Revenge Porn in Italia 2 milioni di vittime. Reato odioso, penalmente rilevante, ma ancora minimizzato da molti
Sono emersi dati eclatanti in una indagine sul Revenge Porn condotta da TF Group srl, società di analisi e ricerche e gestione della reputazione online, per conto dell’associazione “PermessoNegato.it” APS, no-profit di promozione sociale che si occupa del supporto alle vittime di Pornografia Non-Consensuale, di violenza online e discorsi di odio. Attraverso un questionario online sottoposto ad un campione statistico di 2.000 casi, rappresentativi della distribuzione della popolazione italiana secondo criteri di sesso, età e regione di residenza, sono stati misurati i comportamenti e gli atteggiamenti degli italiani sul tema della pornografia non consensuale, più noto come “Revenge Porn” (il revenge porn è una pratica illegale, che consiste nella diffusione di materiale intimo e privato, che prevede pene severe (da uno a sei anni di reclusione e multa da euro 5.000 a euro 15.000) nei confronti di chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate. Poco noto è anche che nello stesso articolo di legge pena analoga è prevista a chi, avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini o i video di cui al primo comma, li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso delle persone rappresentate al fine di recare loro nocumento. Insomma nei tempi dei social selvaggi e della interconnessione multipla e continua, i rischi per chi “scherza” con le immagini private altrui è alto. Dall’indagine emerge- in particolar modo– che il 4% degli italiani è stata vittima di Revenge Porn, che quasi il 9% conosce una vittima, che l’età media delle vittime è di circa 27 anni, che le vittime per il 70% sono donne e il 30% uomini, mentre il 13% appartiene alla comunità LGBQT+. Dai dati della ricerca risulta che il fenomeno è abbastanza noto alla maggioranza degli italiani (il 75% ne ha almeno sentito parlare), ma il 17% è convinto che il fenomeno non costituisca un reato in Italia, quota che sale addirittura al 35% tra le vittime. E anche per tale motivo la metà di esse dichiara di non aver fatto denuncia non facendo scattare di conseguenza nessuna azione dato che il reato è perseguibile solo a querela della persona offesa. Si registra in sostanza una scarsa consapevolezza della gravità del fenomeno che spesso è atto di autentica violenza pari a quella fisica che fa sì che in Italia la produzione e diffusione di immagini o video intimi o con contenuti sessuali privati risulti molto diffusa. Spesso la ri-condivisione non autorizzata di immagini o video intimi si verifica in seguito all’invio del contenuto a qualcuno di cui a torto “ci si fidava”. Questo tema della perdita di fiducia nel prossimo, oltre che nella giustizia, ritorna, spiega lo studio, anche tra le conseguenze psicologiche e sociali maggiormente evidenziate dalle vittime: il senso di abbandono e solitudine si somma alle conseguenze psicologiche maggiormente segnalate quali depressioni o ansia, cambiamenti di abitudini sociali e difficoltà nelle relazioni. In sostanza alla fine solo il 50% sporge denuncia e le vittime non denunciano principalmente perché spesso si cerca di “mediare” con l’autore del gesto, sperando di rimuovere il contenuto, oppure perché si prova troppo imbarazzo per agire (nel 50% quando sono vittime gli uomini). Tuttavia, è anche diffusa la sfiducia nelle autorità: il 32% teme che la vicenda possa diventare di dominio pubblico, il 13% teme avvisi giudiziari presso la propria abitazione, il 7% dichiara di non aver fiducia nel sistema giudiziario e, addirittura, il 10% teme ripercussioni da parte della persona denunciata. Tra i “carnefici” non c’è pentimento: solo il 13% dichiara di aver sbagliato, il 10% si giustifica con il non essere a conoscenza che il contenuto non fosse consensuale, ma la maggioranza lo ritiene un fatto divertente o comunque non offensivo.
Il 10 ottobre scorso, in occasione della Giornata mondiale della salute mentale, “Permesso negato” e “Tconsulta” hanno inaugurato il primo sportello di soccorso psicologico destinato- gratuitamente- a chi è vittima della divulgazione non consensuale di materiale intimo e pornografico. Questo Primo soccorso psicologico si articola in un incontro in un “luogo sicuro” online a cui si può accedere previa prenotazione, 24 ore su 24, 7 giorni su 7, nella helpline di Permesso negato. Il percorso gratuito –a cui tutti avranno accesso– comprende fino a tre consulenza virtuali, per venire incontro anche alle persone in località distanti da servizi di ascolto. Quando necessario, le vittime di revenge porn potranno anche fruire di un counseling aggiuntivo. Si tratta di un supporto rivolto alle vittime indipendentemente dal genere, gratuito ed erogato in modalità audio video con le più moderne tecnologie di interazione.
Fonti: Permessonegato.it e Pressenza.it.
Qui la ricerca completa: https://www.permessonegato.it/doc/PermessoNegato_Ricerca_Revenge_2022.pdf.