Sfruttamento del lavoro agricolo fino alla schiavitù tra Veneto e Friuli, arrestati dai Carabinieri due “caporali”, indagini su tre aziende
In carcere sono finiti due cittadini pachistani che avevano trovato modo di approfittare dello stato di bisogno di loro connazionali reclutati con paghe da fame e facendoli vivere in condizioni di semi- schiavitù senza che le italianissime aziende (due friulane) che quella manodopera utilizzavano facessero domande. A smascherare la vicenda i Carabinieri del Gruppo Tutela del Lavoro di Venezia con il supporto dell’Arma territoriale del Comando provinciale di Treviso che hanno dato esecuzione a due misure cautelari in carcere, nei confronti dei soggetti di nazionalità pachistana, ritenuti responsabili d’intermediazione e sfruttamento del lavoro aggravato in concorso. I due avevano architettato il sistema per sfruttare decine di loro connazionali, impiegati in lavori agricoli.
Gli indagati, approfittando dello stato di bisogno e della situazione di vulnerabilità dei lavoratori, versavano loro una retribuzione palesemente inferiore a quella contemplata dai contratti collettivi regionali e nazionali, con un compenso orario equivalente a meno della metà di quello previsto dalla norma. Le indagini hanno permesso di far emergere, inoltre, come i due indagati imponessero mensilmente ai lavoratori sfruttati il pagamento di 100 euro per un posto letto all’interno di edifici in pessimo stato e 50 euro per un pranzo esiguo, per poi impiegarli in lavori agricoli senza fornire loro alcun dispositivo di protezione in spregio alle norme sulla sicurezza sui luoghi di lavoro e, quindi, non garantendo loro nemmeno alcuna forma di prevenzione alla diffusione della pandemia da Covid-19.
I lavoratori sfruttati, alloggiati con sistemazioni precarie, senza riscaldamento, con presenza di muffe, finestre e infissi danneggiati e con la disponibilità di servizi igienici del tutto inadeguati, venivano svegliati alle prime luci dell’alba e accompagnati nelle aziende dove prestavano la propria opera, sotto stretta sorveglianza, fino a tarda sera.
Il collaudato modus operandi con cui agivano gli indagati, venuto alla luce a seguito delle indagini svolte dai Carabinieri della Tutela del Lavoro, consentiva loro di proporsi sul mercato a un prezzo decisamente vantaggioso per le ditte committenti, che beneficiavano del reclutamento e dell’impiego di manodopera irregolare, soprattutto in quelle attività particolarmente usuranti e faticose come la raccolta di prodotti agricoli e la potatura delle vigne che, per la loro natura, meglio si prestano al fenomeno dello sfruttamento. Il minor prezzo offerto sul mercato veniva assicurato anche grazie alle mancate corresponsioni contributive previdenziali che venivano riconosciute solo a una minima parte dei lavoratori impiegati.
L’attività, coordinate dal Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Treviso Anna Andreatta, hanno consentito d’individuare un’impresa, con sede legale a Cessalto, che reclutava cittadini pachistani da impiegare come manodopera in regime di sfruttamento. Attraverso servizi di osservazione e pedinamento, oltre a controlli ispettivi e acquisizione di testimonianze rese da numerosi lavoratori, è emerso come il titolare dell’azienda, un cittadino pachistano, si occupava dell’impiego dei lavoratori mentre un suo stretto collaboratore, suo connazionale, reclutava e trasportava i lavoratori nei campi. Il provvedimento, emesso dal Gip del Tribunale di Treviso, su richiesta della locale Procura, nasce dalle indagini compiute tra ottobre 2020 e febbraio 2021 dai militari del Nucleo Carabinieri Ispettorato del Lavoro di Treviso con la collaborazione dei colleghi del Nil di Udine, dopo una serie di controlli effettuati in aziende agricole delle province di Treviso, Pordenone e Udine.