Regeni, la rivelazione del “supertestimone” cade a fagiolo in piena campagna elettorale. Ma la verità giudiziaria resta una chimera
Sulla verità relative alle responsabilità della atroce morte di Giulio Regeni ci sarebbe una svolta, il condizionale è d’obbligo e non solo perchè in questa vicenda, falsità e depistaggi, sono stati pane quotidiano, ma anche perche il racconto di un presunto supertestimone cade a fagiolo in piena campagna elettorale e dopo che il premier Conte si è “speso” con gli egiziani senza cavare un ragno dal buco. A pensar male spesso ci azzecca anche perchè meraviglia che le rivelazioni dell’ignoto testimone in realtà confermano quello che già si pensa essere la verità ma non pone nulla di nuovo che diventi rilevante oltre ad un livello indiziario. Accuse così gravi, anche se vere, senza prove reali sarebbero smontate da qualsiasi penalista anche alle prime armi. Giulio Regeni, dice l’ignoto, fu ucciso dai servizi di sicurezza egiziani perché creduto una spia inglese. Dove sta la novità? Anche il fatto a dirlo, questa volta, non sono gli inquirenti italiani, ma un uomo che, secondo quanto scrivono i giornali italiani ascoltò una conversazione proprio tra uno degli agenti responsabili del rapimento e un altro poliziotto. Insomma una testimonianza per sentito dire che rafforza certo le convinzioni di tutti noi su quanto è avvenuto, ma che con ogni probabilità nulla modifica nell’atteggiamento della “giustizia” egiziana che fin qui non si è certo spesa nel voler indagare sulla verità scomoda. Non si capisce perchè ora dovrebbe cambiare registro dato che da parte italiana, a parte qualche rimbrotto verbale, si è perfino smesso di mostrare i muscoli. I rapporti diplomatici e quelli economici sono tornati al bello come prima che il povero Giulio venisse martirizzato. E poi sullo sfondo c’è anche la questione libica. Comunque considerazioni e pessimismo della ragione a parte, la novità starebbe nei dettagli del racconto. In sostanza uno dei funzionari della National security egiziana avrebbe raccontato di aver partecipato al sequestro del ricercatore italiano rapito al Cairo la sera del 25 gennaio 2016 e ritrovato senza vita dieci giorni dopo. Una testimonianza riportata dal Corriere della Sera: “Credevamo che fosse una spia inglese, lo abbiamo preso, io sono andato e dopo averlo caricato in macchina abbiamo dovuto picchiarlo. Io stesso l’ho colpito più volte al volto”. Un racconto crudo “a un collega straniero nel corso di una riunione di poliziotti africani, avvenuta in un Paese di quel continente nell’estate 2017. A rivelare l’episodio è una persona che ha assistito alla conversazione tra il funzionario del Cairo e il suo interlocutore” che parlava perchè pensava non capissi l’arabo. Così il procuratore di Roma Giuseppe Pignatone e il sostituto Sergio Colaiocco che non più di qualche settimana fa avevano in qualche modo dichiarato resa all’evidenza dell’ostruzionismo egiziano, nei giorni scorsi hanno inoltrato al Cairo una nuova rogatoria in cui chiedono informazioni che potrebbero fornire ulteriori riscontri. Ne ha parlato ieri anche il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, in visita nel foggiano, spiegando di aver avuto un lungo colloquio telefonico con il presidente egiziano Al Sisi. Il funzionario indicato dal testimone sarebbe uno dei cinque che la Procura di Roma ha già iscritto sul registro degli indagati con l’accusa di sequestro di persona. Secondo gli inquirenti italiani ci sono indizi sufficienti a ipotizzare il coinvolgimento del generale Sabir Tareq, del colonnello Uhsam Helmy, del maggiore Magdi Ibrahim Abdelal Sharif, dell’assistente Mahmoud Najem e del colonnello Ather Kamal, all’epoca capo della polizia investigativa del Cairo e coinvolto anche nel depistaggio con