Meglio tardi che mai….Qualcuno spieghi ad Alberto Felice cos’è la destra e cos’è la sinistra
Tira una brutta aria dalle parti di palazzo d’Aronco sede del Comune di Udine. A poco più di un anno dalle elezioni che hanno visto l’insediamento del sindaco Alberto Felice De Toni, formalmente di centro sinistra, in realtà oggetto politico camaleontico e comunque difficilmente collocabile. Il 25 aprile scorso il primo cittadino ha sfoggiato un discorso di raro fervore antifascista, ma poi poche ore dopo ha indicato come vicepresidente della partecipata dei trasporti Arriva Udine un soggetto che nel recente passato sfoggiava, assieme al marito, orgogliose braccia tese, ma soprattutto esprimeva posizioni di destra estrema sul tema migranti. De Toni quindi conferma la sua natura di perfetto rappresentante dei tempi in cui viviamo, nei quali non serve neppure cambiare casacca per operare politiche che poco hanno a che fare con quello che gli elettori pensavano di aver votato. Ma veniamo ai fatti, il motivo delle odierne fibrillazioni purtroppo non sono le politiche claudicanti non certo in discontinuità con il passato prese dal Comune capoluogo del Friuli, ma il fatto che è tempo di nomine. La politica spesso, anziché alto esercizio di servizio alla cosa pubblica, si trasforma in basso livello di servizio agli interessi privati di soliti noti o peggio usa le nomine come riconoscimenti premianti talvolta in odore di voto di scambio. Insomma quando in gioco ci sono poltrone, poltronissime o semplici strapuntini, la pressione sale ed il pericolo di ictus si fa reale. Triste per i cittadini, ma inevitabile in un sistema che ormai ha perso di vista molti di quei valori costituzionali che, a parole, si sbandierano, ma che poi nella pratica vengono costantemente vilipesi nella gestione verticistica dei gruppi dirigenti. Il problema è che se ci sono forze che di questo fanno il loro programma ideologico, sia esso il premierato che il semplice mito dell’uomo (o donna) solo al comando, altre parlano di partecipazione democratica ma poi praticano politiche per bande trincerandosi dietro la favoletta della governabilità sotto il cui vessillo sono state fatte passare le peggiori riforme. Dalle modifiche al titolo V della costituzione a leggi elettorali che volevano essere sartoriali per se e che invece lo sono tragicamente diventate per l’avversario, passando per la riduzione della rappresentanza democratica considerata costosa ed evidentemente inutile freno o quas,i per chi intende la gestione come semplice potere da esercitare. Così sono praticamente stati esautorati nei fatti Parlamento, Consigli regionali e perfino semplici Consigli comunali tutti organi democratici declassati da luogo di discussione ed elaborazione della politica, a ruolo notarile di avvallo, per altro non sempre manco richiesto, delle decisioni assunte. Insomma praticamente senza alcun potere di interdizione rispetto alle politiche del capo. Chi vince governa e gli altri “zitti e mosca”. Questo almeno finché non arriva la stagione delle nomine, allora ecco che si fibrilla e si rischia l’infarto o l’ictus. Così il povero De Toni abituato semplicemente a comunicare le decisioni, perchè fin dall’inizio questo gli è stato lasciato fare, si è trovato all’improvviso al centro della polemica e dopo l’affaire Perissutti (la moglie di Stefano Salmè di cui sopra) ecco che ha dovuto cedere sulla nomina di Massimo Fuccaro, già presidente e direttore generale di Net. Formalmente è stato Fuccaro ha rinunciare alla ricandidatura attraverso una lettera mandata al sindaco, missiva evidentemente scritta per evitare ulteriori imbarazzi al primo cittadino di Udine. Tutto risolto quindi? Difficile, perché lo strappo questa volta è stato forte e c’è chi giura che ci saranno conseguenze. Quali? Sarebbe ingenuo pensare che i mal di pancia si tramutino in qualcosa di concreto, come dimissioni di consiglieri sufficienti a fare andare in minoranza il sindaco, più facile pensare che De Toni decida di restare “happy sindic” frenando le sue pulsioni autoritarie e magari scaricando qualche assessore giustamente nel mirino per aver dimostrato tutta la propria incapacità. Resta l’amarezza di constatare come la selezione dei gruppi dirigenti sia al palo. Fra l’altro viene da chiedersi, perché votare per il cambiamento e poi vedere che in linea di massima poco o nulla cambia. Che i partiti della sinistra ne tengano conto perché gli elettori si rendono conto presto che piuttosto che la copia è sempre meglio votare l’originale.
Fabio Folisi