Quel centimetro “divino” che cambia la storia degli USA

L’occidente atlantico si preoccupa (giustamente) per l’aumento della violenza in politica. Il risultato è che di fatto si lascia condizionare da un giovinastro fuori controllo, cecchino per caso, incapace (per fortuna) di centrare un bersaglio tutto sommato facile per un tiratore mediamente esperto, killer talmente improvvisato da colpire a morte un incolpevole spettatore del comizio. In realtà sono comunque poco credibili le ipotesi di complotto, al di là dell’episodio gravissimo, perchè la vita unana è sacra anche quella di un soggetto pericoloso come Donald Trump. Questo al netto del fatto che la sicurezza della celebratissima security Usa ha mostrato tutta la sua approssimazione, in queste ore ne abbiamo sentite di ogni sorta, ipotesi di mandanti occulti e perfino di “auto attentato”, tanto da non renderle minimamente credibili. Sarà bene che le spettacolari scenografie di film e telefilm american, che vedono la quasi infallibilità degli 007 a stelle e strisce, vengano riscritte. Fatta questa doverosa premessa in realtà ci sono alcuni elementi che si perdono di vista in una sorta di psicosi traumatica da stress collettivo, non solo è passato in secondo ordine che il campione di linguaggio politico estremista e violento è proprio chi oggi diventa, poco credibile, agnellino sacrificale e si proclama miracolato, quindi unto dal signore , ma che cinque anni fa incitava alla violenza. Ovviamente si è già avuto il preludio di questo presunta investitura divina, la pretesa che ogni accusa nei suoi confronti venga ritirata, perché la logica è semplice, se il Dio cristiano e bianco lo ha risparmiato, vuol dire che lui è innocente a prescindere. Nulla di non già visto e sentito ovviamente, con una differenza sostanziale che non solo la destra americana fa finta che il tentato golpe di Capitol Hill non sia mai esistito, ma che anche i democratici, come fossero tutti colpiti dalla sindrome del pugile suonato ( o dell’anziano rimbambito) non fanno valere l’argomentazione più semplice. Violenza chiama violenza, anche se questo non può giustificare (ma spiegare si l’attentato) secondo l’assioma che quando “si semina vento si raccoglie tempesta”. Questo elemento di “saggezza popolare” non a caso è sempre rimosso dalla narrazione dei violenti che si trasformano in vittime. Quello che semmai stupisce è che nella lettura dei fatti, che fanno gran parte dei media mainstream anche italiani, si omettano o non si evidenziano a sufficienza, le responsabilità trumpiane nel clima di polarizzazione estrema in atto. Tutto cancellato, tutto stemperato dal fatto dell’enorme impatto mediatico evocativo del cecchino che mette nel mirino l’ex presidente e spara, un centimetro di differenza fra la vita e la morte con il proiettile “deviato” dalla mano del signore. Tutto cancellato da quell’atto nella memoria collettiva internazionale? Speriamo di no, dato che al di là delle falle che un sistema giudiziario americano impastoiato dalle nomine politiche di giudici polarizzate, le responsabilità di Donald Trump nell’insurrezione con annesso tentativo di colpo di Stato del 6 gennaio 2021 a Capitol Hill sono note e palesi e in qualsiasi paese avrebbero provocato, come minimo, l’uscita di scena definitiva del personaggio. Ma negli Usa non è così, purtroppo, polarizzazione, disuguaglianze socio-economiche, derive autoritarie e violenza politica, sono caratteristiche che hanno sempre attraversato quello che abbiamo sempre considerato “il faro della democrazia” dell’Occidente, un faro sotto la cui luce si sono visti attentati e morti violente. Quattro presidenti sono stati assassinati mentre erano in carica, e due presidenti in carica sono sopravvissuti a tentativi di omicidio durante il loro mandato. Tornando all’ormai “quasi” archiviato assalto a Capitol Hill, l’incitamento di Trump all’insurrezione includeva appelli ad assassinare un vicepresidente in carica. Anche quando individuati, gli autori sono stati acclamati dal popolo di Donald come “eroi”, “martiri”, “guerrieri” e infine “prigionieri politici”. Dimenticato anche quanto detto e scritto da Trump, prima, durante e dopo quella sciagurata azione insurrezionale, che anche in Italia è inspiegabilmente restata nel dimeticatoio degli archivui dei media: “Non vi riprenderete mai il nostro paese con la debolezza. Dovete esibire forza e dovete essere forti. Siamo giunti qui per chiedere che il Congresso faccia la cosa giusta e che conti solo gli elettori che sono stati nominati legalmente. So che ognuno di voi presto marcerà sul Campidoglio per far sì che oggi la vostra voce, pacificamente e patriotticamente, venga ascoltata”. Ma poi in un crescendo contradditorio ecco che il linguaggio “pacifico” diventa guerrafondaio: “Combattete. Combattiamo come dannati. E se non combatterete come dannati, per voi non vi sarà più un paese. Cammineremo lungo Pennsylvania Avenue – adoro Pennsylvania Avenue – e andremo al Campidoglio e proveremo a dare (ai Repubblicani) il genere d’orgoglio e ardore di cui hanno bisogno per riprendersi il nostro paese.”  Da allora il linguaggio non si è per nulla attenuato anzi, la lotta politica tra Trump e Biden è stata un crescendo di insulti e violenze verbali, immersa in un contesto tossico, malefico, di polarizzazione politica e sociale che sarà molto difficile contenere e contrastare. C’è da temere che l’attentato, anziché far placare gli animi in nome della necessità di rasserenare il clima, porti al rafforzamento della vogli di certi ambienti estremisti di mettere a tacere i loro rivali politici attraverso la violenza, piuttosto che con il voto.

Fabio Folisi