservatorio Socialis e Ixè su un campione di ben 400 aziende, le imprese che mostrano attenzione alla loro responsabilità sociale sono raddoppiate: dal 44% del 2001 all’85% del 2017. Nel 2017 quasi un miliardo e mezzo di euro (1,412 mld) investiti in azioni di CSR (Corporate Social Responsibility) dalle aziende italiane che hanno scommesso sul loro ruolo di responsabilità sociale. Cioè il 25% in più rispetto al dato del 2015 (1,122 mld).
IL VALORE ECONOMICO DELLA CSR – Più di 200mila euro (209mila per l’esattezza) la media di spesa/investimento nel 2017 per le imprese italiane: +18,7% rispetto al 2015, quando la cifra media per azienda era ferma a 176mila euro. La previsione di spesa 2018 per azienda arriva a 267mila euro (+27,8%). Nell’impegno attivo in CSR si registrano vistose differenze di comportamento tra i settori economici; quelli più attivi sono: il chimico della gomma/plastica, il meccanico/auto, il finance, il commercio, l’elettronica/informatica/telecomunicazioni.
L’incidenza dell’impegno in attività di CSR è maggiore tra le aziende quotate in Borsa.
GLI OBIETTIVI DELLA CSR – Le aziende che fanno attività di CSR vogliono “contribuire allo sviluppo sostenibile” (35% delle risposte) e vogliono essere “responsabili verso le generazioni future” (32%) e vogliono “migliorare i rapporti con le comunità locali” (29%). Meno importante l’obiettivo commerciale: “solo” il 21% si prefigge di “attrarre nuovi clienti” con azioni di CSR.
LE MODALITÀ DI INTERVENTO – Le iniziative di CSR restano per lo più sviluppate all’interno dell’azienda, ma crescono sensibilmente quelle rivolte al territorio di riferimento della sede operativa. Comunque in Italia: sempre meno sono le attività di CSR rivolte a Paesi esteri. Si privilegiano azioni nella sfera del risparmio energetico (dal 35% del 2015 al 47% del 2017) e dello smaltimento dei rifiuti. Aumentano le collaborazioni con il mondo accademico. Cresce l’attenzione sia verso la sostenibilità ambientale sia verso la responsabilità sociale che, se si comprendono anche le attività per il benessere dei dipendenti, risulta la più diffusa delle due. Comunque la maggioranza delle imprese con minimo 80 dipendenti ha pianificato nel 2017 attività in ambedue le direzioni. Mediamente il settore che investe in una molteplicità di attività più ampia è il finance (media di 4,5 attività), seguito dal meccanico auto (4,0), dall’industria manifatturiera, farmaceutica e commercio (3,9).
Aggregando le molteplici modalità di risposta, si rende evidente qual è il peso specifico delle motivazioni:
• il vantaggio per la gestione delle relazioni con il territorio, con banche e stakeholder muove il 52% delle imprese;
• la sensibilità ambientale muove il 51% delle imprese;
• l’espansione/fidelizzazione del portafoglio clienti muove il 46% delle imprese;
• la qualificazione dell’immagine e della reputazione corporate muove il 35% delle imprese;
• i fattori economici e di risparmio (tasse/finanziamenti) muovono il 21% delle imprese;
• il miglioramento del clima interno motiva il 16% delle imprese.
I CRITERI DI SCELTA – Da ciò si evince che la CSR agisce in primo luogo sulle relazioni, che siano territoriali o finanziarie, quindi in qualche misura è capace di generare fiducia e incidere sulla ‘reputazione aziendale’.
Analogamente e di riflesso ha efficacia anche sui consumatori e sui clienti generando fidelizzazione e propensione all’acquisto dei prodotti/servizi. Il 51% delle motivazioni relative alla sensibilità ambientale consente di affermare che si sia diffuso ampiamente il senso di responsabilità verso la terra e i suoi abitanti, attuali e futuri. I criteri principali di scelta delle iniziative da sostenere o attuare sono la possibilità di coinvolgere nelle iniziative il personale e serietà dell’associazione, seguiti dal legame dell’attività o dell’associazione con il territorio e la possibilità di misurare i risultati dell’iniziativa e valutarne l’impatto. L’affidabilità dell’associazione proponente conferma la sua crucialità in fase di scelta delle iniziative da sostenere. 1/3 delle imprese attive in CSR pensa che la chiave sia ascoltare i consumatori.
LA CSR CREA SPIRITO DI SQUADRA – Metà delle aziende che hanno investito in CSR sono convinte che per ricavare soddisfazione da queste attività sia indispensabile coinvolgere tutti i livelli aziendali, così da diffondere la cultura della responsabilità dal top management a tutti i dipendenti. 4 su 10 ritengono che sia indispensabile formare il personale e far crescere comportamenti responsabili duraturi. Il 35% mira alla costruzione di strategie di CSR coerenti con i piani industriali.
