Riflessione sul territorio del Friuli Venezia Giulia: “Portare a compimento il progetto delle «Aree Interne»”.

Da PordenoneLegge, appena concluso, si è lanciato un grido di allarme sulla situazione di stallo che stanno vivendo le aree territoriali interne e la montagna. Da quel Festival è partito un richiamo alle classi di governo affinché venga superata la «concezione centralistica» che si sta affermando nel governo dei territori e, lungo un’impostazione federalista, venga portato a compimento il progetto delle «Aree Interne» spendendo bene le risorse disponibili derivanti dai Fondi Strutturali europei e da risorse statali [Italia: 1 mld €; Friuli Venezia Giulia: quasi 12 mln €]. Un progetto che, in Regione, ha coinvolto 3 territori [Valli e Dolomiti friulane, Alta Carnia, Valcanale e Canal del Ferro] e le loro rappresentanze [amministrative, sociali, culturali, economiche]. La Strategia Nazionale delle Aree Interne si è configurata in origine come un «progetto Paese» che si
proponeva di ri-connettere i luoghi al processo di sviluppo. In pratica, attraverso questa strategia si volevano migliorare le condizioni di vita e il benessere delle persone, recuperare abitanti, dare struttura all’attrattività e rafforzare le relazioni territoriali.
Si tratta di aree che non possono essere definite marginali o periferiche. Piuttosto sistemi territoriali contemporaneamente complessi e fragili, dotati di patrimoni, capacità manifatturiere e che, alla scala nazionale, producono e gestiscono beni e servizi «eco-sistemici» pari al 5% del Pil. Sono beni e servizi essenziali per la vita delle città, dei nodi urbani e delle restanti parti del territorio poiché hanno a che fare con l’assetto idro-geologico, il «governo» del bosco, la gestione della risorsa acqua, il mantenimento della biodiversità, la promozione della cultura sedimentata nel processo storico. Se queste aree e la montagna «franano», si altera l’equilibrio dell’intero ecosistema regionale, di città e
territori, e di riflesso si alimentano rilevanti costi di intervento per poter, forse, recuperare sia i danni sia il tessuto economico e sociale.
L’importanza di queste aree è mitigata, tuttavia, da un processo di declino che si registra in termini di perdita di popolazione, di servizi pubblici e dal venir meno delle opportunità imprenditoriali. Tale realtà critica è vissuta dal 50% dei Comuni italiani [3.990] in cui vive il 21% della popolazione [13,3 mln di abitanti, più della Grecia, Portogallo e del Belgio] e che ha la responsabilità di gestire il 70% del territorio [210.000 kmq]. Mentre in Friuli Venezia Giulia nelle 3 aree considerate, che non è l’intera montagna regionale, sono 43 i Comuni coinvolti con il 4% della popolazione [50.000 ab] e il 38% di superficie di riferimento [3.000 kmq], con una popolazione persa, dal 1982 ad oggi, pari a due città come Cervignano del Friuli e con una media del reddito pro capite che, in numerose località, risulta più basso di oltre 2 mila €/anno rispetto al resto della Regione [equivalente alla perdita di oltre 80 mila € maturati nell’arco di una vita lavorativa media; in provincia di Udine, il reddito medio pro-capite è pari a 16,05 mln € /anno; in Carnia, è pari a 14,94 mln €/anno].
Portare a conclusione questi 3 progetti significa attuare misure di riduzione delle distanze tra le comunità e le strutture pubbliche [sanità e scuola in primis] assicurando l’accessibilità e i servizi di trasporto [è almeno il 25 % delle persone che utilizza il trasporto pubblico mentre un largo numero di cittadini non può muoversi in libertà e in flessibilità con i mezzi pubblici]. Allontanare l’adozione delle misure e azioni di coesione sociale e radicamento produttivo previste dalla Strategia delle Aree Interne, mette in discussione alla scala locale l’impiego delle risorse già disponibili pari a 3,74 mln per ognuno dei contesti, e la stessa efficacia che deriva dall’utilizzo dei fondi previsti dalla programmazione Por [fondi Fesr e Fse] e del Psr [ad integrazione dell’economia agricola con le attività artigianali e turistiche del contesto rurale montano].
Il consolidamento dei requisiti di competitività territoriale e la ricomposizione del dualismo tra le parti “alte” e le parti di “fondovalle” suggerisce l’estensione del progetto ad altre aree regionale [Valli del Natisone, ad esempio] e una revisione della Legge regionale 33/2002 per circoscrivere meglio i territori montani, da quelli che non lo sono per nulla, anche ai fini del riequilibrio delle diseguaglianze generate dalla morfologia del territorio in cui le persone sono destinate a vivere e a lavorare.
Le aree fragili e la montagna «stanno su» se si riesce anzitutto a promuovere il lavoro e ad attrarre le imprese, in relazione alla geografia economica in evoluzione, puntando sulla bioeconomia [cioè sui servizi rivolti alla salute, sull’artigianato, sull’agricoltura, sull’ambiente e sull’arte), sulle filiere [quelle del legno, dal bosco fino all’arredo e all’edilizia, e dell’agro-alimentare]. Nulla di nuovo; è una vecchia storia: vi sono dati rimandano una situazione che in alcune circostanze appare irrecuperabile [saldo imprese attive 2018/2017: Cavazzo Carnico – 9,09%, Raveo – 7,14%, Forni di Sotto – 6,98, Comeglians – 4,88%, Arta Terme – 3,76%, Villa Santina – 3,61%, Rigolato – 3,57%, Sauris – 3,28%,
Tolmezzo – 2,36%], a fronte di contesti attrattivi capaci di generare valore [5.000 addetti impiegati nel compendio di Carnia Industrial Park, con un consistente flusso proveniente dall’esterno all’area montana].
Naturalmente serve un punto di vista comune che appartenga all’intero Friuli Venezia Giulia in considerazione che non si tratta di perseguire politiche territoriali «separate» dall’ecosistema regionale quanto, invece, determinare ed estendere gli effetti che derivano dalla corretta gestione e produzione dei beni «eco-sistemici». Come servono, nella dimensione dell’area vasta, «spazi di autogoverno» e di governance per la «progettazione permanente delle comunità» quale leva per il superamento delle diseguaglianze e la diffusione delle opportunità e del benessere.
Quindi, vale per il Paese come per la Regione, non essere space blind, ciechi a questi luoghi, assicurando un futuro alle aree interne attraverso la costruzione di un patto di coesione che permetta di impiegare rapidamente le risorse previste e di cucire le relazioni tra città e territorio, tra montagna e pianura assicurando un più elevato livello di «convivenza» capace di rispondere alle sfide globali [il clima, i flussi, la connessione, le competenze].

Maurizio Ionico – urbanista