Si indaga sulla strage di Capaci e lo si fa “molestando” la redazione di Report. Giulietti Fnsi: “si perquisiscano quelli che da 30 anni, sono in una ben protetta ‘oscurità”

Anche se Sigfrido Ranucci ha affermato che la perquisizione nell’abitazione dell’inviato di Report, Paolo Mondani, e della redazione di Report “non è un atto ostile nei nostri confronti” fa impressione che dopo 30 anni dall’attentato di Capaci, 30 anni di depistaggi ed insabbiamenti, a vedere la polizia sia la redazione di Report che nell’anniversario della strage ha evidenziato la presenza di Stefano Delle Chiaie, leader di Avanguardia nazionale, sul luogo dell’attentato. “Il motivo della perquisizione – scrive il giornalista di Raitre su Fb – sarebbe quello di sequestrare atti riguardanti l’inchiesta di ieri sera sulla strage di Capaci nella quale si evidenziava la presenza di Stefano delle Chiaie, leader di Avanguardia nazionale, sul luogo dell’attentato di Capaci. Gli investigatori cercano atti e testimonianze anche su telefonini e pc”. “Da parte nostra c’è massima collaborazione, ha aggiunto Ranucci. Siamo contenti se abbiamo dato un contributo alla magistratura per esplorare parti oscure” spiegando che “il decreto di perquisizione riporta la data del 20 maggio, cioè tre giorni prima della messa in onda del servizio”. Ovviamente non sfugge afferma Ranucci che “c’è un problema di tutela delle fonti per il materiale contenuto nei cellulari e nei dispositivi del collega Mondani e della redazione di Report. Il collega aveva già avuto un colloquio con il procuratore. Noi siamo sempre stati collaborativi con la giustizia, pur garantendo il diritto alla riservatezza delle fonti”. Ad operare la perquisizione sono stati uomini della Direzione investigativa antimafia, su mandato della Direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta, L’inchiesta sul contenuto della trasmissione Report di ieri, con la perquisizione eseguita dalla Dia nei confronti di “un giornalista che non è indagato”, punta a “verificare la genuinità delle fonti” ha affermato il procuratore di Caltanissetta, Salvatore De Luca, sottolineando che la “perquisizione non riguarda in alcun modo l’attività di informazione svolta dal giornalista, benché la stessa sia presumibilmente susseguente ad una macroscopica fuga di notizie, riguardante gli atti posti in essere da altro ufficio giudiziario”. Insomma sembra un quesito del tipo se è nato prima l’uovo o la gallina. Ma il procuratore De Luca ha anche spiegato che :”Sono del tutto destituite di fondamento le affermazioni – aggiunge De Luca – circa la sussistenza di specifiche e tempestive dichiarazioni rese da Alberto Lo Cicero”, prima come confidente e poi come collaboratore di giustizia, che avrebbero permesso di “evitare la strage di Capaci ed anticipare di alcuni mesi la cattura di Salvatore Riina”. Le dichiarazioni di Lo Cicero, osserva De Luca, “sono totalmente smentite dagli atti acquisiti da questa procura sia dagli archivi dei carabinieri, sia nell’ambito del relativo procedimento penale della Procura di Palermo”. “Il riscontro negativo – aggiunge il procuratore di Caltanissetta – emerge dalle trascrizioni delle intercettazioni ambientali fatte nei confronti del Lo Cicero, prima della sua collaborazione, nonché da tutti i verbali di sommarie informazioni e di interrogatorio dallo stesso resi prima dei su indicati eventi”. Le sue dichiarazioni, osserva De Luca, “sono totalmente smentite dagli atti acquisiti da questa procura sia dagli archivi dei carabinieri, sia nell’ambito del relativo procedimento penale della Procura di Palermo”. Il procuratore De Luca precisa anche che “Alberto Lo Cicero sia nel corso delle conversazioni intercettate, che nel corso degli interrogatori da lui resi, al pubblico ministero e ai carabinieri, non fa alcuna menzione di Stefano Delle Chiaie”. Giustamente duro il commento di Giuseppe Giulietti presidente della Federazione Nazionale della Stampa: “Ci auguriamo che a nessuno venga oggi in mente di ‘molestare’ Report e la sua redazione”. “Dopo la puntata su Capaci – scrive su Twitter Giulietti – sarà il caso di lasciare in pace la redazione, Paolo Mondani e di perquisire, invece, quelli che, da trenta anni, sono riusciti a restare in una ben protetta ‘oscurità'”. Giulietti annuncia anche che “questa mattina saremo nella redazione di Report per decidere iniziative a tutela delle fonti e del segreto professionale”. “Intanto – conclude – chiediamo alla Rai di mettere a disposizione i suoi legali a tutela redazione”. ”Le perquisizioni nella redazione di Report e a casa dell’inviato Paolo Mondani ripropongono l’urgenza di approvare norme più efficaci a tutela delle fonti e del segreto professionale dei giornalisti. Più volte la Corte europea dei diritti dell’uomo ha ribadito che gli effetti di ingerenze di questo tipo nell’attività di chi fa informazione equivalgono ad un attacco al diritto dei cittadini ad essere informati, ma in Italia sembra che questo monito nessuno voglia ascoltarlo”. In sostanza torna alla ribalta la pista nera che si sarebbe incrociata più volte con  quella mafiosa.  Se infatti fosse confermata sul luogo della strage la presenza di Delle Chiaie (avrebbe fatto un sopralluogo dove poi venne messo il tritolo per l’attentato) sarebbe una svolta per l’inchiesta sulla morte di Falcone, ma sarà assai difficile a 30 anni di distanza e con il protagonista del presunto sopralluogo defunto da due anni. Per ora la Procura di Caltanissetta smentisce quanto emerso dalla puntata della trasmissione Rai, Report. Intanto sono  emersi verbali scomparsi, contenuti di informative di polizia, dichiarazioni di pentiti e testimoni che ricondurrebbero la presenza di Delle Chiaie a Capaci . Uno dei pentiti è Lo Cicero, ex guardaspalle del pentito palermitano Tullio Troia, soprannominato “O Mussolini” per le sue tendenze politiche. L’altra è la compagna di Lo Cicero, Maria Romeo, che colloca Delle Chiaie a Capaci nel giorno dell’attentato a falcone. L’ex terrorista nero – coinvolto in alcuni processi sulla strategia della tensione e assolto per insufficienza di prove dalle accuse sulle stragi di piazza Fontana, a Milano, e Bologna – sarebbe stato l’aggancio fra stato (probabilmnete servizi più o meno deviati) e la mafia. Paolo Borsellino probabilmente lo aveva capito e aveva cominciato a scavare sui collegamenti tra la mafia di Totò Riina ed entità esterne a Cosa Nostra come le frange eversive della destra italiana.