LA VALUTAZIONE DEI COSTI E BENEFICI – Più di 8 imprese su 10, come già rilevato a partire dal 2015, sostengono di aver valutato i costi e i benefici del percorso di CSR che hanno intrapreso. Questo dato, segnale di una certa ‘professionalizzazione’ e maggiore strumentazione conoscitiva delle attività di CSR, risulta in netto aumento rispetto al passato e si concentra in misura superiore soprattutto nei settori dei trasporti, dell’industria metallurgica, commercio, e finance.
VALORE E SODDISFAZIONE – Quasi la totalità delle imprese usa sistemi di misurazione del valore delle iniziative, primo tra tutti l’analisi dei profilo dei rischi, poi la valorizzazione dei costi esterni ambientali e sociali internalizzati, il calcolo dello SROI e la mappatura delle iniziative in relazione con gli interessi degli stakeholder. Il 97% delle aziende che fanno attività di CSR si dichiara soddisfatto. L’85% ritiene che le politiche di CSR rendono l’impresa “più attrattiva e affidabile in termini di accesso al credito e come possibile oggetto di investimenti”.
I VANTAGGI –Il primo vantaggio riconosciuto alla CSR è sul fronte del mercato: oltre il 50% delle imprese che ha investito in CSR ha rilevato un miglioramento del posizionamento, della reputazione ed anche un aumento della notorietà; in quasi 4 casi su 10 si è riscontrato un aumento della fidelizzazione dei clienti.
Il 49% delle imprese riconosce l’efficacia della CSR nell’agevolare i rapporti con le comunità locali e, in seconda battuta, con le pubbliche amministrazioni. Ambedue questi vantaggi relazionali sono cresciuti significativamente rispetto al dato del 2015. Aumentano, pure solo in linea tendenziale, anche le ricadute positive sul clima interno all’azienda: il 44% registra un miglioramento del clima ed un maggior coinvolgimento del personale.
LA PERCEZIONE DELLA CSR NELLE AZIENDE – Il 48% delle imprese intervistate ritiene che l’attenzione verso la CSR sia in crescita e il 47% che sia stabile. Il dato relativo all’aumento dell’attenzione da parte delle imprese verso la CSR è di molto cresciuto rispetto a due anni fa, segno che conferma una progressiva diffusione della consapevolezza della rilevanza della CSR tra i manager italiani. Ne sono convinti in misura maggiore il settore finance, la chimica/farmaceutica e l’industria della metallurgia.
LA PERCEZIONE DELLA CSR TRA I CONSUMATORI – Il 57% dei manager intervistati ritiene che anche l’attenzione dei consumatori rispetto alle attività CSR collegabili ai brand che acquistano stia aumentando. In questo caso il dato è superiore a quello di due anni fa ma l’aumento è decisamente più contenuto. Sostengono quest’opinione in misura maggiore il settore della gomma/plastica, il farmaceutico, il finance, il commercio e la metallurgia. Il confronto delle risposte alle due domande, che rappresentano in qualche modo le due facce della medaglia, rivela che il gap tra la sensibilità delle imprese e quella dei consumatori in merito alla CSR e che poteva essere inteso come una inadeguatezza delle imprese rispetto al trend indicato dai consumatori, si sta progressivamente colmando.
CHE COSA FRENA LA CSR? – Tra i maggiori elementi di freno per quanto riguarda gli investimenti in CSR, secondo le aziende italiane, si confermano la mancanza di incentivi fiscali, di cultura manageriale e di risorse economiche (dato in calo rispetto alla scorsa rilevazione). Il segmento di imprese attivo in CSR mette in primo piano la mancanza di incentivi fiscali, quello non attivo preme maggiormente sulla mancanza di cultura manageriale e di ritorni immediati. Tuttavia cresce la parte di coloro che vedono la CSR frenata soprattutto da una inadeguata “cultura manageriale”.
L’ETICA E I VALORI – Ormai l’85% delle imprese italiane (con più di 80 dipendenti) si è dotata di un codice etico. L’87% ne ha almeno sentito parlare. I valori fondanti di un buon comportamento sociale dell’impresa riguardano essenzialmente la trasparenza (63%), la salvaguardia dell’ambiente (61%) e, con qualche distanza, il tema dell’uguaglianza e della tutela delle diversità (42%) della protezione della salute (40%) e la tutela dei dipendenti (38%). Il 54% delle imprese redige un bilancio sociale e il 65% predispone un bilancio di sostenibilità aziendale (il 34% fa entrambi i documenti).
UN MARCHIO PER LA CSR – Il 52% delle imprese intervistate si augura che venga predisposto un “marchio” che premi le attività di CSR. In questa iniziativa viene visto il più importante volano per lo sviluppo degli investimenti in CSR; ancor più degli incentivi fiscali (50%).