cui si voleva chiudere il caso addossando ogni responsabilità a una banda di criminali comuni, uccisi in un presunto conflitto a fuoco. Uno di questi sarebbe il chiacchierone indicato dal testimone. Ora anche pensando che tale soggetto fosse così stupido da vantarsi di un simile episodio è facile ipotizzare che anche se interrogato il personaggio negherebbe tutto e a meno che il terzo interlocutore non dovesse confermare, cosa che appare improbabile, la presunta confessione diventerebbe l’ennesimo capitolo di una saga che dimostra solo una cosa, la scarsa autorevolezza internazionale del nostro Paese che da troppi anni non ha il ruolo che gli compete. Ovviamente saremmo felici di avere torto ma la storia di questa tormentata vicenda non ci spinge all’ottimismo. Secondo indiscrezioni la nuova rogatoria sarebbe stata inviata nella serata di venerdì scorso, dopo una lunga telefonata tra i titolari dell’indagine italiana ed egiziana. Il nuovo documento inviato al Cairo è composto da una decina di punti che racchiudono il lavoro svolto negli ultimi sette mesi dai carabinieri del Ros e uomini dello Sco. Gli inquirenti italiani chiedono agli omologhi egiziani notizie relative ad una serie di personaggi, tutti appartenenti agli apparati pubblici egiziani, che ruotano intorno ai cinque indagati dalla Procura di Roma. Il secondo elemento della rogatoria riguarda gli spunti investigativi presenti nelle tre memorie che il legale della famiglia Regeni ha messo a disposizione del pm Sergio Colaiocco e che rappresentano l’attività di indagine difensiva effettuata. In questo ambito anche le dichiarazioni del supertestimone. La persona che ha ascoltato la confessione ha indicato nome e cognome del funzionario: l’ha visto consegnare al collega straniero il proprio biglietto da visita.
La politica
Ovviamente in campagna elettorale la vicenda è balzata nell’agenda elettorale della politica e comunque non è detto sia un fattore negativo perchè, se una cosa ha insegnato la storia di misteri e stragi d’Italia, solo l’attenzione continua mediatica e politica può dare una se pur flebile speranza ai tanti che vogliono la verità.
E di verità possibile parla infatti la eurodeputata Pd Isabella De Monte: «Oggi si aggiunge un pezzo di verità importante sull’assassinio di Giulio Regeni, ma la strada non è ancora finita: si proceda con convinzione per ottenere giustizia e risposte certe». Secondo De Monte «grazie al lavoro incessante degli inquirenti e grazie alla tenacia della famiglia di Giulio Regeni si sta procedendo nella direzione attesa: dare un nome a chi ha ucciso brutalmente il nostro giovane corregionale e ottenere finalmente giustizia per lui, per i suoi cari e per un’intera comunità che invoca verità. Le rivelazioni di oggi non sono evidentemente la risposta definitiva, ma un tassello significativo nella ricostruzione di un efferato omicidio che non può rimanere impunito».
Anche la capogruppo del Movimento 5 Stelle in commissione Esteri alla Camera interviene sulla vicenda:”Le rivelazioni delle ultime ore sul caso di Giulio Regeni ci confermano ancora una volta la necessità di continuare a chiedere con forza la verità sulla fine del ricercatore friulano ucciso in Egitto 3 anni fa. Per questo condividiamo la scelta del Ministero degli Esteri italiano di sostenere la rogatoria della Procura di Roma per dare finalmente una svolta alle indagini”. “Siamo convinti che debba essere messo in campo ogni possibile sforzo per arrivare alla verità. Dopo l’approvazione dell’istituzione di una commissione d’inchiesta parlamentare sul caso Regeni, ci auguriamo che tutti i soggetti coinvolti, in particolare le autorità egiziane, facciano la loro parte per assicurare alla giustizia i responsabili di questo omicidio”, conclude la deputata.
Fabio Folisi